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Bridge: Versace spiega perché con Lauria lasciano l’Italia
Era a Tokio quando gli ho chiesto l’intervista. Lì era notte, ma lui mi ha risposto puntualmente. Segno di grande disponibilità che pochi hanno. Ma si sa i campioni sono campioni, anche nel savoir faire. Alfredo Versace, torinese, è un grande campione italiano del bridge italiano. Ha vinto di tutto… World Grand Master ed European Grand Master, ed è stato uno dei più forti juniores del mondo. Da qualche settimana però ha deciso di svestirsi della maglia che ha sempre indossato e rappresentare un altro Paese. Perchè? Ma partiamo dall’inizio….
Alfredo Versace tu hai iniziato a giocare al tavolo verde da bambino . Sei stato come il Panatta del tennis. Il tuo primo torneo dicono lo abbia fatto in coppia con tua madre, a soli 11 anni. Ci racconti questo tuo inizio?
In realtà quando ho iniziato a giocare a bridge avevo 10 anni. Quando andavo a trovare i miei nonni, che gestivano il circoletto del bridge a Torino, ero incuriosito da quelle persone che giocavano a carte ed ho incominciato a osservarli. Poco a poco ho imparato le regole e quindi mi sono lanciato nel mio primo torneo con un amico di famiglia che era un buon giocatore. Torneo vinto e passione assimilata! Di pomeriggio giocavo con mia mamma e ancora oggi vengo ricordato come il ragazzino terribile che “trattava male la madre”. Il lunedì pomeriggio per chi vinceva il torneo c’era in palio una sterlina d’oro che valeva un sacco di soldi. Io mi impegnavo tantissimo per vincerla. Mia mamma invece….faceva di tutto per non vincere!
Competitivo fin da subito, quindi. È stato già detto che il bridge è una grande palestra mentale. Ma è soprattutto un importante elemento formativo, tanto che molte scuole stanno adottando dei corsi per studenti nel proprio piano di offerta didattica. Pensi sia sufficiente per avvicinare i giovani a questo gioco, o si potrebbe fare di più?
Penso che per inserire il bridge a scuola nella maniera migliore si debba prendere esempio dalla Polonia. Il Ministero dell’Istruzione, anche da noi, lo dovrebbe far diventare materia scolastica alla stregua di tutte e altre. Il che significa…insegnanti qualificati e relativi esami.
Si nasce campioni, o lo si diventa? E quali sono le doti che un giocatore di bridge deve necessariamente avere?
Campioni si nasce e ci si diventa… con grande impegno, grande temperamento e grande passione..Abbiamo tantissimi esempi che dimostrano e avvalorano questo.
Questo è un gioco di coppia. Il feeling tra i due è molto importante. Significa che in maniera assoluta due persone debbano sempre giocare tra loro?
Un campione, come abbiamo detto, deve avere molte virtù. Lo si può definire tale, infatti, solo quando acquisisce un patrimonio che non e’ solo tecnica, ma temperamento, serietà professionale, umiltà, freddezza nei momenti decisivi, e soprattutto e per me è la cosa più importante, la disponibilità verso il compagno ..ovvero la capacità di farlo rendere al massimo delle sue possibilità.
Veniamo allora alla coppia Versace – Lauria, dunque. Da quando giocate insieme? E quanti mondiali avete vinto?
La coppia Lauria – Versace (e qui parla in maniera impersonale e al plurale, a nome della famosa coppia, ndr) gioca insieme da quasi 25 anni. Sono molto amici ..si rispettano al tavolo da gioco, hanno grande considerazione l’uno dell’altro e malgrado abbiano vinto tutto ..4 Olimpiadi, 2 Mondiali, 8 Europei ,7 Champions Cup, vari national americani Spingold Reisinger Vanderbilt, etc, continuano a studiare per cercare di migliorare il loro sistema dichiarativo e cercare convenzioni nuove che possano mettere in difficoltà l’avversario. Insomma continuano, nonostante tutto, sempre nel loro serio lavoro….
È abbastanza recente la notizia che avete smesso la maglia azzurra, per indossare, dopo tantissimi anni, la maglia di un altro Stato, quella del Principato di Monaco. Sarà stata sicuramente una decisione molto sofferta questa. O no?
Dopo 30 anni di nazionale, con tutti questi titoli guadagnati sul tavolo verde e varie sponsorizzazioni perse per non mancare ad un Europeo come ad una Olimpiade…non è stato certo semplice dire basta e decidere di appendere la maglia azzurra ed andare a rappresentare un altro Paese. La mancanza di sponsor in Italia e forse l’impossibilita di avere una squadra competitiva (ultimi due Europei e Olimpiade risultati scarsi) oltre la necessità di guadagnare ..hanno fatto pendere l’ago della bilancia. Abbiamo dato tanto al bridge italiano pure negli ultimi anni, quando sono mancati i risultati…tanto che un gruppetto di giovani sta crescendo con la nostra scuola bridgistica. E se continueranno ad impegnarsi, come stanno facendo, il futuro per loro sarà pieno di soddisfazioni. Forse noi, meritavamo qualcosa di più che un trafiletto di tre righe sul sito della Federazione in cui si comunicava la nostra rinuncia alla Bermuda Bowl di Lione. Capisco la loro amarezza nel ricevere questa notizia a meno di due mesi dal Campionato del mondo. Ma forse anche loro potevano cercare di capire che, mancando oltretutto da anni l’appoggio nella squadra nazionale di tutti i campioni della squadra Lavazza…. Bocchi, Duboin Madala, Sementa, l’impresa era diventata ardua. Continuare a fare i paladini della nazionale senza speranza… giocare intere settimane ben sapendo che il risultato migliore sarebbe stato una qualifica per i mondiali..oppure l’ingresso nei quarti di finale!
Capisco la tua delusione. Rimane il fatto comunque che hai vinto tantissimo e di tutto. E come dici tu non ti interessa solo vincere, ma anche insegnare e far crescere nuovi campioni. A Roma hai dato vita a una Università del bridge. Come l’hai strutturata?
Insieme ad Emanuela, la mia compagna di vita, ci eravamo tuffati nel mondo della diffusione del bridge aprendo l’Universita del bridge, con corsi qualitativi e maestri eccellenti in un circolo a viale Liegi, peraltro sede antica storica degli amici del bridge. Sentivo di dover far qualcosa per Roma, diventata ormai la mia città. Volevo portare un po di qualità bridgistica….un pò di sapere nel bridge romano. L’ho chiamato tuffo, perchè di tuffo nel vuoto si è trattato. Abbiamo dovuto ripetutamente cambiare sede e ridurre i costi con grandi perdite di denaro. Oggi come oggi, tranne rari casi, il bridgista agonista non è interessato a imparare e a migliorarsi. Vuole giocare, vincere e collezionare punti rossi. Svettare in classifica e spendere poco, qualunque sia la sede di gara ..qualunque sia l’avversario affrontato!
Tutto cambia, dunque! Diceva Bill Gates un po’ di anni fa: “ Il Bridge richiede logica e supporta sfide mentali…quel tipo di acutezza mentale si addice a qualsiasi cosa tu voglia fare di eccellente”. Mi sembra molto in linea con quel che hai affermato prima.
Si, la penso esattamente come Bill Gates. Ci troviamo sulla stessa linea di pensiero. Bisogna lavorare per “fare l’eccellenza” nel bridge. Ma bisogna partire. Spero, quindi, che, leggendo questa mia intervista, a qualcuno che ancora non gioca a bridge sia venuta un po’ di voglia… un pò di curiosità al riguardo, e domani si iscriva ad un corso per principianti….soprattutto per migliorare se stessi.
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