Medicina
Se la lotta alla Sla va per la strada della genetica
In Italia la scorsa estate si è fatto un gran parlare di Sla (Sclerosi laterale amiotrofica) per le docce gelate dei personaggi famosi che donavano alla ricerca, l’Ice bucket challenge. Poi, come spesso accade l’onda emotiva si placa e i grandi propositi finiscono nel dimenticatoio. In questi giorni è invece al centro delle cronache cinematografiche la vita del più famoso malato di Sla al mondo, il fisico Stephen Hawking, dalla cui storia è tratta la pellicola “La teoria del tutto”.
Ovviamente la lotta alla Sla va avanti lontano dai clamori e sembra proprio che per sconfiggere la malattia del motoneurone si debba tentare di percorrere la strada della genetica. Ma per farlo occorre davvero il contributo di tutti, medici, malati, società civile che non sia emozione del momento.
L’iniziativa forse più importante in questo senso è il Progetto Mine: si tratta di una grande operazione di sequenziamento del dna dei malati di una forma sporadica di Sla. Un progetto di proporzione mondiale per cui siamo arrivati al 20 percento dei profili raccolti. Ed in cui l’Italia, con i suoi cinquemila malati di Sla non è ancora entrata. Per sequenziare un dna occorrono 1950 euro: sul sito si possono trovare le possibilità per contribuire con varie forme di donazioni.
La scorsa settimana, invece, una ricerca italiana è stata pubblicata su Neurobiology of Aging: le cellule della pelle dei pazienti con Sla e morbo di Lou Gherig presentano gli stessi segni di deterioramento dei loro neuroni. A firmarlo è Mario Sabatelli, responsabile del Centro Sla del Policlinico Gemelli di Roma.
Ai pazienti è stata effettuata una piccola biopsia di pelle in 38 persone con SLA per ottenere delle colture di fibroblasti. “Abbiamo osservato – spiega Sabatelli che in molti casi la proteina ‘TDP-43’, che ha un ruolo centrale nella degenerazione delle cellule nervose tipica della SLA, presenta un comportamento anomalo anche nei fibroblasti dei pazienti”.
Queste cellule della pelle potranno essere un “modello semplice” per osservare la malattia.
Proprio per questo “John Hardy, editore di Neurobiology of Aging, ritenendo che queste colture cellulari siano di grande utilità ha chiesto che siano rese disponibili per tutta la comunità scientifica mondiale“, ha concluso Sabatelli.
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