Ambiente
Rifiuti: Matteo Renzi mette il sigillo su otto nuovi inceneritori
Lontano dalle consuete luci della ribalta a cui il Governo ed il suo Presidente Matteo Renzi ci hanno abituato e nel silenzio più assordante dei blasonati ma malconci media italici, il Consiglio dei Ministri di poche settimane fa, con un decreto ad hoc, ha dato finalmente il via libera alla realizzazione di otto nuovi inceneritori in Italia. Bruceranno ogni anno 1,8 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e assimilabili e saranno realizzati nel centro e sud Italia. Umbria, Marche, Abruzzo, Lazio, Campania, Sardegna e Sicilia saranno le sedi dei nuovi impianti. Mentre in Puglia verrà potenziata la capacità di incenerimento di quelli già attivi.
Ai quasi 2 milioni di tonnellate di rifiuti che saranno trattati con gli 8 nuovi impianti, vanno inoltre aggiunte 665 mila tonnellate. Il dato è quello individuato dal Governo Renzi per la capacità potenziale di trattamento degli impianti autorizzati, ma non ancora in esercizio: due sono in Lazio, uno in Calabria, uno in Puglia e uno in Toscana, l’impianto di Sesto Fiorentino.
Gli 8 nuovi termovalorizzatori si aggiungeranno quindi ai 40 già in esercizio e che bruciano complessivamente 5,9 milioni di tonnellate di rifiuti all’anno.
Va detto che, se da un lato il Decreto Ministeriale approvato dal Consiglio dei Ministri è l’attuazione del famoso articolo 35 dello Sblocca Italia, dall’altro costituisce l’atto conclusivo di un percorso di non facile concertazione con le Regioni. Infatti il via libera al decreto è arrivato dopo che, nell’ultima Conferenza Stato-Regioni, si è trovata, dopo mesi di discussione, l’intesa sulla capacità complessiva di trattamento dei rifiuti degli impianti in esercizio o autorizzati a livello nazionale e sul fabbisogno residuo da coprire attraverso, appunto, la realizzazione di impianti nuovi.
Viene quindi confermato il dato di fondo sotteso all’articolo 35 dello Sblocca Italia e che lo scorso anno aveva scatenato pesanti polemiche: l’incenerimento assurge definitivamente a soluzione indispensabile per il trattamento dei rifiuti urbani. Il combinato delle diverse disposizioni previste nel provvedimento rappresenta in prima istanza la scorciatoia del Governo Renzi per far fronte all’emergenza rifiuti che connota, come le cronache periodicamente riportano, in particolare l’area centro-meridionale del Paese
Ma c’è un ulteriore elemento degno di nota e che fornisce una chiarissima chiave di lettura della portata degli interessi – quelli della potente potente lobby delle multiutilities – usciti a braccia levate al cielo con il varo del decreto. Perché l’atto individua, per tutti gli impianti in esercizio, il tonnellaggio di rifiuti trattabile, che è nettamente superiore a quella attualmente incenerito.
Una misura, questa, che dà innanzitutto una boccata di ossigeno agli inceneritori sottoutilizzati, come ad esempio quello di Parma, con le sue 30 mila tonnellate bruciate a fronte di una capacità di trattamento pari a 130 mila tonnellate. La previsione regala poi una leva rilevante ai gestori degli impianti per generare cospicui profitti aggiuntivi. Che, vale la pena ricordare, non derivano solo da quanto viene pagato dai comuni per incenerire i rifiuti, ma dalla vendita di energia prodotta con la combustione, nonché dai famosi certificati verdi. Ossia da una premio che lo Stato attribuisce a chi produce energia pulita!
Un esempio può meglio spiegare il tema. L’inceneritore di Torino, ultimo arrivato tra i grandi impianti, ha un piano economico-finanziario fondato su una capacità di incenerimento pari a 360mila tonnellate. Che producono ricavi pari a 95milioni di euro all’anno. Il decreto del Governo Renzi consentirà a Torino di bruciare fino a 526.500 tonnellate all’anno di rifiuti, il 46,3% in più di quelli attualmente trattati. Con il risultato che il ritorno su un investimento, come quello della messa in opera del termovalorizzatore più grande d’Italia e costato 430 milioni di euro, verrà nettamente accelerato.
Il via libera agli 8 nuovi impianti e il potenziamento della capacità di incenerimento di quelli già attivi, è poi la via individuata da Renzi per centrare o almeno avvicinarsi agli obiettivi europei sul fronte della differenziazione dei rifiuti. Ma anche per evitare una mole impressionante di sanzioni che potrebbero abbattersi sui fragili conti italiani a causa dei numerosi contenziosi in essere con l’Unione Europea sulla gestione dei rifiuti. Sul primo aspetto, ecco cosa prevede un passaggio chiave dello stesso decreto ministeriale: «In adesione al decreto […], che prevede il raggiungimento della percentuale minima del 65% di raccolta differenziata, è stata opportunamente dimensionata la stima del fabbisogno di incenerimento dei rifiuti urbani, strutturando l’esigenza di realizzazione di nuovi impianti in termini prudenziali, perfettamente cerenti con il perseguimento dell’obiettivo di riciclaggio comunitario del 50%».
Rispetto, invece, al tema dei contenziosi, è un dossier della Camera, accompagnatorio dello Sblocca Italia, a indicare i principali casi. Una procedura di infrazione, che risale al 2012, riguarda la discarica di Malagrotta e altre discariche laziali: la Commissione Europea ritiene che i rifiuti stoccati presso le discariche del Lazio non subiscano il trattamento prescritto dalla normativa europea, non essendo sufficiente la frantumazione e lo sminuzzamento prima dell’interramento, come avviene. Poi c’è l’annoso capitolo della gestione dei rifiuti in Campania. Nel 2010 la Corte di Giustizia ha statuito che l’Italia ha violato gli obblighi comunitari di corretta gestione dei rifiuti, in particolare per la mancanza di una rete integrata di gestione dei rifiuti nella regione. Rilevando che il Programma attuativo per la realizzazione degli interventi necessari ad adempiere agli obblighi stabiliti nella citata sentenza, predisposto e approvato dalla regione Campania, non è stato rispettato, il 10 dicembre 2013, la Commissione europea ha nuovamente deferito lo Stato italiano innanzi alla Corte di Giustizia per mancata esecuzione della medesima sentenza.
La Commissione contesta i gravi ritardi che hanno portato all’arresto della costruzione della maggior parte degli impianti previsti per il recupero dei rifiuti organici, degli inceneritori e delle discariche ed ha chiesto alla Corte di giustizia di condannare l’Italia al versamento di sanzioni pecuniarie consistenti in una somma forfettaria di 28.089,6 euro al giorno (quantificabile su base annua in circa 10.252.704 euro) per il periodo intercorso tra la prima e la seconda sentenza e in una penalità di mora di 256.819,20 euro al giorno (vale a dire 85.606,4 euro al giorno per ogni categoria di installazione) dovuta dal giorno in cui verrà pronunciata la seconda sentenza fino al completo adempimento (quantificabile su base annua in circa 93.739.008 euro).
Sempre la Commissione, ora guidata da Jean Claude Juncker, considera irregolari 46 discariche già esistenti o autorizzate al 16 luglio 2001 per le quali, entro il 16 luglio 2009, in base alla normativa europea, si sarebbe dovuto prevedere e dare esecuzione un adeguato piano di riassetto ovvero procedere alla chiusura qualora detto piano fosse risultato inadeguato: le regioni interessate sono l’Abruzzo (15 discariche), la Basilicata (19 discariche), la Campania (2 discariche), la Puglia (5 discariche), il Friuli Venezia Giulia (4 discariche), la Liguria (1 discarica per rifiuti pericolosi). Anche in questo caso, l’Italia rischia di pagare centinaia di milioni di sanzioni. Che ora, con la prospettiva della netta accelerazione sulla via della costruzione di nuovi termovalorizzatori, potranno verosimilmente essere almeno sospese.
@albcrepaldi
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