Mobilità
Perché la bicicletta ha un disperato bisogno di advocacy
L’industria del ciclo corre in Europa la sua gara più dura. In palio c’è il futuro del settore, come spiega Manuel Marsilio, General Manager di CONEBI (Confederation of the European Bicycle Industries).
Non è sexy come presentare una bicicletta nuova, né entusiasmante come raccontare una corsa vera. Eppure, parlare di advocacy del settore ciclo, oggi, è necessario. Anzi, è urgente. Perché la crescita che l’industria della bici – soprattutto elettrica – sta registrando in questi mesi, in un futuro non troppo lontano, potrebbe rallentare drasticamente o addirittura arrestarsi. E non per il Covid che, anzi, le ha impresso una fortissima spinta, ma per la revisione di una normativa che la Commissione Europea sta discutendo con le associazioni di categoria. “L’industria del ciclo sta vivendo un bellissimo momento. Nascono aziende, crescono fatturati, investimenti e posti di lavoro – spiega Manuel Marsilio, General Manager di CONEBI (Confederation of the European Bicycle Industries), l’associazione che rappresenta gli interessi del settore presso le istituzioni europee -. Cambiano le dinamiche di supply chain grazie al reshoring (rientro della produzione dai paesi in via di sviluppo) ed evolve l’approccio al consumatore”.
I numeri parlano chiaro: negli ultimi vent’anni, il fatturato annuale dell’industria è passato dai 4 ai circa 13-14 miliardi di euro del 2019, soprattutto grazie alla diffusione dell’e-bike, oggi al centro del dibattito. “Sotto la pressione dei governi nazionali preoccupati di risolvere il problema della sicurezza stradale legato, in particolare, ai monopattini elettrici, l’Europa sta valutando la possibilità di classificare l’ebike non più come bici, ma come veicolo a motore: in questo caso, i consumatori saranno costretti a utilizzare il casco (che probabilmente avrà requisiti tecnici in linea con i caschi moto) e a rinunciare alla libertà di circolare nelle piste ciclabili. Sarebbe la fine”.
Il settore non se lo può permettere. Sull’Italia, considerando che siamo tra i principali player a livello mondiale, in particolare nella componentistica – gli effetti sarebbero devastanti. Ecco perché, oggi, l’advocacy sui tavoli istituzionali e le campagne di sensibilizzazione sui media sono strumenti fondamentali per garantire il buon esito della discussione. Che riguarda anche altri dossier. “Il più importante è l’assicurazione RC, che l’anno scorso la Commissione Europea voleva rendere obbligatoria anche per l’e-bike. Abbiamo convinto la maggioranza del Parlamento Europeo a votare contro e sembra che anche il Consiglio Europeo sia a favore della nostra proposta. Se così non fosse, l’e-bike – che ha una velocità media di soli 2-3 km/h superiore a quella di una tradizionale e pertanto deve continuare a essere trattata come bici – diventerebbe a tutti gli effetti un veicolo a motore, con le conseguenze di cui sopra”.
Poi c’è la riforma dell’IVA: vogliamo che l’UE raccomandi ai Governi di ridurre o cancellare l’IVA sull’acquisto di bici, e-bike, componenti e accessori. Questo sarebbe uno stimolo fiscale importante per sostenere la crescita del settore”. L’altro dossier riguarda i dati, sempre più protagonisti di un’industria che, finora, si è concentrata sull’hardware. “Stiamo lavorando sulla connettività tra veicoli con i settori auto e tlc per garantire una mobilità sicura attraverso lo sviluppo di standard di comunicazione che, in futuro, permetteranno a camion, bus e auto di rilevare la presenza di pedoni e ciclisti”.
Per vincere questa corsa, che nei prossimi mesi entrerà nella sua fase più dura e delicata, non bastano prodotti eccellenti, tecnologia e investimenti. Servono advocacy e comunicazione, troppo spesso trascurate dall’industria della bicicletta. E serve fare sistema, un esercizio in cui il nostro Paese non sempre ha dato prova di maturità. Vista la posta in gioco, questa volta, non possiamo permetterci di fallire l’esame.
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