Mobilità

Bici e mobilità, quello spread con la Spagna che l’Italia fatica a colmare

26 Settembre 2015

C’è un accostamento di immagini che ha conosciuto di recente una certa notorietà, almeno tra chi è in qualche modo appassionato di mobilità urbana, ripreso da molti commentatori per ricordare che nessuna città è nata fatta e finita come la vediamo oggi, e che alcune delle caratteristiche che più tendiamo ad ammirare sono frutto di scelte precise compiute nel corso degli anni, non di un ordine naturale presente ab initio,

 

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Amsterdam prima e dopo. In mezzo, uno sforzo radicale di cambiamento, una serie di decisioni pubbliche che hanno ri-plasmato uno spazio urbano che soleva essere non meno auto-centrico di tanti altri. 

Questa storiella mi è sovvenuta giorni fa camminando per Parallel, a Barcellona, metropoli nella quale un “radical effort” non dissimile è a tutti gli effetti in via di compimento.

Parallel è una grossa arteria di traffico che collega la zona del porto e del terminal dei traghetti con Plaça d’Espanya, consentendo poi alle auto di defluire verso sud, in direzione dell’aeroporto di El Prat. Uno snodo rilevante e sensibile, che la Municipalitat non ha avuto tuttavia paura di ridisegnare, in lunghi mesi di lavori ed inevitabili disagi e proteste (di cui si continua a trovare notizia nella cronaca cittadina): oltre a numerose installazioni che renderanno più smart e data driven la gestione della mobilità, un nuovo carril bici è stato collocato al centro dello stradone, protetto su ambo i lati, libero non solo dall’interferenza delle auto, ma anche da quella dei pedoni, che in precedenza spesso ne invadevano lo spazio a bordo marciapiede, causando numerosi disagi e piccoli, ma ripetuti incidenti.

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Screen Shot 2015-09-25 at 4.32.11 PMUn nuovo, significativo tassello in un percorso che, anno dopo anno, ha rivoluzionato la viabilità: dalla conversione di numerose vie dal precedente doppio all’attuale unico senso di percorrenza per fare posto alle piste ciclabili, come nella zona de l’Eixample, sia lungo la direttrice est/ovest,

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che in quella nord/sud,

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alla costruzione di bike lane separate nei corsi a maggiore intensità di traffico automobilistico, come la Diagonal, la grande strada che taglia a metà la città,

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intersecando la principale via dello shopping, quel Passeig de Gràcia divenuto a sua volta decisamente ospitale per i ciclisti,

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Inoltre, se molte delle strette vie del centro storico già non sono accessibili alle automobili, nella maggior parte di quelle restanti e prive di percorso ciclabile dedicato – principalmente per ragioni di spazio – è in via di rapida estensione il limite dei 30 km/h per gli autoveicoli,

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L’esito è che, oramai, l’intero centro cittadino – inteso in senso molto ampio – è percorribile in bicicletta senza grossi ostacoli od intoppi, dal Camp Nou (all’estremo lato sinistro della mappa – in verde scuro le piste ciclabili, in verde più chiaro le zone a 30 km/h) fino al Poblenou, da Sants fino alla Sagrada Familia,

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Senza considerare la Ronda Verde, vero e proprio periplo della città di 72 chilometri, che per ampi tratti si fonde nei percorsi ciclabili cittadini, soprattutto a ridosso del rilievo del Montjuic (parte azzurra), in discesa verso la Barceloneta (parte verde) e poi in parallelo al mare, fino a Badalona,

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I risultati non si sono fatti attendere: negli ultimi anni, Barcellona ha preso a scalare rapidamente numerose classifiche in termini di sostenibilità del proprio sistema di trasporti, fino a piazzarsi nel 2015 all’undicesimo posto (davanti a Berlino) nel ranking forse più importante quando si tratta di studiare l’integrazione della bicicletta tra i mode of transport, il celebre Copenhagen­ize Design Company’s Index delle città più bike-friendly del mondo, che prende in considerazioni elementi quali,

“serious advocacy, bike facilities, social acceptance, and a general perception that cycling is safe”

e mette in evidenza che,

“infrastructure is key […]: it includes making protected, one-way bike lanes that aren’t shared by cars, buses, or pedestrians. It means designing streets to limit the number and speed of cars in city centers, making public spaces safe and welcoming for everyone, not just drivers”.

In esso, dominato come lecito aspettarsi dalle città del nord Europa (e con la Francia comunque ben rappresentata) e dove per ora non compare nessuna città italiana, per Barcellona si usano parole che ricordano da vicino il “radical effort” citato in apertura:

Barcelona’s rise in this ranking shows that firm, consistent commitment pays off. There were no bicycles left in Barcelona just eight or so years ago, and now they have a new foothold. The city has employed a mixture of traffic-calming measures and infrastructure to make it great to choose a bicycle for transport. It is one of the cities in the world with the largest swathe of 30 km/h zones, and while the bicycle infrastructure network is far from complete, it is usable and frequented.The city’s bike-share program is one of the best on the planet as measured by usage rates, and it has helped boost cycling levels across the board. There is a high standard of intermodality in the city and surrounding metro area. […] Barcelona is interesting to larger cities around the world that don’t find inspiration in smaller urban centers. It’s a big city, and when big cities do things they get noticed, which is brilliant for showing the world what is possible”.

Ad ulteriore riprova, nel rapporto a cura della European Environment Agency, A closer look at urban transport, che ha fotografato lo stato della mobilità nelle principali città europee, emerge con una certa chiarezza il fatto che Barcellona abbia ormai molti più punti di contatto con le capitali nordeuropee che con le sorelle mediterranee, soprattuto se guardiamo fuori dalla Spagna. Per citare alcuni dei dati per noi più interessanti, il capoluogo catalano appare costantemente in prima fila assieme a Valencia e Siviglia nelle metriche che vengono utilizzate per comprendere il grado di emancipazione dall’automobile che si è raggiunta,

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tanto da fare sorprendentemente meglio di molte capitali nordiche quando si considerino soltanto i mode walking + cycling,

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E’ abbastanza evidente, dai dati e forse anche di più dall’aneddotica, che, laddove diverse città spagnole stanno velocemente colmando il gap che le ha tradizionalmente separate dal nord Europa, l’Italia arranca e resta indietro, faticando a far emergere come bike friendly città che non siano di dimensioni molto contenute (la sempre citata Ferrara, per intedersi). E se pure è indubbio che si registri una accresciuta sensibilità ed attenzione dei decisori pubblici verso l’esigenza di un cosiddetto riequilibrio modale, dopo sessant’anni in cui si è privilegiata ed incentivata in ogni modo l’automobile, spesso e volentieri si ha l’impressione di trovarsi d’innanzi a continui spot a beneficio di telecamera – i sindaci a pedali sono di certo innumerevoli -, cui raramente fa seguito la volontà politica di affrontare il dissenso e, specularmente, di costruire il consenso per interventi che hanno la necessita di essere profondi, e senza i quali alla fine restano in mano solo promesse e belle parole.

Si sarà notato che l’attenzione è stata qui posta sull’infrastruttura stradale, nonostante Barcellona abbia anche un cospicuo programma di bike sharing. Questa scelta nasce in parte da perplessità di chi scrive circa il bike sharing per sé, legate a diversi aspetti, a) il noto fenomeno della tragedia dei commons – sperimentato non solo Roma, come spesso erroneamente si lascia intendere dalle nostre parti, ma anche a Parigi, dove vi è stata la necessità di sostituire l’80% del parco bici dopo solo due anni dall’introduzione del servizio – ed in molti altri contesti, ad esempio esperimenti controllati nei campus universitari americani), b) il fatto che, dopo tutto, le due città dove maggiormente si usa la bicicletta, Amsterdam e Copenhagen, non abbiano programmi di bike sharing, c) la pressoché sistematica assenza di valutazioni costi/benefici per operazioni che tendono ad assorbire ingenti risorse che potrebbero ben avere utilizzi alternativi migliori od essere distribuite in forme più efficienti (varie opzioni di tax credit, ad esempio), d) i segmenti di popolazione che finiscono davvero per beneficiarne e le criticità che ne fanno uno strumento ricreativo più che un affidabile mezzo di trasporto, e) senza contare che altre modalità di bike-sharing potrebbero emergere in modo spontaneo, si pensi ai casi, tra gli altri, di Spinlister, Cycleswap o AirDonkey); in parte dal fatto che sparpagliare punti bici in ogni dove senza prima aver pianificato (ed anche realizzato) luoghi fisici sicuri dove usarle, appare, a voler essere molto teneri, scelta curiosa. Tale, nondimeno, è (stata) l’esperienza in molte città del nostro paese. 

I dati di survey ci dicono che, per aumentare la disposizione ad usare la bici, l’elemento più importante è legato alla sicurezza percepita. Il modo migliore per rendere la bici sicura è quello di creare bike lane separate rispetto al resto del traffico. Ma qui la faccenda tende a diventare politica, cioè ad aprire dei conflitti. Se si vuole essere seri, va ridisegnata, seppur con gradualità, l’intera viabilità di città cresciute attorno all’automobile, senza pensare che siano eludibili scontri anche duri coi gruppi numericamente minoritari, ma ben organizzati che, per varie ragioni, non lo vogliono. Un po’ in tutto il mondo è (stata) una lotta – l’urbanista canadese Brent Toderian ha raccontato sull’Huffigton Post l’esperienza di Vancouver: o si è disposti ad ingaggiarla fino in fondo o moltiplicare i punti bici servirà a ben poco. La mancanza di tale volontà/forza – oltre forse a più difficili da definire aspetti culturali – è con tutta probabilità la ragione dell’arretratezza relativa che ci caratterizza.

Seppur lo spread sovrano tra Italia e Spagna, dopo lungo tempo, e nonostante una performance dell’economia iberica molto più vigorosa, sia tornato a pendere leggermente in nostro favore – forse a causa dell’incertezza legata alle elezioni regionali catalane di domani e della possibilità che il confronto con il governo centrale si inasprisca generando instabilità politica – resta che in termini organizzativi e di governance, di efficacia dei processi decisionali – i quali si traducono in servizi pubblici di alta qualità, trasporti in primis -, il divario tra i due paesi resta davvero molto elevato ed evidente. Allo stesso tempo, però, l’esempio spagnolo, come quello olandese prima, ci rammentano una forse più consolante verità: la rinascita e il declino, la prosperità e le miseria, la buona e la cattiva amministrazione… non sono un destino inevitabile, ma il frutto delle nostre scelte.

 

 

 

 

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