Economia circolare
Del sughero non si butta via niente
Esiste un materiale straordinario: ignifugo, impermeabile ai liquidi e ai gas, elastico, leggero. Un materiale che fa bene alla natura, e che non dove essere estratto dalle viscere della terra, perché cresce sugli alberi (contribuendo a proteggere l’Europa del sud dall’avanzata feroce del Sahara). Questo materiale si chiama sughero, e ha fatto la fortuna di una multinazionale su piazza dal 1870, e che fattura quasi 800 milioni di euro: Amorim Cork, colosso portoghese con quartier generale a Santa Maria de Lamas, nel nord del paese.
Molto attenta alla sostenibilità, del sughero la multinazionale non butta via niente. La parte più pregiata si trasforma in tappi per bottiglie di vino, il resto viene impiegato nell’edilizia, nel design, nella produzione di energia. Amorim Cork è un case study interessante su come si possa coniugare attività di impresa e sostenibilità. Con buona pace di chi ritiene l’economia circolare una chimera di studiosi e attivisti.
Gli Stati Generali si sono confrontati con l’amministratore delegato di Amorim Cork Italia, il lisbonese Carlos Veloso dos Santos, a margine del suo intervento al tavolo sull’economia circolare nel Brains Day 2019. Ecco alcuni estratti dell’intervista.
Cosa rende il sughero un materiale così speciale?
Il sughero è una materia amorfa. Si tratta di un rivestimento sviluppato milioni di anni fa da alcune piante per resistere al fuoco. In realtà tale rivestimento esiste anche nei frutti: se la grandine colpisce una pesca, ad esempio, sulla parte danneggiata si forma una cicatrice che ha le stesse caratteristiche del sughero. È composto per l’80% d’aria, e per il 20% da altre sostanze, fra cui tannini, cere e polisaccaridi. Ma proprio perché è composto in gran parte d’aria, combusta molto lentamente, è un ritardante di fiamma. Ha un’enorme efficacia termica ed è ignifugo, ecco perché è diffusamente usato nell’edilizia. È anche elastico, leggero e molto adattabile, ma soprattutto è impermeabile ai liquidi e ai gas; per tale motivo è utilizzato nel settore del vino.
L’azienda Amorim Cork è attiva dal 1870. Secondo lei a cosa deve la sua resilienza?
La virtù del nostro gruppo è che ha sempre pensato al sughero in una logica verticale: tutto lo sfrido che generiamo nella nostra produzione viene usato in qualche modo. E così, alla fine di questa catena del valore, non avanza assolutamente niente. Certo, è stata un’evoluzione che ha richiesto tempo. Amorim è il cognome di una famiglia che, nel 1870, ha iniziato a produrre i tappi di sughero per l’industria del vino di Porto, e per un certo periodo è stata un’azienda come tante. È stata la terza generazione di imprenditori Amorim, e in particolare Américo Amorim, a rendere possibile il grande salto di qualità, ossia l’integrazione verticale della produzione. Al punto che oggi, giunti alla quarta generazione di Amorim, non buttiamo via nulla del sughero, come dicevo poco fa. Neanche la polvere che si crea durante le lavorazioni, perché la bruciamo insieme alle pigne (visto che il Portogallo è un importante produttore di pinoli) per produrre energia da biomassa.
Quindi un ciclo produttivo interamente circolare…
Sì. Anche perché per produrre i tappi viene utilizzata la parte più pregiata del sughero: quella più elastica, più comprimibile e più morbida. Quella più rigida, che poi è la maggior parte, viene utilizzata in molti altri modi. La parte più densa e pesante, ad esempio, la usiamo per produrre dei pavimenti. Quando potiamo gli alberi, ogni dieci anni, togliamo il sughero dai rami, lo maciniamo e lo trasformiamo in un materiale isolante al 100% naturale. Il resto dei rami, invece, diventa legna da ardere.
Quali iniziative avete in campo sull’open innovation?
Un nuovo capitolo della nostra storia consiste nell’innovazione creativa, ossia nell’andare a utilizzare il sughero in molti nuovi processi. Quasi ogni settimana riceviamo proposte per includere il sughero in nuovi prodotti, e per questo Amorim ha deciso di creare una holding dedicata, Amorim Cork Ventures, che mette a disposizione un milione di euro l’anno per finanziare nuove applicazioni per il sughero. Amorim entra nella società al 25%, mentre agli ideatori rimane il 75%. Abbiamo già finanziato una decina di progetti, fra cui il più famoso è quello delle calzature con la suola realizzata in una miscela di sughero e gomma anziché interamente in gomma. Un altro progetto è quello di una startup che ha sviluppato un telaio per impianti di refrigerazione commerciale al 100% ecologico, riciclabile e a basso consumo energetico. Un’altra startup invece ha mescolato il sughero alla lana, al cotone e ad altri tessuti innovando nel tessile, e in particolare nella produzione di tappeti. In questo modo diversifichiamo anche il riuso.
Oggi in Italia si parla molto di agricoltura 4.0. Si può conciliare un nuovo modo di fare agricoltura con le esigenze di sostenibilità?
Oggi il mondo dell’agricoltura 4.0 non può prescindere dall’utilizzo delle specie autoctone. Il sughero è un patrimonio del Mediterraneo. Lo troviamo in Portogallo, in Italia, Francia, Nordafrica, Spagna. Come Amorim Cork stiamo lavorando a un modello di business che parte proprio dalla riforestazione del Portogallo con l’albero di sughero. Un modello che potrebbe essere replicato anche in Italia. Per darle un’idea: oggi in Portogallo una foresta di sughero, essendo spontanea, ha una densità bassissima, parliamo di cinquanta piante per ettaro. In Italia è ancora peggio perché troviamo il sughero solo in alcune regioni o zone: Sicilia, Calabria, Toscana, Sardegna e Maremma laziale.
Oggi, pensando a una riforestazione sostenibile in una logica 4.0, si potrebbe coltivare il sughero come si fa già con gli ulivi, utilizzando l’irrigazione goccia a goccia. È questo il progetto che stiamo sviluppando; l’azienda ha investito 55 milioni di euro in tremila ettari di coltivazione intensiva di sughero. È un progetto a medio-lungo termine, perché il ritorno dell’investimento sarà fra 21 anni, ma in questo modo aumenteremo la densità del sughereto da 50 a 300 piante a ettaro; e la coltivazione del sughero diventa economicamente molto interessante.
Del resto durante il tavolo “Circular Thinking: produrre e innovare per un’economia sostenibile” del Brains Day, lei ha detto che la sfida principale per voi del settore è che di sughero non ce n’è abbastanza.
Infatti. Da qui il senso del nostro progetto sul riciclo dei tappi usati. Solo in Italia si buttano nella spazzatura 4mila tonnellate di tappi di sughero all’anno: significa 800 milioni di tappi! E dato che i tappi sono prodotti con la frazione più pregiata del sughero, se riuscissimo a recuperarli avremmo a disposizione un ottimo materiale per numerose altre applicazioni, in ambito edilizio, di design ecc.
Ancora, tra qualche mese lanceremo la nostra prima linea di oggetti di design realizzati con i tappi riciclati. Miriamo a un modello di economia circolare sostenibile a partire da un rifiuto che così diventa economicamente interessante, visto che attraverso il design la materia viene valorizzata. Con queste iniziative speriamo anche di offrire un ulteriore esempio di come sia possibile costruire dei modelli di business remunerativi ma virtuosi a partire da una risorsa che, ora come ora, non viene affatto sfruttata.
Come sono i vostri rapporti con il tessuto produttivo italiano, nordestino in particolare?
Amorim Cork Italia è la filiale italiana del gruppo Amorim in Italia, dedicata al mondo dei tappi. In Italia vendiamo 600 milioni di tappi a circa 3mila cantine, dall’Alto Adige alla Sicilia. Abbiamo la nostra sede a Conegliano per mere ragioni storiche, quando siamo arrivati in Veneto il settore del prosecco era a 15 milioni di bottiglie, oggi ne fa 550 milioni. A Conegliano, in ogni caso, siamo nell’ombelico del mondo vinicolo italiano.
Quali sono gli orizzonti geografici per le vostre sugherete?
Al momento sono il Portogallo e la Spagna. I due paesi insieme rappresentano l’80% della produzione mondiale di sughero, quindi hanno anche una propensione naturale ad aumentare la propria quota nel settore. Fare investimenti del genere in paesi che rappresentano appena il 3 o il 4% della produzione mondiale, com’è il caso dell’Italia, non sarebbe economicamente sostenibile. Dobbiamo lavorare dove abbiamo gli impianti di trasformazione. Anche perché il sughero è una materia estremamente leggera ma molto voluminosa, e le nostre fabbriche devono essere vicine ai luoghi di produzione. Quindi daremo la precedenza alle regioni dove siamo già presenti con le nostre industrie: sostenibilità significa anche questo.
Immagini: Pixabay
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