Clima
weplaygreen, la community del 2
A volte anche dei piccoli gesti possono servire a riattivare la nostra attenzione riguardo temi di grande importanza e di interesse planetario.
Temi che dovrebbero toglierci il sonno e che invece, giorno dopo giorno, scivolano nel calderone dell’indifferenza generale, dentro quel pentolone che, complice il tempo, fagocita guerre, povertà, problemi ambientali, crisi umanitarie. Più il tempo passa e più tutto diventa ai nostri occhi qualcosa di banalmente ordinario, “già visto”, superato da altri argomenti più freschi, più coinvolgenti. E spesso più banali.
Il tema della salvaguardia del nostro pianeta attraverso lo studio ed il contenimento dei cambiamenti climatici è uno di quei temi che tendono a scivolare in sesta pagina. L’impatto emozionale dell’uragano Greta si è assai raffreddato. Perché rovinarsi la giornata con le statistiche legate all’utilizzo delle fonti energetiche fossili quando possiamo mettere la testa sulle liste del Fantacalcio?
Proprio dal mondo del calcio arriva un gesto che vuole riportare la nostra attenzione sui temi ambientali.
Esiste una community chiamata weplaygreen #2 che vede primi attori diversi calciatori e calciatrici che hanno deciso di indossare la maglia di gioco numero 2. Il numero non è stato scelto a caso, ma corrisponde al limite invalicabile di riscaldamento climatico stabilito a Parigi nel 2015.
We Play Green è un movimento ambientalista fondato nel 2020 dal calciatore professionista Morten Thorsby. Si tratta di un’organizzazione no-profit norvegese impegnata a creare una reazione a catena verde di atteggiamenti e azioni sostenibili all’interno della famiglia calcistica globale.
Proviamo a spiegare meglio questo importante “accordo di Parigi”.
In occasione della Conferenza sul clima tenutasi a fine 2015 a Parigi è stato stipulato un nuovo accordo sul clima per il periodo dopo il 2020 che, per la prima volta, impegna tutti i Paesi a ridurre le proprie emissioni di gas serra. In tal modo è stata di fatto abrogata la distinzione di principio tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo. L’Accordo di Parigi, uno strumento giuridicamente vincolante nel quadro della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Convenzione sul clima, UNFCCC), comprende elementi per una riduzione progressiva delle emissioni globali di gas serra e si basa per la prima volta su principi comuni validi per tutti i Paesi: l’Accordo di Parigi persegue l’obiettivo di limitare ben al di sotto dei 2 gradi Celsius il riscaldamento medio globale rispetto al periodo preindustriale, puntando a un aumento massimo della temperatura pari a 1,5 gradi Celsius. Inoltre mira a orientare i flussi finanziari privati e statali verso uno sviluppo a basse emissioni di gas serra e a migliorare la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici.
L’Accordo impegna tutti i Paesi, in forma giuridicamente vincolante, a presentare e commentare ogni cinque anni a livello internazionale un obiettivo nazionale di riduzione delle emissioni (Nationally Determined Contribution, NDC). Il raggiungimento dell’obiettivo è vincolante solo dal punto di vista politico, mentre sono giuridicamente vincolanti l’attuazione delle misure nazionali e la rendicontazione sul grado di raggiungimento degli obiettivi.
L’Accordo stabilisce inoltre prime regole per definire gli obiettivi di riduzione dei singoli Paesi. Tali obiettivi devono essere chiari e quantificabili. Inoltre, ogni obiettivo successivo deve dipendere da quello precedente ed essere il più ambizioso possibile. I Paesi che hanno già annunciato un obiettivo di riduzione fino al 2030 possono confermarlo per il periodo 2025-2030 senza dover aumentare la prestazione di riduzione. L’Accordo basato sul principio delle regole dovrà poter essere ampliato per i prossimi anni. Le nuove regole saranno tuttavia vincolanti solo per gli obiettivi di riduzione successivi.
Per il raggiungimento degli obiettivi ai sensi dell’Accordo le emissioni ottenute all’estero sono ammesse per il raggiungimento degli obiettivi ai sensi dell’Accordo, purché siano rispettose dell’ambiente, contribuiscano allo sviluppo sostenibile e non causino doppi conteggi. In questo contesto, l’articolo 6 dell’Accordo di Parigi ammette due tipi di riduzioni delle emissioni conseguite all’estero (Internationally transferred mitigation outcomes, ITMOS): quelle che risultano da un meccanismo regolato dall’Accordo di Parigi e quelle che risultano da accordi bilaterali e multilaterali.
L’Accordo mette praticamente fine alla severa distinzione di principio fra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo. Ai Paesi più poveri viene concesso un certo margine di discrezionalità per l’attuazione. I Paesi industrializzati sono inoltre esortati, ma non obbligati, a rispettare il loro ruolo di pionieri, continuando a fissare obiettivi assoluti sull’insieme dell’economia. In cambio, i Paesi in via di sviluppo sono invitati a perseguire anche obiettivi sull’insieme dell’economia. La distinzione fra i Paesi è dinamica poiché gli obiettivi di riduzione sono fissati a livello nazionale e devono rappresentare la maggiore ambizione possibile di un Paese. L’obiettivo di riduzione di ogni Paese è quindi misurato in base alla propria responsabilità e alle capacità mutevoli in ambito climatico.
Per l’adattamento ai cambiamenti climatici, tutti i Paesi devono elaborare, presentare e aggiornare a scadenze regolari piani e misure di adattamento. Ogni Paese può definire autonomamente il momento e la forma della presentazione a livello internazionale. I Paesi devono inoltre stilare un rapporto periodico sulle misure di adattamento. L’accordo rafforza i meccanismi esistenti di prevenzione e riduzione di perdite e danni (Loss and Damage), escludendo esplicitamente la responsabilità e la compensazione.
L’Accordo di Parigi non stabilisce nuovi obblighi in merito al finanziamento climatico. I Paesi industrializzati sono come finora tenuti, dal punto di vista giuridico, a sostenere i Paesi in via di sviluppo nell’adozione delle loro misure di adattamento e di riduzione delle emissioni. Per la prima volta, anche i Paesi non industrializzati sono invitati a sostenere i Paesi in via di sviluppo e a promuovere investimenti rispettosi del clima. Nell’ambito del finanziamento climatico la distinzione a livello di regime climatico internazionale fra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo non è quindi stata abrogata, ma sensibilmente indebolita. La mobilizzazione di investimenti da fonti pubbliche e private è ora un compito generale. I Paesi industrializzati devono tuttavia continuare a svolgere un ruolo di pioniere. L’obiettivo comune di mobilizzare ogni anno, a partire dal 2020, 100 miliardi di dollari USA di fondi finanziari privati e pubblici è stato confermato fino al 2025 mentre per il periodo successivo è stato delineato un nuovo obiettivo analogo. I Paesi industrializzati sono di conseguenza obbligati a presentare ogni due anni un rapporto relativo ai fondi mobilizzati e, nella misura del possibile, fornire indicazioni sulla qualità e la quantità di fondi previsti per gli anni successivi. Le regole per tale rendicontazione dovranno essere ulteriormente approfondite. Analogamente, i Paesi in via di sviluppo sono tenuti a presentare ogni due anni un rapporto sui fondi necessari e ricevuti come pure sugli investimenti rispettosi del clima mobilizzati da parte loro e il finanziamento climatico internazionale.
L’Accordo prevede che per l’entrata in vigore occorra la ratifica dei 55 Paesi che generano il 55 per cento delle emissioni globali. Tale quorum è già stato raggiunto il 5 ottobre 2016; di conseguenza, nel novembre 2016 si è tenuta la prima Conferenza delle parti dell’Accordo di Parigi (CMA). La Svizzera ha ratificato l’Accordo di Parigi il 6 ottobre 2017 e ha adottato un obiettivo di riduzione del 50 per cento rispetto al 1990 entro il 2030, utilizzando in parte anche certificati di riduzione delle emissioni esteri. Ha inoltre annunciato un obiettivo complessivo di riduzione indicativo entro il 2050 che va dal 70 all’85 per cento rispetto al 1990, utilizzando in parte anche certificati di riduzione delle emissioni esteri.
L’ultima calciatrice che ha aderito al progetto weplaygreen2 è Sofie Junge Pedersen @sofiejungepedersen centrocampista della Juventus Women e della nazionale danese che ha deciso di lasciare il suo abituale numero di gioco, il 14, per indossare l’iconica maglia numero 2.
“A partire da questa stagione, giocherò con il numero 2 sulla schiena e entrerò nella #2 community. Il #2 rappresenta il limite di 2°C del riscaldamento globale fissato nell’accordo di Parigi del 2015, da questa stagione giocherò con un duplice obiettivo, uno sportivo ed uno di matrice ambientale.
Il calcio ha una grande capacità di coinvolgimento; per realizzare un cambiamento enorme è necessario che altri attori si uniscano a noi. Abbiamo bisogno che tutti lavorino insieme per fermare ulteriori cambiamenti climatici e ambientali. Non vedo l’ora di lottare per una grande stagione e per un pianeta vivibile. Rendiamo possibile il gioco del futuro!”
Particolarmente felice per l’adesione di Sofie è il fondatore di weplaygreen, Morten Thorsby: “Sofie ha già dimostrato di essere in grado di avere un impatto sia dentro che fuori dal campo e non vediamo l’ora di vedere dove la porterà il suo viaggio sia cme atleta che come attivista!”
La community nasce nel 2015, quando un giovane Morten Thorsby riesce a convincere la sua squadra di football, l’Heerenveen, ad acquistare biciclette che i giocatori potessero utilizzare dal complesso di allenamento allo stadio come un modo per incoraggiare una minore impronta di carbonio. Poco dopo, Morten ha iniziato ad aumentare la sua partecipazione alle ambizioni di sostenibilità del club. La sua collaborazione è valsa all’Heerenveen il premio per lo stadio più sostenibile d’Olanda nel 2016 dopo aver lavorato per aggiungere pannelli solari al tetto dello stadio e aver sostenuto una minore quantità di carne nel menu.
Dopo qualche anno, Morten incontra il ministro dell’Ambiente italiano dell’epoca, Sergio Costa. Grazie a questo incontro, nella mente di Morten si fortifica l’idea di legare insieme calcio e ambiente. Nasce We Play Green. Nella stagione 2020/21, Morten cambia il suo numero in 2 ed oggi sempre più atleti stanno seguendo il suo esempio.
Un piccolo gesto per ricordare a tutti noi un grande problema.
Fonti consultate: Ufficio Federale per l’Ambiente della Confederazione Elvetica. — https://www.weplaygreen.com
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