Clima

Transizione Ecologica e Digitale tra Eu e Cina: che fare con Huawei

31 Agosto 2022

In agosto l’Olanda, pesantemente colpita dalla siccità, ha scoperto che il gigantesco data center di Microsoft nel nord del paese ha consumato 84 milioni di litri di acqua potabile nel 2021. Fino a sette volte di più dei 12-20 milioni che l’azienda aveva preventivato. Anche Google utilizza la stessa tecnologia di raffreddamento per i suoi server olandesi. Le autorità locali stanno ora rivalutando i piani di espansione delle due aziende. Computer, server, reti e altri dispositivi elettronici richiedono grandi quantità di risorse naturali. L’energia per farli funzionare emette elevate quantità di CO2, mentre l’obsolescenza programmata e la bassa percentuale di riciclaggio (20%) generano rifiuti elettronici. La stragrande maggioranza dei dati presenti nel cloud non viene utilizzata, e questo comporta un enorme spreco di energia. Senza negare i numerosi benefici apportati da queste tecnologie, anche per l’ambiente, è importante tenere conto degli impatti per disegnare un uso delle tecnologie digitali più ecologico.

Ma come ha dichiarato in recente intervento il direttore generale della direzione della Commissione europea per il mercato digitale (DG CONNECT), mentre esistono metriche chiare sui problemi, quelle sugli aspetti “positivi” delle tecnologie digitali sono molto meno chiare. Per valutare e gli impatti e quantificare i benefici servono casi di uso reale.

Quello che è chiaro è che con l’accelerazione del cambiamento climatico questi effetti diventano sempre più visibili e gravi. Il caso dell’Olanda dimostra che le crisi ambientali spingeranno i legislatori a mettere un freno alla crescita bulimica del settore.

Di sicuro le aziende stanno già ripensando i loro modelli di business e i prodotti per puntare sulla qualità ambientale e climatica. ICT, intelligenza artificiale, supercomputer possono infatti anche fornire un importante contributo alla soluzione dei rischi ambientali e ridurre il consumo di energia e risorse nei vari settori industriali.

Nell’estate del 2022, la siccità colpisce il mondo. In Cina la situazione è peggiore che altrove e ha costretto il governo ad intervenire, anche con la chiusura di fabbriche in alcune province. E quindi in quest’ottica può essere letto, sia pure tenendo conto di altri rilevanti fattori, anche l’allarme lanciato di recente dal fondatore di Huawei, uno dei giganti del settore delle telecomunicazioni sul futuro dell’azienda. Per “periodo storico molto doloroso” di contrazione economica e “Huawei deve ridurre le aspettative”.

Per sopravvivere Huawei punta a tagliare i costi e concentrarsi sui settori che generano fatturato, certo. Ma anche a crescere nel settore delle tecnologie ambientali per la transizione energetica e la mitigazione dei cambiamenti climatici.

Si tratta di una scelta logica. Gli immensi sforzi di riconversione e trasformazione richiesti dalla transizione ecologica rappresentano, secondo John Kerry “la più grande opportunità economica della storia”.

Inoltre, il clima resta forse l’unico ambito di cooperazione possibile tra potenze sempre più rivali. È infatti chiaro che per rispondere alla domanda crescente di soluzioni sarà necessario l’impegno di tutti, possibilmente in un contesto di cooperazione competitiva a livello globale. Secondo le Nazioni Unite la sfida del cambiamento climatico richiede una collaborazione senza precedenti tra imprese e stati. Alle aziende si chiede disponibilità alla co-creazione e al deployment congiunto di soluzioni. L’urgenza della crisi impone risultati immediati. Nessuno, ragionevolmente, potrebbe rinunciare all’acquisizione e all’utilizzo di tutte le tecnologie e le soluzioni migliori e più efficaci.

Il caso di Huawei è emblematico. Con il suo capitale di soluzioni e innovazione e l’esperienza di implementazione in Cina, il gigante di Shenzhen potrebbe rivelarsi un prezioso alleato per le aziende europee del settore, aprendo anche a un potenziale scambio di tecnologie e competenze verso l’Europa. In controtendenza con quanto avvenuto fino ad ora, a vantaggio delle aziende cinesi. Un esempio di cooperazione Huawei lo ha costruito a Witnica, in Polonia, dove si trova il più grande parco solare del paese (64,6 MW di potenza), realizzato dalla tedesca BayWa r.e., senza sussidi statali, per cui l’azienda ha fornito inverter innovativi ad alta efficienza.

L’esperienza maturata sul mercato cinese, che si è spesso dimostrato un laboratorio per l’uptake di innovazioni su vasta scala, potrebbe aiutare partner europei anche a concretizzare il potenziale di efficienza energetica e di risorse – stimato fino al 50% del consumo attuale – delle tecnologie digitali, aumentando al contempo la nostra capacità competitiva sul mercato globale.

Il potenziale di queste tecnologie viene esplorato già oggi nella realtà di grandi città cinesi, in modo spesso più avanzato che in Europa. È il caso, ad esempio, dei gemelli digitali a Shenzhen, che permettono la gestione integrata degli asset e dei sottosistemi urbani per migliorare significativamente i livelli di risparmio energetico e delle risorse, aumentando l’efficienza dei servizi pubblici e dei consumi privati. Ciò avviene integrando beni, edifici e servizi urbani, dalla gestione dei rifiuti all’utilizzo dell’acqua, fino all’assistenza sanitaria e alla mobilità, in un ambiente dinamico e collegato in rete.

D’altra parte, l’integrazione dell’ambiente costruito e della mobilità urbana è uno degli obiettivi dei programmi di ricerca europei fino al 2027.

E già adesso Huawei sta lavorando con partner europei. Ma le cose potrebbero cambiare se non verranno affrontati in modo convincente problemi fondati relativi alla sicurezza e protezione dei dati, dei sistemi, delle reti e delle strutture strategiche. Al di là delle questioni tecniche, si tratta comunque anche di scelte politiche.

L’attuale fase complessa delle relazioni tra Europa e Cina potrebbe far perdere alle imprese europee una significativa opportunità di accelerazione nelle tecnologie e nel business.

Sono temi che potranno essere definiti solo nel quadro di una coerente costruzione della sovranità europea che è anche industriale e tecnica, come ha ricordato in un importante discorso a Praga ieri il Cancelliere tedesco Scholz. Tratteggiando la sua visione per il futuro della Ue, Scholz insiste in particolare sul controllo delle catene di produzione dei semiconduttori.

“L’ indipendenza economica”, afferma però Scholz, “non significa autosufficienza”. Secondo il Cancelliere c’è bisogno di un “game plan”, qualcosa come “una strategia Made in Europe 2030”.

Per il Cancelliere tedesco resta valida, tuttavia, nei rapporti con la Cina, la triade “partner, concorrente e rivale”. La strada passa dalla diversificazione degli approcci politici ed economici, delle forniture, accrescendo nel mentre il peso, anche militare, dell’Europa unita.

E quindi, come agire sul sentiero stretto tra cooperazione e competizione? Come rispondere, insieme alle sfide del cambiamento climatico in un mondo sempre più frammentato? Sono domande che restano aperte.

Quello che è certo oggi è che una transizione veloce non è più una questione di scelta, ma una necessità.

 

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.