Clima
TAV e cambiamento climatico: perché il bilancio di CO2 non giustifica l’opera
Marco Ponti, il professore che ha coordinato la tanto discussa analisi costi-benefici della TAV Torino-Lione, fu il mio relatore della tesi triennale in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio. Ciò che mi affascinò al tempo del suo corso, e mi portò a fare la tesi con lui, era la questione delle esternalità e di come gli impatti ambientali e sociali potessero essere inclusi (internalizzati) in una valutazione economica di un progetto. Nonostante fossi particolarmente scettico riguardo alla monetizzazione degli impatti ambientali, ovvero alla loro riduzione a meri valori economici, mi sembrò un ottimo sistema per comunicare con quelle persone che ragionano semplicemente in termini di crescita economica e profitti.
Così, nonostante ora viva in Canada e la questione della TAV mi riguardi solo indirettamente, per curiosità data dalle varie reazioni suscitate, ho deciso di dedicare una mattina alla lettura di quest’analisi. Lo studio è accessibile sul sito del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e consiglio a chiunque voglia esprimersi sulla TAV di dargli una lettura, almeno per evitare il sempre più comune rischio di parlare senza cognizione di causa. Senza entrare troppo nel merito dell’analisi, vorrei focalizzarmi più sulle reazioni che questa ha suscitato.
I commenti di risposta all’analisi mi sono sembrati in linea con le idee espresse dagli interessati prima della sua pubblicazione, il che mi ha fatto venire il dubbio che l’analisi o non sia stata letta o non sia stata capita. Due ideali sembrano motivare coloro che vogliono l’infrastruttura a tal punto da scendere in piazza per reclamarla: 1) il progresso inteso come crescita economica e 2) la difesa dell’ambiente. C’è chi li sostiene entrambi, come Chiamparino, o chi invoca principalmente il primo, come Salvini o le madamin di Torino.
Per quanto riguarda il primo movente, faccio davvero fatica a comprenderlo. Se analisi redatte da professori universitari sostengono che l’opera sia economicamente svantaggiosa per l’Italia, in base a cosa queste persone sostengono il contrario? Sono in possesso di analisi più autorevoli a riguardo o sono anche loro esperti di economia e non sono d’accordo su alcuni assunzioni fatte nell’analisi? Restando fermi sulle proprie idee nonostante studi scientifici provino il contrario, a me ricordano più i NoVax che esperti nel settore. Inoltre, che interessi potrebbe avere una persona nel non volere un’opera se questa fosse vantaggiosa economicamente e ambientalmente?
Per quanto riguarda invece la difesa ambientale, ho tre diverse considerazioni. La prima è che dall’analisi emerge che i vantaggi ambientali siano piuttosto bassi a fronte dell’investimento economico (500 mila tonnellate di CO2 risparmiate a fronte di un investimento di 8 miliardi di euro). Sebbene mi schiererei a favore dell’ambiente indipendentemente da qualsiasi analisi economica, la mia domanda è: se abbiamo davvero a cuore l’ambiente (sorprendente!), non varrebbe la pena investire quei soldi in azioni che porterebbero ben maggiori benefici ambientali? Se non si sa quali azioni, posso suggerirne qualcuna: efficientamento energetico degli edifici, produzione di energia da fonti rinnovabili, potenziamento di treni/metropolitane dove c’è davvero domanda, mobilità elettrica, ecc. Ad esempio, se gli stessi soldi fossero investiti in energia fotovoltaica, si potrebbero risparmiare tra le 200 e le 300 volte (!) le tonnellate di CO2 che si risparmierebbero con la TAV, a seconda che ad essere sostituite fossero centrali a gas o a carbone.
La seconda considerazione riguarda la particolare situazione climatica in cui ci troviamo. Secondo le stime dell’IPCC, le emissioni di anidride carbonica che ci sono ancora concesse (budget di carbonio) per onorare gli accordi di Parigi si stanno velocemente azzerando. Le emissioni globali di CO2 nel 2018 sono state pari a 42 miliardi di tonnellate e quelle che ci sono ancora concesse per avere una probabilità del 66% di restare sotto la soglia di 1,5°C in più rispetto all’era preindustriale sono circa 380 miliardi di tonnellate. Significa che se iniziassimo oggi a ridurre le emissioni, tra una decina d’anni dovremmo avere già ridotto le nostre emissioni di più del 60% (vedi figura). Questo, oltre a mettere in ridicolo gli obiettivi italiani e europei di riduzione delle emissioni al 2030 (pari al 33% rispetto alle emissioni del 2005), evidenzia come la riduzione delle emissioni a effetto serra debba avvenire oggi poiché tra 10 anni, ovvero quando la TAV potrebbe essere conclusa, la finestra sarà già chiusa. Questo significa che se vogliamo provare a evitare la catastrofe, tutti i soldi a disposizione in questi anni devono essere utilizzati per ottenere una riduzione immediata degli impatti e per adattarsi. La differenza tra restare sotto il grado e mezzo o superarlo sono state presentate in maniera a dir poco allarmante nell’ultimo report dell’IPCC e può essere riassunta in due parole: caos e morte.
Infine, c’è un ultimo non trascurabile problema. Sebbene le esternalità del cantiere (ovvero gli impatti ambientali e sociali della fase di costruzione dell’opera) siano state escluse dall’analisi coordinata da Ponti in modo da sovrastimare i benefici dell’opera, gli impatti ambientali della costruzione di un’infrastruttura sono tutt’altro che irrilevanti. La CO2 viene emessa sia durante la produzione dei materiali che andranno a comporre l’infrastruttura (come ad esempio il calcestruzzo e l’acciaio), sia nella generazione di energia necessaria a far funzionare i macchinari impiegati in fase di costruzione. Basti pensare che la sola produzione di un singolo metro cubo di calcestruzzo ad alta resistenza meccanica generi circa 350 kg di CO2. Per di più queste emissioni avverrebbero nella finestra temporale in cui dobbiamo azzerare completamente le nostre emissioni!
Alla luce di tutto ciò, non varrebbe la pena oggi focalizzare gli sforzi nell’azzerare le emissioni di CO2 e, eventualmente, riparlare di TAV tra 10 anni? Allora, con nuovi dati, nuove tecnologie a minor impatto ambientale e (si spera) un futuro per la specie umana, si potrebbe aggiornare l’analisi costi-benefici includendo l’intero ciclo di vita dell’opera e rivalutarne la fattibilità. Non si sa mai che, tra 10 anni, anche le madamin torinesi avranno cambiato la loro idea di progresso.
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