Clima
Simone Coccia e la controversa storia della fissione nucleare in Italia
Simone Coccia, analista ricercatore con una particolare sensibilità verso i temi ambientali, si è cimentato nella realizzazione di un’opera nel tentativo di porre al grande pubblico il tema della produzione dell’energia sotto una diversa luce. Negli anni si torna ciclicamente a discutere di autonomia energetica, soprattutto quando intervengono grandi episodi geopolitici a destabilizzare i mercati e, invariabilmente, la scena si popola di falsi miti alimentati da oracoli prezzolati, politici patetici, guru dediti alla disinformazione e artisti della zuffa.
Non è facile quindi farsi un’idea libera poiché, come Luigi Einaudi a suo tempo proferì lapidariamente, per deliberare correttamente bisogna necessariamente conoscere l’argomento di cui si dibatte. L’opera mi è parsa da subito un bel sasso nello stagno, scorrevole e coinvolgente ed è certamente rivolta a tutti coloro che vogliono andare oltre gli slogan. Il libro (216 pagine) è corredato di numerose immagini a colori e anche di una importante bibliografia che, per ogni argomento trattato, rimanda alle fonti e questo consente, per chi ne abbia voglia, di dedicarsi agli approfondimenti senza alcun limite. L’impressione che si ha leggendo è che in quelle righe nulla è lasciato al caso.
Io e Coccia ci incontriamo in un caffè ed inizio con le domande:
D: Qual è il motivo del suo interesse per l’atomo come fonte di energia? Lei è un fisico? Un militante del movimento Verde?
R: Inizierò col dare scandalo: non sono né fisico né un ingegnere nucleare – ma nemmeno un attivista politico o di altra natura, al massimo posso reputarmi un attivista dell’informazione. Secondo una lettura molto diffusa, per il fatto di non essere un fisico o un ingegnere non avrei diritto di proferire parola nel merito. In realtà ritengo che uno dei mali che ruotano attorno al dibattito è che ci si affida troppo spesso ed in modo esclusivo ai pareri dei tecnici.
D: La sua è una negazione delle competenze?
Tutt’altro! Ce ne fossero di ingegneri e sempre di più preparati! Intendo dire che, attorno al tema della produzione di energia, si toccano un numero di aspetti di grande rilevanza che vanno ben oltre le questioni tecniche e che necessitano della stessa se non maggiore attenzione, tra cui le questioni economiche, sociali, politiche e geopolitiche. Un tema simile richiede imperativamente un approccio olistico e multidisciplinare, gli ingegneri dovrebbero dissertare possibilmente in modo mirato per ciò che compete loro e mettersi in ascolto delle altre competenze usando un po’ più di umiltà. Io sono un analista ricercatore e, semplificando, mi occupo di raccogliere informazioni e metterle insieme il più possibile con diligenza e con un’attenzione maniacale verso la qualità delle fonti. La sintesi la lascio ai lettori, questo è il mio metodo.
D: Provocazione: e se lei utilizzasse il metodo del “cherry picking” per pilotare una certa sintesi?
R: Osservazione corretta e spesso avanzata dai detrattori. Dimostrare obiettività non è semplice, soprattutto per chi vive condizionamenti culturali forgiati da anni di attivismo di un certo tipo. Ma non c’è soluzione a questo, se non fare appello al buon senso – argomento sempre scivoloso – e fare bene il proprio lavoro ponendosi obiettivi che vanno oltre gli interessi specifici. Personalmente posso solo affermare di non essere pagato da alcun ente o organizzazione di sorta, nel mio curriculum non ci sono evidenze di partecipazioni che possano far sospettare interessi particolari. Questo in teoria dovrebbe bastare. Voglio dire che, se vai in giro per il mondo a propagandare l’assoluta bontà delle centrali nucleari ma sei dipendente di Fincantieri, forse un dubbio sulla tua obiettività dovrei pormelo. Per questo invito sempre la platea ad andare oltre a ciò che gli viene mostrato ed a mettersi sempre in discussione, ovvero a non stancarsi mai di esercitare il pensiero critico e soprattutto di non fidarsi delle risposte semplici date a temi complessi. Poi ogniuno di noi non è infallibile e certo non lo sono nemmeno io, abbiamo le nostre idee e, per quanto possiamo cercare di essere equilibrati ed imparziali, basiamo le opinioni su quelle, è inevitabile.
D: Perché la parola “spacca” nel titolo?
R: È un gioco di parole: l’energia nella fissione nucleare la si produce attraverso un processo che “spacca” l’atomo in due. Nello stesso tempo l’argomento fissione, sin dalla sua nascita, non ha fatto altro che “spaccare” pareri ed opinioni, sino ad introdurre veri e propri sconvolgimenti nella politica, nella geopolitica, nella società. Ed ancora oggi lo fa caparbiamente. In questo libro racconto soprattutto di queste divisioni.
D: Se non ricordo male a suo tempo c’è stato un referendum che ha messo al bando il nucleare come fonte di energia.
R: L’opera apre proprio con il tema referendum. In realtà sono stati due: il primo nel 1987, tra i maggiori promotori l’allora Partito Radicale, che non partorirà un secco “no” all’utilizzo dell’energia nucleare, ma attraverso alcuni veti ne metterà i bastoni tra le ruote e sarà più utile per innescare una sorta di volano politico che porterà al definitivo abbandono delle attività nucleari. Nel 2008 il governo Berlusconi tenterà di rilanciare l’argomento intenzionato a costruire una decina di centrali a fissione nucleare: la proposta, come le maldestre manovre per metterla in campo, infiammerà il dibattito ed il partito Italia dei Valori promuoverà un nuovo referendum nel giugno del 2011. Stavolta i quesiti punteranno dritti verso l’abrogazione delle norme che consentivano l’utilizzo dell’energia nucleare nel territorio italiano. La consultazione sarà un vero successo, raggiungerà l’affluenza del 54% ed i SI otterranno uno straordinario 94,05 %.
D: L’energia è un tema evergreen, mai come in questa fase storica se ne parla ovunque: il suo libro non rischia di affogare nel mare magnum dell’informazione?
R: È vero, c’è una sorta di infodemia che riguarda tanti temi, non di meno quello dell’energia, sembrerebbe difficile aggiungere ancora qualcosa a quel che si è già detto. Eppure ad un occhio attento non può sfuggire una questione fondamentale, direi dirimente: di energia se ne parla tanto ma malissimo.
D: È un argomento vasto e complesso: un solo libro cosa può fare?
R: Innanzitutto invitare nel porsi in maniera differente rispetto al mainstream. Questa mia opera non dà risposte ma aiuta a ragionare sui fatti, o almeno questo è il suo intento.
D: Si spieghi meglio.
R: Viviamo un’epoca di regressione dell’intelletto, l’imperativo è semplificare tutto prima di servire un argomento ai fruitori autorizzando chiunque a dire la propria, anche se quel chiunque non sa nulla in merito. E così tutti discutono di tutto pur non avendone titolo, convinti che la loro opinione possa avere un peso, un valore, avendo poi oggi, grazie al digitale, un palcoscenico, una piattaforma su cui esibirsi ed essere ascoltato da migliaia di persone. Di questi tempi la cultura in larga parte si forma in questo modo.
D: Dove vuole arrivare?
R: Ha presente il periodo del Covid19? Una moltitudine di persone invece di appassionarsi alle migliaia di vite che il virus falciava, ha preferito credere al grafene che pilotava le coscienze e che fosse il vaccino ad uccidere. Abbiamo vissuto l’incubo del derby tra i si-vax e i no-vax con le loro ridicole argomentazioni. Abbiamo perso migliaia di vite anche grazie alla confusione generata, abbiamo avuto ritardi pazzeschi nelle terapie perché ogni giorno avevamo qualche luminare che in tv ce la raccontava diversa. La contrapposizione generata è stata distruttiva, uno scontro insensato tra Guelfi e Ghibellini che se le davano di santa ragione senza sapere nemmeno perché, mentre la gente moriva in pronto soccorso senza che un parente potesse dargli l’ultimo saluto.
D: Si, ma torniamo al suo libro.
R: Ci arrivo: quello che è accaduto col Covid accade da decenni tra i no-nuke e i si-nuke, in maniera molto più strutturata e subdola perché, se il fronte no-vax / si-vax ha vissuto un periodo di incubazione di un paio d’anni, i no-nuke / si-nuke se le danno da decenni e hanno raggiunto formazioni molto ben strutturate. Riescono a spargere in modo organizzato talmente tanto fango attorno al tema che nessuno ci capisce più nulla e l’unica situazione che si viene a creare è il noto clima da stadio. E quindi addio informazione. Stessa cosa sta accadendo tra i si-Bev ed i no-Bev a proposito dell’auto elettrica.
D: Ma c’è qualcuno che ci guadagna nella confusione?
R: Direi nessuno, ma l’illusione di molti di poter piegare l’opinione pubblica a proprio uso e consumo è granitica e nel caos vi si riesce meglio. Alcuni politici – non tutti per fortuna – ne sono un fulgido esempio. Cianciano di cose che non capiscono nemmeno loro usandole per le loro campagne elettorali – come chi sponsorizza i termovalorizzatori come strumenti “green”, un ossimoro -, contando su storici zoccoli duri che sposano l’argomento in modo totalmente ideologico. Il ministro Salvini da tempo va promettendo un nucleare sicuro di IV Generazione, qualcuno gli dica che in Europa ancora non riusciamo a far andare la III Generazione e la IV esiste solo sulla carta. Ma l’opinione pubblica è incline a metabolizzare di tutto e finisce in larga parte per convincersi di ciò che gli viene subdolamente propinato.
D: Quindi meglio il solare della fissione nucleare?
R: Ecco, questa è la domanda che non vorrei mai sentire, anche se è la più gettonata.
D: Mi pare una domanda banale.
R: Esattamente, ed è proprio per questo che non può ottenere una risposta, per la sua banalità.
D: Insomma, cosa c’è nel suo libro?
R: Racconto in modo molto semplice come si produce energia attraverso la fissione, una spiegazione rivolta a tutti, poi si va per un breve panorama delle tecnologie principali usate nel campo con accenni ai loro successi e insuccessi. Dagli aspetti tecnici si passa alla storia, dal momento in cui grazie a scienziati come Enrico Fermi si scinde il primo atomo fino a quando la tecnologia verrà usata per scopi bellici. Distrutta Hiroshima e Nagasaki si torna a parlare di energia nucleare per scopi civili e di come il settore militare non se ne disinteresserà mai, anzi.
Racconto della politica italiana che dà il peggio di sé per decenni, fino a quando l’opinione pubblica, maltrattata da prevaricazioni, abusi, bugie, incidenti nascosti, falsa informazione, con il primo referendum costringe il settore a gettare l’ancora; racconto di quando Berlusconi cercò maldestramente di rilanciare il comparto, bloccato poi dal secondo esito referendario.
E ancora di come il settore militare permei la tecnologia e di come il comparto civile dipenda da quello militare e non il contrario, di come gli stati canaglia usino la tecnologia civile per alimentare i propri arsenali. La proliferazione atomica è un argomento attualissimo ed in grande fermento, ma se ne parla sempre poco mentre i pro-nuke minimizzano. Come viene annosamente minimizzato l’enorme problema dei rifiuti radioattivi e l’argomento non può certo mancare in queste pagine che anzi è centrale.
E poi tante tabelle, numeri a confronto, prospetti che ci offrono una visione concreata facendo il reale punto sulle questioni energetiche.
D: Gli italiani vengono accusati di soffrire, rispetto ad altri popoli europei, della sindrome NIMBY (non nel mio cortile): cosa c’è di vero?
R: Beh, una affermazione simile sposterebbe l’argomento sull’esistenza delle “razze”, mi sbaglio? Soffriremmo di una tara genetica? Non direi proprio. Piuttosto la classe politica e gli organi di informazione dovrebbero chiedersi se negli anni hanno avuto qualche responsabilità nel forgiare una cultura che ha portato ad un preponderante rifiuto del nucleare nell’opinione pubblica. Nel libro racconto cosa di terribile è stato fatto per decenni e senza soluzione di continuità da politici, faccendieri, azzeccagarbugli e gente simile. Ed oggi ci lamentiamo della società che non si fida: i nuclearisti barricaderi sono soliti trattare da vero idiota chiunque si opponga alla costruzione. Lo sa che stiamo collezionando da decenni sentenze dalla Corte Europea perché non riusciamo a decidere? Nel libro elenco tutti i casi.
D: Ma il problema è solo politico? Oppure c’è dell’altro?
R: Magari: i problemi sono tanti, anche se quello politico riveste un ruolo centrale. Se sposassimo di nuovo il nucleare saremmo obbligati a costruire un deposito geologico profondo, ma non riusciamo nemmeno a costruire il deposito nazionale – estremamente meno impegnativo del primo – per colpa dei politici che non decidono per non scontentare l’elettorato. L’accettazione sociale poi rappresenterebbe un ostacolo che i pro-nuke minimizzano, come minimizzano ridicolmente il serio problema delle scorie. Ci sono argomentazioni pesantissime in merito, roba da rimanere allibiti: ad esempio le più grandi aziende a livello mondiale alle quali affidiamo lo smaltimento dei rifiuti nucleari ci raccontano che il modo migliore per risolvere il problema dei rifiuti è interrarli e nasconderli per bene per fare in modo di dimenticarcene. Una follia ed un affronto etico verso le future generazioni. Parlano di soluzioni “sicure”, stravolgendo lo stesso significato del sostantivo. Anche un bambino sarebbe in grado di comprendere quanta malafede c’è in certe affermazioni. E poi c’è il problema dei costi: l’Europa è disseminata di esperienze disastrose sia per la lievitazione incontrollata dei budget che dei tempi di realizzazione.
D: Negli ultimi giorni ci sono state notizie secondo le quali cinesi e sudcoreani sono molto avanti nella possibilità di produrre energia utilizzando lo stesso processo di creazione di energia del sole. Cosa c’è di vero? E di utilizzabile praticamente in tempi non escatologici?
R: Si tratta del processo denominato “fusione nucleare” nel quale, invece di spaccare un atomo, si tenta di fondere tra loro due atomi, un’operazione estremamente critica da realizzare per via delle grandi temperature in gioco (si parla di diversi milioni di gradi centigradi) ma che promette grandi cose, come energia in gran quantità a costi relativamente bassi, con grande rispetto dell’ambiente per via delle basse emissioni di CO2 e scarsissima produzione di scorie radioattive. Non solo cinesi e sud coreani si stanno cimentando in questa attività, ma anche l’occidente. In Europa uno dei più grandi progetti è ITER (International Ther-monuclear Experimental Reactor), una partnership con la stessa Cina, l’Euratom, l’India, il Giappone, la Corea del Sud, la Russia, gli Stati Uniti, e l’Italia ha un ottimo ruolo. È un sistema basato sul “confinamento magnetico”. Il problema è la sua complessità, i tempi di realizzazione si prospettano lunghi e piuttosto incerti, i più ottimisti prevedono che non possa entrare in produzione prima del 2080 ma è una sfida tecnologica talmente complessa che potremmo aspettarci di tutto. Per questo parlare oggi di fusione come soluzione ai nostri attuali problemi è insensato. Attorno al tema vi è un proliferare di bufale in quantità industriale.
D: Che ne pensa della novità dell’ultima ora riguardante l’impianto da montare in Francia a Cadarache, che “accenderà una stella sulla Terra e risolverà i nostri problemi di energia”?
R: Si tratta appunto del progetto ITER. La notizia appena apparsa sui giornali è relativa al compimento di una delle tappe fondamentali che contraddistinguono la realizzazione del tokamak, un grande contenitore a forma di toroide che ospiterà il plasma a 150 milioni di gradi. Perché tutto funzioni si avrà bisogno di un potentissimo campo magnetico per tenere il plasma sospeso o meglio confinato, non in contatto con le superfici del suo contenitore che altrimenti, per via delle elevatissime temperature, vaporizzerebbe: la notizia riguarda l’arrivo degli ultimi due dei 19 giganteschi elettromagneti nel cantiere sito a Cadarache, in Francia e quindi si va verso il completamento, attenzione, non dell’intero complesso, ma soltanto del tokamak, anche se è la parte più importante. Ma, secondo il calendario della stessa direzione ITER, il suo primo test è previsto non prima del 2035 e si tratterà solo di un primo passo anche se importantissimo. Poi si dovranno risolvere problemi non di poco conto, come la trasduzione dell’energia verso le turbine per azionare i generatori e ci vorranno altri 30 o 40 anni. Ovviamente tutti speriamo in tempi più brevi.
Una curiosità: il tokamak costruito negli USA nel Princeton Plasma Physics Laboratory è stato già acceso per la prima volta nel maggio di quest’anno e sono riusciti a mantenere il plasma per sei minuti a 50 milioni di gradi centigradi e questa è una bellissima notizia. Il test è servito per capire come reagiscono i materiali e l’intero ambiente a quelle temperature stellari: ricordiamo che nessuno ha mai lavorato con certe grandezze, tutto è sperimentale ed è complicatissimo fare previsioni sugli sviluppi. Per questo la cautela è d’obbligo.
D: Non c’è un po’ troppa ideologia nell’affrontare il tema dell’energia da parte dei Verdi e affini amanti del rinnovabile?
R: È una delle mie principali denunce: l’approccio ideologico, che non risparmia praticamente nessuno degli attori, uccide la verità e gli amanti della transizione sono i primi ad esserne colpiti. Stando però ai fatti e premesso che la contrapposizione netta è comunque insensata, la differenza tra i sostenitori del nucleare e quelli delle rinnovabili è che i secondi stanno collezionando sempre più successi ed ottenendo sempre più ragioni. Quel che si pensava irrealizzabile appena venti anni fa oggi è una realtà collaudata. Le maggiori obiezioni dei nuclearisti convinti stanno per essere via via smontate dal progresso tecnologico: oggi la produzione di energia attraverso le fonti alternative cresce in modo sostanziale e sta assumendo un ruolo centrale grazie proprio alla tecnologia che le rende sempre più efficienti. La fissione nucleare invece, è una tecnologia rimasta sostanzialmente sempre uguale a sé stessa negli anni, con grandi problemi irrisolti che pesano notevolmente sulla sua accettazione. Anche lì la tecnologia ha fatto molto, ma non abbastanza. Per questo molti la ritengono una tecnologia obsoleta.
D: Secondo lei, su cosa si baserà la produzione di energia elettrica tra 20 anni? E tra 50?
R: Di certo ci sarà il grande sviluppo delle rinnovabili che assumeranno sempre più il ruolo di protagoniste. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) le energie rinnovabili nel 2020 rappresentavano già il 26% della produzione di energia mondiale. Le previsioni basate sulle attuali tendenze di crescita suggeriscono che entro il 2070, le energie rinnovabili potrebbero soddisfare oltre l’80% delle esigenze energetiche globali. L’introduzione di tecnologie smart grid e la produzione decentralizzata di energia attraverso pannelli solari, impianti a biomassa e altri sistemi rinnovabili a livello locale contribuiranno a ridurre la dipendenza dalle fonti fossili e a migliorare la resilienza delle città alle crisi energetiche. C’è grande fermento nel mondo, ormai ogni grande Paese sta puntando tutto sulle rinnovabili.
Ma non dobbiamo mai abbassare la guardia: la transizione energetica rischia molto nelle sue forzature, come ad esempio l’imposizione tranchant nel Greendeal 2035 di fermare la produzione dei motori endotermici. Certe scelte possono avere echi distruttivi sia sul fronte geopolitico, economico, sociale ma anche sul fronte ambientale. In sintesi certe decisioni non possono essere prese esclusivamente dagli ingegneri, ma nemmeno da burocrati che spesso dimostrano di non sapere nemmeno di cosa parlano. In un saggio realizzato nel 2022 in collaborazione con Silverio Allocca, sollevammo seri dubbi sulle decisioni prese in sede europea in merito alla scelta di interrompere la produzione dei motori endotermici. Prospettavamo l’innesco di una serie di dinamiche negative che oggi si stanno, ahimè, avverando. Ci hanno anche tacciato di essere nemici dell’ambiente, ma oggi vediamo come la forsennata ed incontrollata corsa all’approvvigionamento delle terre rare, non soltanto ha ridisegnato a nostro svantaggio i rapporti industriali, economici e geopolitici, ma ha accelerato in modo estremamente preoccupante la deturpazione e l’avvelenamento di territori estesissimi. Inoltre, l’enorme quantità di energia elettrica utile per alimentare le auto elettriche quando avranno completamente sostituito le vecchie auto non si capisce ancora dove verrà presa e come verrà distribuita. Semplicemente una scommessa sul futuro fatta sulla pelle dei cittadini. Ma alle commissioni pare interessino soltanto le emissioni di CO2. O magari anche altro di poco nobile, ma sarebbe un argomento lungo da affrontare in questa sede.
Ma attenzione: anche la corsa allo spegnimento delle centrali nucleari esistenti senza valide alternative è deleteria: la Germania è tornata a riutilizzare il carbone, nulla di più dannoso per l’ambiente.
D: Che fine farà il petrolio? E i Paesi produttori di petrolio che su tale produzione basano la loro attuale grande ricchezza?
R: Il trend nel settore petrolifero è molto controverso e ha dato modo di sembrare inattaccabile dalla transizione energetica, cosa prevedibile visti gli interessi da capogiro in gioco: il mercato petrolifero è in grado di ridisegnare equilibri geopolitici e le mappe dei Paesi in pochi attimi. Ma non potrà comunque sottrarsi alle dinamiche in veloce trasformazione. Secondo le stime del report “Net Zero by 2050” dell’Agenza internazionale dell’energia pubblicato nel 2021, in uno scenario di misure radicali per ridurre le emissioni, la domanda di petrolio si ridurrà di un quarto entro il 2030 e di tre quarti entro il 2050. Secondo l’OPEC la domanda continuerà a crescere fino al 2030 per poi scemare inesorabilmente.
Un traguardo, per quanto sostanzialmente simbolico, è stato raggiunto alla Cop28 che si è svolta a fine 2023 negli Emirati Arabi Uniti: nella dichiarazione finale, per la prima volta, si è parlato della necessità di “allontanarsi gradualmente dall’uso dei combustibili fossili per la produzione di energia, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio cruciale in modo da raggiungere lo zero netto entro il 2050”. Simon Stiell, segretario esecutivo dell’Unfccc (United Nations Framework Convention on Climate Change), ha dichiarato che “a Dubai non si è conclusa l’era dei combustibili fossili, ma il risultato è l’inizio della fine”. Quanto questa affermazione si verosimile solo il tempo potrà dirlo.
Cosa faranno i produttori di petrolio? Secondo l’Economist “Per gli Stati del Golfo le prospettive sono rosee. Producono molto petrolio a basso costo e hanno il capitale per produrne ancora di più. Secondo le previsioni gli approvvigionamenti futuri dipenderanno ancora di più da loro, e più il mondo si decarbonizza più aumenta il potere nelle loro mani”. Certo, questo non potrà durare per sempre, ed è anche vero che il processo di decarbonizzazione ha costi importanti e non tutti i paesi del mondo potranno permettersela, ma tutti glia altri saranno quei paesi che consentiranno ancora per lunghi anni la proliferazione del mercato petrolifero, e non sono pochi. Insomma, il futuro del petrolio è incerto ma non poi così drammatico.
D: In sintesi: quale missione si propone questo saggio?
R: L’intento è di far capire al lettore, usando i fatti e non le opinioni, che ci sono argomenti che richiedono riflessioni articolate e profonda conoscenza. Che limitarsi ad osservare il proprio ombelico è deleterio. Che il rifiuto della complessità è un boomerang incontrollabile. Che non si può scegliere una tecnologia soltanto perché “ha la più bassa emissione di CO2” – come se l’emissione di CO2 fosse l’unico problema da risolvere, perché è questo ciò che ci raccontano gli organi decisionali – trascurando miseramente mille altri problemi che le tecnologie usate per la produzione di energia trascinano con loro, il nucleare come l’eolico od il fotovoltaico.
Dobbiamo una volta per tutte assumere il concetto che non esiste un modo “green” di produrre energia. Dobbiamo capire che l’unica energia green che possiamo produrre è quella che risparmiamo, non quella che utilizziamo. Se concentrassimo i nostri sforzi nell’efficientamento, nel risparmio, nel virtuosismo dell’utilizzo, allora faremmo un vero servizio all’umanità e all’ambiente. Ma i trend vanno in direzione opposta e non accennano a placarsi: consumiamo sempre più energia malgrado riconosciamo in questa pratica uno dei maggiori mali dell’universo. Potremmo fare molto, ma non ci sogniamo di farlo. E sa perché? Semplice: è impopolare ed antieconomico. Il mondo deve battere moneta prima che salvare l’ambiente, magari con un occhio al mantenimento dell’equilibrio dei soliti quanto noti poteri.
Si può contattare l’autore all’indirizzo simonecoccia1964@gmail.com
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