Clima
Quanto ci manca per essere resilienti?
Presentato alla COP24 il rapporto “The Adaptation Gap Report 2018”
Nel 2018 UN Environment ha pubblicato la quarta edizione del report annuale sul gap di adattamento, ovvero un documento che descrive la differenza tra il livello attuale di adattamento e il livello richiesto per una buona resilienza e una riduzione della vulnerabilità delle popolazioni agli effetti dei cambiamenti climatici. La prima parte del report riguarda le politiche, i costi e i finanziamenti necessari per lo sviluppo della capacità di adattamento nelle diverse regioni del mondo. La seconda parte invece descrive il gap di adattamento nel settore della salute, inizialmente con una panoramica a livello globale e successivamente approfondendo tre aree particolari dei rischi per la salute legati al clima: caldo ed eventi estremi, malattie infettive e food security.
Le misure di adattamento e resilienza, la valutazione del gap ed eventuali miglioramenti non sono però facili da definire, motivo per cui i progressi in questo ambito sono pochi. Il report però ha il compito di fornire informazioni politicamente rilevanti per indirizzare gli sforzi dei Paesi verso la soluzione migliore.
Osservando il numero di eventi estremi occorsi negli ultimi decenni nel mondo si può notare una netta crescita, arrivando nel 2017 a più di 700 eventi catastrofici. Tra questi eventi estremi si contano gli eventi geofisici, terremoti e tsunami, gli eventi meteorologici, tempeste e cicloni, gli eventi idrogeologici, alluvioni, e gli eventi climatici, temperature estreme, incendi e siccità. Mentre gli eventi di tipo geofisico hanno mantenuto una frequenza costante, le altre tipologie hanno visto un aumento, fino ad arrivare ad una percentuale di eventi estremi legati al meteo accaduti negli ultimi vent’anni di 90.6%, con 4.5 miliardi di persone colpite.
Ai rischi climatici sono associati impatti importanti: food security e malnutrizione, migrazioni, perdite economiche, acidificazione degli oceani, ulteriori emissioni di anidride carbonica a cause degli incendi, e infine un aumento delle morti.
Gli impatti che ci saranno per un aumento della temperatura di 1.5°C rispetto al periodo pre-industriale e quelli che ci saranno per un aumento di 2°C saranno molto diversi, in termini di intensità e frequenza. In particolare ci sarà un aumento della temperatura dell’acqua con conseguenze sui coralli e l’ecosistema acquatico, ci saranno maggiori impatti sugli ecosistemi artici, più alluvioni nelle aree costiere, problemi per le colture ed un aumento delle malattie infettive. Questo significa che la capacità di adattamento in un mondo a +2°C dovrà essere maggiore rispetto a quella in un mondo a +1.5°C. Inoltre, più l’incremento della temperatura sarà rapido, meno sarà il tempo disponibile per le popolazioni per adattarsi.
Ciascuno scenario di riduzione delle emissioni di CO2 equivalente, corrispondente a diverse politiche climatiche, interagisce in modo differenziato con gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Per ogni regione del mondo bisogna identificare un obiettivo di adattamento e individuare una strategia di sviluppo, in base alle caratteristiche del territorio e alle necessità delle popolazioni.
L’adaptation gap report ha identificato alcuni indici per misurare la riduzione della vulnerabilità delle società, in particolare tenendo in considerazione la percentuale di persone che hanno accesso alla sanificazione, all’energia elettrica, o il numero di persone che si trovano in una condizione di food insecurity, che non hanno cioè accesso sufficiente a cibo salutare e nutriente, che gli garantisca una vita sana e attiva.
Secondo le proiezioni, il gap di adattamento aumenterà nel 2030 e nel 2050, ma l’obiettivo deve essere quello di ridurlo. Per questo motivo sono necessari grandi interventi nei prossimi anni, molto costosi, ma che bisogna fare subito, cercando di gestire le risorse in modo efficiente.
I costi stimati per l’adattamento sono tra i 140 e i 300 miliardi di dollari annui entro il 2030 e tra i 280 e i 500 miliardi di dollari entro il 2050, quindi ci sarà un significativo aumento. Tra questi il 10-20% saranno impiegati nella programmazione ed implementazione a livello internazionale. Questi valori si possono confrontare con le perdite che ci sono state nel 2017 a causa degli eventi estremi, pari a 330 miliardi di dollari. Attualmente i fondi per l’adattamento si assestano su valori decisamente inferiori a quelli previsti, e il 64% viene destinato a Paesi in via di sviluppo. Derivano principalmente da finanziamenti pubblici, mentre quelli privati sono più difficili da stimare. In ogni caso non riescono a coprire le richieste espresse negli NDC.
La seconda parte del report, come anticipato, si concentra sulla salute, analizzando il collegamento tra questa, l’ambiente e il cambiamento climatico. In particolare sono da valutare gli effetti delle ondate di calore e della variazione delle precipitazioni sulle popolazioni e sull’agricoltura, e gli effetti dell’aumento della temperatura sulle concentrazioni di batteri nei corsi d’acqua, con problemi sulla potabilità delle acque, sul loro utilizzo per l’agricoltura e sulla fauna ittica, fonte di cibo.
La salute attualmente è poco considerata nelle politiche di finanziamento, eppure è indicata nell’Accordo di Parigi come uno dei tre punti più critici per i cambiamenti climatici. Basterebbe applicare un approccio finanziario integrato, poiché esistono dei collegamenti settoriali: interventi nel settore energetico hanno effetti positivi anche sulla salute, così come gli interventi sull’acqua.
Infine il report spiega che le azioni di adattamento devono essere studiate bottom-up, partendo quindi dalle comunità locali, in modo che siano più efficaci, e passando successivamente a livello nazionale e internazionale per coinvolgere i rappresentanti politici che si occupano della pianificazione complessiva.
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