Clima
Senza patti non c’è futuro per l’umanità: la lezione dell’arca di Noè a Cop21
I risultati della Conferenza di Parigi sul clima hanno fatto dire a molti che si è prodotta una svolta. Altri, al contrario hanno sostenuto che a Parigi non si è prodotto niente e che comunque tutto l’allarmismo intorno al clima sia solo una questione di falsa prospettiva. Credo che la verità non stia in mezzo e credo che nessuno dei due partiti estremi abbia né ragione né torto.
La politica non produce miracoli e dunque non condivido l’entusiasmo di chi pensa che da ieri sia cambiato qualcosa e che sia sufficiente impegnarsi. Ma non credo nemmeno ai diffidenti che ritengono che da ieri niente sia cambiato e che comunque forse niente sia da cambiare. E ancora. Non credo che l’ipotesi di accordo rafforzi il sistema delle Nazioni Unite la cui credibilità, dopo tanti accordi falliti, era a rischio. Ma nemmeno penso che non ne valesse la pena e che dunque molto meglio che ciascuno fosse rimasto a casa propria. Il punto è che se desideri modificare qualcosa che abbia anche il vago sentore di essere un accordo devi partire dalla sottoscrizione di un patto, vincolante. Si può discutere dei contenuti concreti scritti del patto; è legittimo avere uno sguardo più che scettico su quelli che sono indicati come impegni concreti. Tuttavia, resta che solo costruendo la scena del patto, si propone un possibile (attenzione né probabile, né certo) passaggio verso una scelta condivisa.
Che cosa significa assumere la dimensione del patto? Per spiegarmi mi servirò di un esempio. L’esempio è la dinamica del diluvio universale.
Quando uscirono dall’arca Noè, la sua famiglia, e tutti gli passeggeri di quel viaggio oltre la catastrofe potevano pensare che la nuova condizione di salvati, rispetto a quella dei sommersi rappresentasse la condizione del loro possibile nuovo inizio. Dovettero cambiare prospettiva perché lì accadde qualcosa che modificò radicalmente il loro presente e la loro idea di futuro. Quella massa entra nell’arca e già questo li colloca nel dopo. Non devono giustificarsi né assumere una responsabilità. Accedere all’arca significa sapere che avranno una possibilità di sopravvivenza. La condizione di sopravvissuti è già nel fatto di entrare nell’arca, prima del diluvio. Questo poteva far pensare che a evento finito fosse sufficiente uscire e riprendere la vita di prima. Non sarà così.
Riconsideriamo la sequenza di partenza. All’inizio sta la scelta.
“Il Signore vide che la malvagità dell’uomo nella terra era grande e che ogni creazione del pensiero dell’animo di lui era costantemente soltanto male. Il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuore. Il Signore disse: ‘Distruggerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato dall’uomo fino ai quadrupedi, agli uccelli del cielo, perché mi sono pentito di averli fatti’. Noè trovo grazia agli occhi del Signore.” (Genesi, cap. 6, vv. 5-8) Così inizia la vicenda della costruzione dell’arca, poi del diluvio e poi della nuova rinascita.
Il diluvio, tuttavia, se è condizione necessaria, non è sufficiente perché si dia un nuovo inizio. Tutti i salvati dell’arca escono dall’arca. Noè edifica un altare e il Signore accetta l’omaggio. Ma il nuovo inizio non è dato dal riconoscimento dell’omaggio da parte di Dio. Perché si dia una chance di futuro, infatti, non è sufficiente ricreare le condizioni precedenti il diluvio e nemmeno rendere omaggio al Signore. Il mondo ricomincia in conformità a un patto che il Signore sottoscrive con Noè in cui s’impongono nuove regole (nello specifico quelle che si chiamano le “leggi Noachice”, Genesi, cap. 9) che vincolano tutti i contraenti a prescindere dalla fede e dalla nazionalità.
Quelle regole segnano la differenza tra prima e dopo il diluvio. Rispondono a due principi: 1) parlano a tutti e sono vincolanti per tutti; 2) stabiliscono che il futuro è una scommessa sub judice. Il nostro futuro immediato ci obbliga da oggi ad agire. Come Noé, forse alcuni pensano che sia sufficiente contenere delle abitudini, senza modificare strutturalmente il nostro comportamento. Oppure che occorra fare scelte diverse. Forse, ma prima di quei possibili percorsi deve darsi una scena politica, che prescinde dalle scelte concrete. Perché si dia un’ipotesi di futuro, non solo plausibile, ma possibile, occorre sottoscrivere un patto, vincolante, senza esclusi, dunque che parli a tutti e sia normativo per tutti. La discussione che mette al centro i temi dei Sustainable Development Goals (SDG’s), dicono che quello non è che l’inizio.
Il nostro domani non è un tempo infinito ma contenuto, e in ogni caso non è senza scelte vincolanti, perché il futuro è un’ipoteca che ci obbliga da oggi ad agire. Come per il nostro lontano antenato, anche per noi il futuro è una scommessa sub judice. Discende da un patto vincolante, ma soprattutto dalla nostra determinazione ad accoglierlo.
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Qui il testo dell’Accordo finale di Parigi sul clima (“Paris Outcome”)
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I punti principali dell’Accordo sul clima
- Fermare il riscaldamento «ben al di sotto dei 2 °C» dai livelli preindustriali, e la la volontà di contenerlo entro gli 1,5 °C, entro il 2020
- Riduzioni emissioni, raggiungendo il picco globale entro breve tempo e poi di «intraprendere riduzioni rapide
- Verifica su quanto fatto e revisione degli impegni nazionali renderli più ambiziosi ogni 5 anni
- Rafforzamento del meccanismo Loss & Damage, cioè le compensazioni economiche per aiutare in Paesi in via di sviluppo (si parte da 100 miliardi di dollari all’anno)
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