Clima
Mezzo grado fa la differenza: il rapporto dell’IPCC più discusso di sempre
di Margherita Bellanca
Mai si era discusso così tanto di un rapporto dell’IPCC. Il testo redatto dagli scienziati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change sulle conseguenze dell’innalzamento della temperatura globale di 1,5°C ha fatto parlare di sè fin dall’inizio. Non poteva essere altrimenti, già solamente per ciò che contiene. Il rapporto lancia infatti un chiaro allarme, dimostrando che le differenze nelle conseguenze di un innalzamento della temperatura globale tra 1,5 e 2°C sono maggiori di quello che ci si aspettava. Inoltre, sottolinea che il tempo a disposizione per agire e limitare il riscaldamento al di sotto del grado e mezzo è limitato, arrivando a quantificarlo in 12 anni a partire dalla redazione del rapporto stesso.
Ma non è solamente per le conclusioni che questo rapporto ha fatto parlare di sé, ma anche per le proprie origini. Questo documento è stato richiesto da parte della COP 21 di Parigi all’IPCC affinché si chiarisse la differenza tra i due diversi obiettivi contenuti all’interno dell’Accordo di Parigi. E’ importante infatti ricordare che l’Articolo 2 dell’Accordo prevede l’impegno delle Parti nel “mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali, e proseguire l’azione volta a limitare l’aumento di temperatura a 1,5° C rispetto ai livelli pre-industriali”. Le Parti negoziali hanno quindi richiesto all’IPCC di redigere un rapporto sul tema in tempo per la fine dei Talanoa Dialogue, ovvero entro la COP24, in modo che potesse venir considerato come input al processo facilitativo per aumentare l’ambizione climatica. Nonostante scrivere un rapporto scientifico di questa portata in soli tre anni fosse una sfida, il rapporto è stato presentato dall’IPCC nell’Ottobre 2018, due mesi prima che si tenesse la COP 24 in Polonia.
Nonostante lo sforzo dell’IPCC sia stato apprezzato all’unanimità visti i tempi stretti, fin da subito il rapporto ha suscitato un dibattito all’interno dei negoziati. La questione centrale è sempre stata una: come la Conferenza delle Parti deve interagire con il rapporto dell’IPCC? Lo deve “accogliere”, considerandolo quindi come parte degli stessi testi negoziali e possibilmente un input per il futuro Global Stocktake, o solamente “prenderne nota” evitando che esso crei reali conseguenze sulle discussioni finora avute in sede negoziale? Il dibattito terminologico, che sottintende importanti conseguenze politiche e pratiche, è andando avanti per tutta la COP 24 e data la sua non risoluzione è stato rimandato ai negoziati di Giugno che si stanno tenendo in questi giorni a Bonn.
Nel frattempo, però, qualcos’altro è successo ed ha fatto parlare ancora di più di questo testo. Nei sei mesi intercorsi tra le due sessioni negoziali è cresciuto a dismisura il movimento dei Fridays For Future, che ha riempito le strade e le piazze di tutto il mondo di giovani che richiedono azione climatica. Una delle parole d’ordine adottata dal movimento riguarda proprio le conclusioni di questo stesso report, ricordando l’urgenza di agire “perchè abbiamo solamente undici anni e mezzo a disposizione”.
In un periodo storico in cui la scienza sembra sempre più lontana dal senso comune, in cui le fake news si diffondono tramite i social media, in cui e’ presente il negazionismo climatico e un generale scetticismo verso gli scienziati, il documento dell’IPCC ha avuto la forza di diventare uno slogan nelle piazze, rivendicato dai giovani di tutto il mondo.
Eppure, all’interno dei negoziati il dibattito non è cambiato. Al contrario invece, i negoziati di giugno si sono aperti con uno scontro su questo tema, che ha portato alcune parti negoziali a chiedere di non prolungare oltre il dibattito: se non verrà trovato consenso in questa sessione negoziale sull’integrazione del rapporto, non si continuerà a parlarne nei prossimi round negoziali. Nonostante non si fosse mai parlato così tanto di un rapporto dell’IPCC, si pensa che a breve il dialogo verrà interrotto.
Ciò che sta emergendo dalle prime sessioni negoziali sul tema non riguarda solamente questo documento nello specifico ma più in generale la relazione tra scienza e politica. Da una parte, i Paesi in Via di Sviluppo (con il supporto dell’Unione Europea) stanno chiedendo di creare dei momenti di formazione per i policy makers ed i negoziatori stessi, al fine di accrescere le conoscenze scientifiche e la consapevolezza sulle conseguenze dell’aumento della temperatura globale, sottolineando come questo sia importante anche per l’aggiornamento Contributi determinati su base nazionale che si svolgerà il prossimo anno. Dall’altra parte, invece, paesi come l’Arabia Saudita continuano a negare l’apertura di un dialogo sulla tematica e sono arrivati a mettere in dubbio la validità scientifica stessa del report in questione. Essi stanno infatti sottolineando come il report sia stato scritto in tempi troppo stretti e senza considerare alcune tematiche.
Se quindi questo rapporto aveva in qualche modo superato in parte lo scetticismo scientifico nel senso comune, lo ha paradossalmente fatto entrare all’interno dei negoziati.
Devi fare login per commentare
Login