Clima
L’ultima sfida di Barack Obama è quella sul clima
Mi ricordo la corsa presidenziale americana del 2008, quando alle primarie democratiche Barack Obama sbaragliò Hillary Clinton, ponendo fine all’intermittenza delle dinastie Bush/Clinton che sembrava prospettarsi nel panorama USA. Venivamo da anni pesanti, non c’era soltanto una crisi mondiale nell’aria, ma le conseguenze degli 8 anni della presidenza George W. Bush, con tutti gli strascichi dell’occasione, Guantanamo, guerra in Iraq, e ossessione per la sicurezza nazionale post 11 Settembre. Dabliù (così lo conosciamo, traslitterato in italiano) era stato uno dei peggiori presidenti possibili che potesse capitarci in quel momento storico, e non perché fosse un repubblicano, ci sono stati repubblicani migliori come Abraham Lincoln che ha messo fine alla schiavitù, ma perché ha condotto il mondo sull’orlo di una nevrosi ossessiva compulsiva, una guerra che non aveva senso, e tralasciato completamente (come i predecessori) qualsiasi sforzo o accortezza per frenare l’esplosione della crisi economica. Familiarizzare con le nuove parole e le retoriche d’inizio Duemila non è stato semplice, subprime, waterboarding (una delle forme di torture usate a Guantanamo), guerra preventiva. Venivamo da anni così pesanti che non potevamo che credere alla faccia afroamericana di questo incantato hawaiano che trasudava speranza da ogni parola, e parlava di assistenza sanitaria, questioni ambientali, fine della guerra in Iraq, come se d’un tratto ci si dovesse rendere conto che quella specie di nuovo colonialismo preventivo dovesse essere fermato a tutti i costi.
A Rolling Stone Obama ha raccontato la sua ultima grande sfida prima del congedo da Presidente degli Stati Uniti in un’intervista a Jeff Goodell, la sfida ovviamente è quella del clima, del riscaldamento globale, di quella ”scomoda verità” che evocava già il perdente Al Gore, scalzato da Dabliù per una manciata di voti nella vecchia onesta Florida durante le presidenziali del 2000. Siamo alle porte della conferenza sul clima di Parigi, che si annuncia più surriscaldata di quanto lo sia il pianeta. Negli ultimi tempi Obama ci tiene a ripetere come il cambiamento climatico sia la minaccia più grave alle future generazioni, che le temperature stiano aumentando, in particolare d’estate, che non esistano più le mezze stagioni, ripetendo un vecchio proverbio e mantra, che poi è quello che ogni anno ci mette a pensare: ma che compriamo più a fare i capi di mezza stagione se poi neanche esistono più queste mezze stagioni, e vanno via nell’armadio dopo 15 giorni contati, per un totale di 30 giorni all’anno autunno/primavera (ed è ovvio che non ci riferiamo alle camicie di flanella, va da sé che quelle van bene per tutte le stagioni, anzi mi sembra che siano il capo tipico da global warming, tanto che sarebbe bello se entrassero nell’agenda in discussione alla conferenza di Parigi, scalzando la terribile inutilità del maglioncino in filo al cospetto della new era del surriscaldamento globale). La scorsa estate è stata raccontata come una delle più calde a memoria di generazione, tuttavia anche dell’estate 2014 si è detto che fosse la più calda mai registrata.
Forse Obama sta iniziando a preparare il terreno sul grande tema di cui si occuperà una volta terminato il mandato presidenziale, ma i suoi detrattori sono già dietro l’angolo. Ivan Giaever, Premio Nobel per la Fisica nel 1973, ha già tirato per le orecchie il Presidente parlando di ”nuova religione” a proposito del global warming. Del resto, come scriveva George Bernard Shaw, tra le 5 cinque categorie di bugie compare anche quella delle previsioni del tempo. Se non possiamo prevedere il tempo, niente ci dà certezza riguardo le previsioni sul riscaldamento del globo, e gli effetti delle emissioni di gas serra sul pianeta. L’ipotesi è che ci sia molta confusione, tra previsioni future di nuove piccole ere glaciali (come quella che dalla metà del XVI alla metà del XIX coinvolse l’emisfero occidentale, e per comodità fu battezzata piccola era glaciale, ma in realtà corrispondeva a un raffreddamento generale delle temperature) e di estati sempre più smanicate. E sulla conferenza sul clima, sempre più vicina, sembra calare lo speciale disinteresse che sempre ha riguardato conferenze di questo tipo: a chi tocca il taglio delle emissioni di gas serra? La Cina e l’Iran daranno un vero placet? Intanto la Banca Mondiale in un rapporto fa sapere che se non si affrontano di petto le conseguenze dei cambiamenti climatici in atto da anni, avremo 100 milioni di persone sul globo sulla soglia della povertà entro il 2030, richiamando l’importanza di fare in fretta qualcosa a Parigi.
”Per quanto riguarda il cambiamento climatico, sappiamo che l’aumento della siccità e delle alluvioni e l’erosione delle coste avranno un impatto sull’agricoltura e faranno aumentare la carestia in alcune zone del mondo e questo porterà alla migrazione di un gran numero di persone”, Obama a Rolling Stone ha insistito nel mettere l’accento anche su quelli che sono gli impatti culturali e sociali del clima sul corso della storia, affrontando di petto anche la crisi siriana come conseguenza di un aumento di siccità e alluvioni che ha portato a una migrazione di massa della popolazione verso le città, consentendo il formarsi di gruppi di opposizione più forti contro Assad. Per quanto il ragionamento sia contorto e possa apparire forzato, già Behringer Wolfgang aveva studiato l’impatto del clima sulla storia umana ponendo domande intriganti come: si può dire che l’espansione dell’impero romano sia stata favorita dal clima mite-caldo in quel periodo storico? Tuttavia sembra calare uno spettro sulla nuova ultima battaglia di Barack Obama, l’impatto ambientale dell’industria dei cibi animali, un tema che raramente viene affrontato, e che negli ultimi tempi torna furente nell’agenda ideale, cosa che aumenta il livello di scontro su un questione che – alle porte del COP21 – si annuncia come urgente ma poco chiara.
Sembra che valga la regola d’oro dell’è bene che se ne parli, o anche è bene che il Presidente degli States affronti la questione di petto (qualche giorno fa Obama ha anche inaugurato una pagina personale per parlarne in prima persona e liberarsi di ingombranti social media editor, agli onori delle cronache di costume in questi giorni), ma di preciso di cosa stiamo parlando? La corsa presidenziale americana è alle porte e si inaugura con le prossime primarie, che questo tema entri o meno nell’agenda dei candidati dipenderà anche da Parigi. In Italia seguiremo la direzione dei venti, global warming okay, ma con un certo fatalismo dylaniano da Blowin’ in the Wind.
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