Clima
Inchiesta sull’auto elettrica, parte IV: impatto sociale e mobilità futura
“Inchiesta sull’auto elettrica” Parte I: https://www.glistatigenerali.com/auto_clima/la-verita-sullauto-elettrica-parte-i/
“Inchiesta sull’auto elettrica” Parte II: https://www.glistatigenerali.com/auto_clima/la-verita-sullauto-elettrica-parte-ii/
“Inchiesta sull’auto elettrica” parte III: https://www.glistatigenerali.com/auto_clima/la-verita-sullauto-elettrica-parte-iii/
Coautore: Silverio Allocca
I costi sociali ed occupazionali
Nella quarta e ultima parte affrontiamo tre aspetti cruciali: come verrà intaccato il nostro diritto alla mobilità, quale sarà l’impatto industriale ed occupazionale e come verranno turbati gli equilibri geopolitici, soprattutto laddove i combustibili fossili hanno una rilevanza decisiva. Segue una riflessione sul modello di mobilità da costruire e da cui non potremo prescindere. Infine le nostre domande, le cui risposte mancano: rimane la preoccupazione per le decisioni in sede Europea dove sembra imperare una insidiosa tendenza a sottovalutare i problemi.
La questione sociale
Il parco auto circolante nell’Unione Europea ha un’età media 11,8 anni. La Lituania e la Romania hanno le flotte automobilistiche più antiche, con veicoli di quasi 17 anni; le autovetture più recenti si trovano in Lussemburgo (6,7 anni); l’età media dei veicoli commerciali leggeri è di 11,9 anni, l’Italia ha la flotta di furgoni più antica (13,8 anni), seguita dalla Spagna (13,3 anni); i camion hanno in media 13,9 anni, la Grecia ha la flotta di autocarri più antica con un’età media di 21,4 anni, mentre i più nuovi si trovano in Lussemburgo (6,7 anni) e Austria (7 anni); gli autobus hanno in media 12,8 anni e la Grecia ha i più antichi con più di 19 anni; solo sei paesi nell’Unione Europea hanno una flotta di autobus che ha meno di 10 anni[2].
Osservando la qualità e l’anzianità delle flotte circolanti, si comprende la resistenza nel rinnovarle, dovuta soprattutto nel potere di acquisto: non a caso l’età della flotta è quasi sempre inversamente proporzionale al PIL dell’area di riferimento. Il prezzo medio in Europa di un’auto nuova con motore termico è pari a 32’318 €, mentre quello di un EV è di 42’568 €[3], con un differenziale del 31,7%, che però varia da regione a regione (in Italia è del 42%)[4]. Il differenziale peggiora se abbassiamo il target: il prezzo più basso di un ICEV di piccola cilindrata, sempre in Italia, si attesta attorno ai 10’000 € (Dacia Sandero), mentre l’EV più economico come la Dacia Spring è venduto a 20’100 €[5].
Per le fasce con meno potere di spesa, l’acquisto di un EV comporta un esborso doppio rispetto a quello di un ICEV. Ci si aspetta che il prezzo cali progressivamente, complice soprattutto il costo sempre più contenuto delle batterie – Volkswagen prevede la parità entro il 2025[6] mentre BloombergNEF sostiene che entro quella data saranno addirittura più economici[7]: resta il fatto che, oggi, per una grossa fetta di pubblico, comprare una EV è una chimera.
Con una flotta circolante così anziana, il mercato dell’usato prospera: nel 2021 in Europa sono state vendute 32,7 milioni di auto usate[8] a fronte di 9’700’192 auto nuove[9]. In alcune aree, la maggior parte dei possessori di autoveicoli impegnano ben poco denaro per la propria mobilità, alcuni per strategia (seconda auto), la gran parte per scarse possibilità economiche. Col blocco della produzione degli ICEVs le fasce con meno potere di spesa saranno in grande difficoltà: il parco dell’usato, salvagente per questa categoria, sarà praticamente inesistente, e l’unica alternativa sarà tra l’acquisto di un veicolo nuovo e andare a piedi. La libertà di movimento, così importante, socialmente, nell’ultimo mezzo secolo, rischia di subire un grave contraccolpo.
C’è da chiedersi quali dinamiche assumerà l’indotto del motore termico durante gli anni di transizione, ovvero da ora sino al 2035: meccanici e costruttori di pezzi di ricambio devono adeguarsi subito, abbandonando il mondo degli ICEVs. Persino il rifornimento di GPL, benzina o diesel potrebbe, in una certa fase, rappresentare un problema, anche se il prezzo alla pompa sarà probabilmente stracciato. Ma il rischio è che si arriverà alla data fatidica nella quale una flotta di ICEVs ancora corposa sopravvive per disperata necessità. Il taglio netto del 2035 potrebbe rappresentare una ghigliottina per una grande fetta sociale, soprattutto in quei Paesi con reddito pro-capite più svantaggiato. Questo costringerà i governi a ripensare la mobilità per chiunque ne abbia necessità: i sussidi sin qui offerti saranno irrilevanti.
Quale impatto per l’industria automobilistica
L’Unione Europea, con il 21% della produzione mondiale di autovetture, ospita le più grandi aziende automobilistiche e i maggiori produttori del mondo: 2,6 milioni di persone lavorano nella produzione di autoveicoli, pari all’8,5% dell’occupazione totale nel settore manifatturiero e, considerando l’intero indotto, si arriva a 13,8 milioni di persone[11]. Gli EVs sono meccanicamente più semplici e si stima che per la loro produzione sia necessario il 30% in meno di ore di lavoro, ovvero il 30% in meno di forza lavoro[12]. La quasi totalità della produzione della componentistica relativa agli ICEVs, in gran parte esternalizzata, cesserà la propria produzione e, a causa della grande diversità tipologica, i produttori avranno scarse possibilità di riconvertirsi: per chi produce pistoni è improbabile realizzare sensori o inverter.
Se la transizione avviene senza alcuna misura preventiva che ne ammortizzi le dinamiche, circa il 30% dell’occupazione, pari ad oltre 4 milioni di posti di lavoro, è messa a rischio. La perdita di posti di lavoro più importante potrebbe essere però riservato all’indotto: le aziende automobilistiche esternalizzano quasi il 75% della produzione di componentistica. Inoltre il processo di produzione degli EVs richiede competenze e professionalità nettamente diverse da parte della forza lavoro. Pertanto il rischio di turnover forzato è concreto se non sarà possibile una adeguata formazione interna, da cui consegue il dramma di altre perdite di posti di lavoro.
L’approccio al Green Deal avviene in una fase molto delicata per il settore: molte case automobilistiche sono già in crisi. Solo nel 2020 la vendita di autovetture nella UE è diminuita del 24%, mentre a marzo 2022 sono stati venduti 844’147 veicoli, ovvero il 20,5% in meno rispetto a marzo 2021 e il 51% in meno rispetto a marzo 2019[13]; inevitabili gli annunci di licenziamenti, tra cui Volvo (che ha tagliato più di 4000 posti a livello globale[14]), Renault (circa 14’600[15]) e Nissan, che ha deciso di chiudere la fabbrica di Barcellona[16], fatto che colpisce 3000 posti di lavoro diretti e 20’000 indiretti (ne aveva persi altrettanti durante la crisi del 2009)[17].
Si può storcere il naso di fronte questi argomenti contrapposti a quello della salvaguardia dell’ecosistema, ma i fatti restano fatti. Governi e sindacati dovranno occuparsene. Come disse Winston Churchill, “Non lasciare mai che una buona crisi vada sprecata”: le crisi pongono sfide difficili, ma nascondono anche nuove opportunità. Non è solo l’industria automobilistica a perdere, ovunque, peso occupazionale. Petrolio, gas e carbone diverranno presto inutili? In base agli obiettivi prefissati, si stima che si dovranno tagliare entro un decennio almeno il 60% dei combustibili fossili, una quota imponente. Quanti milioni di posti di lavoro andranno perduti? E come verranno smaltiti e bonificati gli impianti, i porti, le navi, gli oleodotti, i pozzi? Chi pagherà?
Cosa accadrà nell’universo dei combustibili fossili
Secondo l’Unione Europea l’uso del carbone, l’elemento più inquinante del mix energetico, deve essere sostanzialmente ridotto entro il 2030, mentre il petrolio e il gas naturale possono essere gradualmente eliminati in un secondo momento; la maggior parte del cambiamento per petrolio e gas avverrà tra il 2030 e il 2050. Entro questo lasso di tempo, il petrolio dovrebbe essere quasi completamente eliminato, mentre il gas naturale contribuirebbe solo a un decimo dell’energia dell’UE nel 2050[18]. Si tratta di una vera e propria rivoluzione.
Il cammino della decarbonizzazione è stato avviato da tempo, cercando di agire sulla soppressione della domanda con i certificati di emissione di carbonio scambiabili a livello internazionale o tasse sulle emissioni di CO2, due soluzioni che hanno spinto i governi verso l’ottimizzazione di processi e verso le riconversioni ecologiche, spesso ricorrendo ad incentivazioni pubbliche. Ma tutto ciò non è servito. La domanda di carbone è in costante aumento, soprattutto nei paesi in via di sviluppo che stanno crescendo industrialmente a ritmi velocissimi.
Attualmente la domanda di energia è tornata ai livelli pre-pandemia. Secondo una analisi di BP, nel 2021 se ne è usata di più, considerando l’impennata della domanda – la più imponente della storia umana; di pari passo sono tornate ai livelli precedenti anche le emissioni[19], come spiega BP: “Sono stati compiuti notevoli progressi negli impegni sovrani per raggiungere lo zero netto, ma queste crescenti ambizioni devono ancora tradursi in progressi tangibili sul campo. Il mondo rimane su un percorso insostenibile”[20].
Eppure, l’energia prodotta nel 2021 si è affidata almeno per il 13% alle fonti rinnovabili, con un aumento del 17% rispetto all’anno precedente: il problema è che l’uso dei combustibili fossili rimane altissimo[22]. Nel trasporto merci, settore responsabile del 14% di emissione di gas serra[23], le dinamiche non sono così diverse: con la crisi di Covid-19 la domanda mondiale di petrolio è diminuita all’inizio del 2020 del 57% per poi subire un rimbalzo nel 2021, tale da far tornare i consumi appena del 3% al di sotto dei livelli pre-Covid-19[24], ma questo solo perché il settore aeronautico ha una ripresa più lenta[25].
Secondo l’AIE assisteremo ad una costante crescita della domanda dei combustibili fossili per uso globale almeno sino al 2025, anno in cui inizierà un’inversione di tendenza: in base allo scenario ipotizzato, la domanda di petrolio raggiungerà il picco subito dopo il 2025 (97 milioni di barili al giorno) e poi scenderà di circa 1 milione di barili al giorno all’anno fino al 2050, ma questo soltanto se gli attuali impegni climatici saranno pienamente rispettati; altrimenti, nelle previsioni più pessimistiche, il giro di boa potrebbe avvenire nel 2050[26]. Anche nello scenario più ottimistico, nel 2050, nel mondo, si consumeranno ancora 77 milioni di barili al giorno – meno degli attuali 100 milioni di barili al giorno ma sempre troppi[27]. Una situazione non facile per chi si prefigge il raggiungimento dell’ambìto “zero netto” di emissioni climalteranti entro il 2050.
Per farcela dovremmo scendere a 25 milioni di barili al giorno entro il 2050[28]. Un risultato che appare impossibile. Secondo IEA, gli attuali impegni sul clima porterebbero solo a un quinto della riduzione delle emissioni entro il 2030, ed il raggiungimento di tale obiettivo richiederebbe investimenti in progetti di energia pulita e infrastrutture per più del triplo degli stanziamenti finanziari del prossimo decennio, mentre la spesa per l’energia pulita è molto al di sotto di quanto sarebbe necessario[29].
Queste deludenti prospettive vengono confermate dall’OCSE: il sostegno dei governi ai combustibili fossili, in 51 paesi del mondo, è quasi raddoppiato a 697,2 miliardi di dollari nel 2021, da 362,4 miliardi di dollari nel 2020, e questo a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia su scala globale, ed il trend continuerà per almeno tutto il 2022[31]. Tempi duri per la decarbonizzazione, che è perlomeno rinviata a dopo la soluzione del conflitto tra Russia e Ucraina.
Ogni tre barili di petrolio consumati nel mondo, due sono assorbiti dal settore dei trasporti[32]. È innegabile che il Green Deal europeo avrà profonde ripercussioni, influenzerà la geopolitica attraverso il suo impatto sul bilancio energetico dell’UE e sui mercati globali, sui paesi produttori di petrolio e gas, sulla sicurezza energetica europea e sui modelli commerciali globali, soprattutto in merito al meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere[33]. Gli scenari probabili sono tutti a svantaggio dei paesi esportatori: l’uscita dell’Europa dalla dipendenza dai combustibili fossili con il suo mercato che rappresenta il 20% di quello mondiale, influenzerà negativamente un certo numero di partner regionali che potrebbero andare incontro a destabilizzazioni economiche e politiche. Un calo così importante della domanda finirà anche per influenzare il resto del mercato deprimendo i prezzi. I produttori ed esportatori di combustibili fossili accetteranno passivamente questa trasformazione?
Nel caso del petrolio, ad oggi i principali produttori sono gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e la Russia, che soltanto nel 2020 hanno prodotto circa 40 milioni di barili di petrolio al giorno, ovvero il 43% della produzione mondiale[34]. Dal punto di vista globale, secondo una recente analisi del Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell’Università di Anversa, il mercato dei combustibili fossili è in grado di generare profitti per quasi 3 miliardi di dollari al giorno; le compagnie petrolifere hanno guadagnato dal 1970 ad oggi 52 trilioni (miliardi di miliardi) di dollari con un profitto medio annuo di oltre 1 trilione di dollari[35]. Si osserva che un mercato con questa immensa disponibilità di ricchezza è in grado facilmente di autoproteggersi: nazioni come la Russia, come quelle del cartello OPEC, sono in grado di pilotare a proprio vantaggio i mercati e frenare, di conseguenza, lo sviluppo delle rinnovabili[36].
Negli Stati Uniti c’è una guerra per contrastare il processo di decarbonizzazione: a novembre dello scorso anno i tesorieri statali repubblicani si sono riuniti in una conferenza organizzata dalla State Financial Officers Foundation (una piccola organizzazione no-profit con sede in Kansas e con stretti legami con i lobbisti dei fossili[37]) a Orlando, in Florida, per realizzare un vero e proprio scudo di protezione per le compagnie di combustibili fossili[38]. Riley Moore, il tesoriere del West Virginia, ha escluso diverse grandi banche, tra cui Goldman Sachs, JPMorgan e Wells Fargo dai contratti governativi con il suo Stato perché stanno riducendo i loro investimenti nel carbone[39]. Sempre Moore e i tesorieri della Louisiana e dell’Arkansas hanno ritirato più di 700 milioni di dollari da BlackRock, il più grande gestore di investimenti del mondo, obiettando che l’azienda è troppo attiva sulle questioni ambientali[40]; allo stesso tempo i tesorieri di Utah e Idaho stanno facendo pressioni sul settore privato affinché abbandoni l’azione per il clima[41].
Si sta poi profilando una enorme grana legale: gli investimenti esteri sono regolati da migliaia di accordi internazionali di investimento, che includono disposizioni sulla risoluzione delle controversie investitore-Stato[42]. L’Unione Europea è firmataria dell’ECT, il Trattato sulla Carta dell’Energia, un accordo che consente agli investitori stranieri di chiedere un risarcimento finanziario ai governi se le modifiche alla politica energetica influiscono negativamente sui loro investimenti: un formidabile freno per il Green Deal, che ne mette i fondamenti in discussione[43].
Negli ultimi tempi si è assistito ad un fiorire di controversie tra investitori e Stati sulla base di trattati di investimento bilaterali o multilaterali: fanno scuola i casi di arbitrato sugli investimenti contro i Paesi Bassi a causa della decisione del governo olandese di eliminare gradualmente le centrali a carbone (RWE vs. Paesi Bassi , caso ICSID n. ARB/21/4 ; Uniper vs. Paesi Bassi , caso ICSID n. ARB/21/22) e una causa intentata contro il diniego da parte dell’Italia di una concessione di perforazione costiera (Rockhopper vs. Italia, caso ICSID n. ARB/17/14)[44]. Il Governo tedesco ha chiuso nel marzo del 2021 un contenzioso con alcune società (Vattenfall, RWE, E.ON e EnBW) per averle costrette a chiudere anticipatamente le loro centrali nucleari in risposta al disastro di Fukushima: il risarcimento complessivo, dopo anni di dibattimento, è stato di 3,1 miliardi di dollari[45].
Allo stesso modo, varie parti interessate hanno presentato pretese del valore di 15 miliardi di dollari contro gli Stati Uniti per la revoca del progetto del gasdotto Keystone XL[46]. Uno studio pubblicato da Science il 5 maggio 2022, stima che le azioni dei governi per limitare i combustibili fossili potrebbero innescare richieste fino a 340 miliardi di dollari, solo da parte di investitori nel solo settore petrolifero e del gas: un importo sbalorditivo che, se suddiviso per paese, per alcuni potrebbe superare persino il PIL nazionale[47], specie nel sud del mondo[48].
Questa cifra, secondo l’autrice, Kyla Tienhaara[49], è una stima prudente, visto che non include i progetti relativi all’industria del carbone[50]. Tali controversie possono così diventare un potente strumento in mano all’industria del fossile per rallentare se non bloccare totalmente, soprattutto in alcuni paesi economicamente svantaggiati, il processo di decarbonizzazione[51]. In ogni caso, la transizione, sul piano geopolitico, non sarà tranquilla, specie visti i rapporti tesi con Russia e Cina. La politica estera dell’Unione Europea sarà fondamentale per scongiurare crisi che possono compromettere gli obiettivi del Green Deal. L’UE e i suoi vicini esportatori di petrolio e gas hanno il tempo di pianificare adeguatamente questa transizione. Fino al 2030 si continuerà a importare petrolio e gas – il calo vero inizierà solo dopo.
Una diversa mobilità
Il 14 dicembre 2021 la Comunità Europea pubblica una proposta sui trasporti[53] allo scopo di armonizzare i bisogni del mercato con quelli del green deal europeo: a ) si offre di aumentare la connettività e spostare un maggior numero di passeggeri e merci su rotaia e vie navigabili interne (rilancio dell’asse TEN-T), visto che oggi è questa la via più sicura e con minori emissioni inquinanti; b) promette di incentivare il traffico ferroviario a lunga percorrenza e transfrontaliero: solo il 7% dei chilometri percorsi in treno tra il 2001 e il 2018 ha riguardato viaggi transfrontalieri; ci saranno ticket più facili, meno costosi, incentivi fiscali; c) guarda alle esigenze dei conducenti con il miglioramento delle infrastrutture (tra queste il drastico aumento delle colonnine di rifornimento per gli EVs) e l’incentivazione del digitale, rendendo disponibili in tempo reale sempre più informazioni cruciali relative ai dati sul traffico.
Ma è la parte relativa alla mobilità urbana quella più interessante[54]: i punti toccati mirano a risolvere la crescente congestione delle aree cittadine – nelle città viene generato il 23% di tutte le emissioni di gas serra legato ai trasporti – attraverso un piano complesso che punta a rendere il trasporto urbano resiliente, rispettoso dell’ambiente ed efficiente dal punto di vista energetico – identificando soluzioni a emissioni zero per la logistica urbana, promuovendo lo spostamento attivo (a piedi o bicicletta), incentivando il Km 0, i trasporti urbani a zero emissioni e il car sharing. Basti pensare all’esperimento tedesco dove quest’anno, per tre mesi, si è adottata una tariffa unica di 9,00 € applicata a tutto il trasporto pubblico nazionale: 52 milioni di biglietti venduti a partire da fine maggio, 42 milioni in più rispetto allo stesso periodo precedente, e ciò si è tradotto in 1,8 milioni di tonnellate di CO2 risparmiati in tre mesi[55].
Tali proposte, si legge, “metteranno il settore dei trasporti sulla buona strada per ridurre le proprie emissioni del 90%”[56]. Un piano ben fatto, cui manca una parte fondamentale: un’idea concreta che disincentivi gli spostamenti. In l’Italia, ad esempio, il 67,9% delle persone si sposta quotidianamente per motivi di lavoro – una percentuale altissima[57]; in Germania almeno 3,4 milioni di persone si spostano giornalmente da uno Stato federale all’altro per motivi professionali[58]. In qualsiasi luogo europeo, se si osservano le statistiche, i trasporti sia pubblici che privati vengono impegnati principalmente per motivi di lavoro.
Durante i lockdown ai quali si è ricorsi a causa della pandemia, le città di tutto il mondo hanno giocoforza dovuto relazionarsi con gli ambienti professionali in modo del tutto diverso, e l’approdo al telelavoro ha subito un incremento mai visto in precedenza. È aumentata l’efficienza e si sono ridotti i costi. I dipendenti hanno migliorato la propria qualità di vita: basta pendolarismo e ricerca di un parcheggio. Più di tutti ne ha beneficiato l’ambiente: drastica riduzione dei consumi energetici, del traffico cittadino, delle emissioni e dei chilometri percorsi. Avremmo voluto più coraggio dalla Commissione Europea in merito: un piano dettagliato, incentivi ai vari Paesi nel dotarsi della giusta legislazione, campagne di sensibilizzazione.
Quale sostenibilità?
Questo nostro lavoro si conclude con un’unica certezza e molte domande. La certezza riguarda il fatto che l’inquinamento derivante dai combustibili fossili sia responsabile del repentino cambiamento climatico e che, a causa di questo, si è largamente condivisa la volontà di affrontare le questioni ambientali con la convinzione che il tempo sia particolarmente tiranno. Ma tali decisioni possono avere effetti domino particolarmente insidiosi, che rischiano di inficiare gli obiettivi e addirittura di ottenere effetti controproducenti sul piano della sostenibilità.
I gravi danni ambientali, lo sfruttamento minorile e le disumane condizioni di chi lavora in miniera si aggraveranno per l’impennata della domanda di minerali; il problema dei processi di smaltimento rischia di finire fuori controllo e di risultare largamente insostenibile; il ripensamento delle infrastrutture legate alla distribuzione elettrica, la stessa sostenibilità energetica alla fonte (l’attuale crisi sta imponendo una inversione a u in direzione del fossile) assume proporzioni titaniche; le conseguenze in termini di inquinamento elettromagnetico, finora ampiamente sottovalutate, rischiano di trasformarsi in un serio boomerang; chiudere la porta in faccia ai paesi produttori di petrolio potrebbe innescare gravi destabilizzazioni; gran parte delle famiglie occidentali potrebbe dover far fronte a costi insostenibili e veder preclusa la possibilità di spostarsi, ed il turismo potrebbe subire serie ripercussioni; ci saranno, solo in Europa, milioni di disoccupati, banche in difficoltà, settori industriali che perderanno know-how o si estingueranno. E non avremo fonti di energia sufficienti, e seppure le avessimo sarà la rete di distribuzione ad essere totalmente inadeguata – tutti interrogativi ai quali nessuno sembra aver cercato risposta.
Si fa strada la certezza che la sentenza di morte pronunciata contro il motore a scoppio sia uno spericolato salto nel buio, e sembra sia stata pronunciata da un pool di esecutori seriamente privi delle capacità di comprendere le conseguenze del proprio gesto. Le industrie si preparano: trasformano le catene di montaggio e licenziano. Che faremo se a metà strada ci accorgessimo di non poter raggiungere gli obiettivi? Perché Bruxelles non se ne preoccupa? Quale è la vera sostenibilità dell’intero progetto? È davvero un progetto, o una decisione folle presa in una giornata di umore tetro?
Il Green Deal europeo rimane una risposta importante alle sfide che il mondo e l’Europa si trovano ad affrontare, ma vorremmo un po’ più di realismo e cautela. Miriamo a rendere l’Europa il primo continente climaticamente neutro entro il 2050, ma chiediamo chiarezza sui troppi aspetti completamente ignorati. Trasformare l’economia in un sistema pulito e circolare, riducendo l’inquinamento e ripristinando la biodiversità, non è più una scelta, ma un obbligo cui lavorare insieme – è l’unico modo per tentare di invertire un processo distruttivo che sta esprimendo tutta la sua forza col cambiamento climatico. Ma un pianeta non si salva con la cecità della burocrazia interstellare della distopia di Douglas Adams.
È una lotta contro il tempo, non ce ne rimane molto.
[1] https://www.acea.auto/figure/average-age-of-eu-vehicle-fleet-by-country/
[2] https://www.acea.auto/figure/average-age-of-eu-vehicle-fleet-by-country/
[3] ricerca Jato Dynamics 2021: https://info.jato.com/electric-vehicles-a-pricing-challenge
[4] https://pledgetimes.com/electric-cars-how-much-they-cost-more-than-thermals-the-price-challenge/
[5] ricerca Jato Dynamics 2021: https://info.jato.com/electric-vehicles-a-pricing-challenge
[6] https://www.cnet.com/roadshow/news/volkswagen-ev-ice-sales/#:~:text=Cars-,Volkswagen%20foresees%20EV%20price%20parity%20with%20ICE%20by%202025%2C%2050,start%20to%20accelerate%20around%202025.&text=It%20all%20started%20with%20Gran%20Turismo.
[7] https://about.bnef.com/blog/electric-cars-reach-price-parity-2025/
[8] https://finance.yahoo.com/news/european-used-car-market-report-121800425.html
[9] https://www.best-selling-cars.com/europe/2021-full-year-europe-car-sales-per-eu-uk-and-efta-country/#:~:text=2021%20(Full%20Year)-,In%202021%2C%20new%20passenger%20vehicle%20registrations%20in%20the%20European%20Union,up%2010.3%25%20to%20427%2C512%20cars.
[10] https://www.ft.com/content/fbe8843e-1d2e-4a25-bce8-dcf77304fc37
[11] https://reneweurope-cor.eu/wp-content/uploads/2020/06/The-Green-Deal-and-the-Automotive-Industry-in-the-EU.pdf
[12] https://reneweurope-cor.eu/wp-content/uploads/2020/06/The-Green-Deal-and-the-Automotive-Industry-in-the-EU.pdf
[13] https://3seaseurope.com/central-europe-automotive-crisis/
[14] https://www.reuters.com/article/us-volvo-layoffs-idUSKBN23N24G
[15] https://www.theguardian.com/business/2020/may/29/renault-to-cut-14600-jobs-as-part-of-2bn-cost-saving-plan-covid-19
[16] https://www.electrive.com/2021/12/17/nissans-barcelona-plant-is-now-closed/#:~:text=Nissan%20revealed%20the%20decision%20to,Sant%20Andreu%20de%20la%20Barca.
[17] https://www.reuters.com/article/us-nissan-layoffs-idUSKBN22Y0SK
[18] https://www.bruegel.org/sites/default/files/wp_attachments/PC-04-GrenDeal-2021-1.pdf
[19] https://www.bp.com/content/dam/bp/business-sites/en/global/corporate/pdfs/energy-economics/statistical-review/bp-stats-review-2022-full-report.pdf
[20] https://www.bp.com/content/dam/bp/business-sites/en/global/corporate/pdfs/energy-economics/statistical-review/bp-stats-review-2022-full-report.pdf
[21] https://ourworldindata.org/fossil-fuels
[22] https://www.bp.com/content/dam/bp/business-sites/en/global/corporate/pdfs/energy-economics/statistical-review/bp-stats-review-2022-full-report.pdf
[23] https://www.epa.gov/ghgemissions/global-greenhouse-gas-emissions-data
[24] https://www.iea.org/topics/transport
[25] https://www.iea.org/reports/global-energy-review-2021/oil
[26] https://www.spglobal.com/commodityinsights/en/market-insights/latest-news/oil/101321-global-fossil-fuel-demand-set-for-2025-peak-under-net-zero-pledges-iea#:~:text=Global%20demand%20for%20fossil%20fuels,13.
[27] https://www.spglobal.com/commodityinsights/en/market-insights/latest-news/oil/101321-global-fossil-fuel-demand-set-for-2025-peak-under-net-zero-pledges-iea#:~:text=Global%20demand%20for%20fossil%20fuels,13.
[28] https://www.spglobal.com/commodityinsights/en/market-insights/latest-news/oil/101321-global-fossil-fuel-demand-set-for-2025-peak-under-net-zero-pledges-iea#:~:text=Global%20demand%20for%20fossil%20fuels,13.
[29] https://www.spglobal.com/commodityinsights/en/market-insights/latest-news/oil/101321-global-fossil-fuel-demand-set-for-2025-peak-under-net-zero-pledges-iea#:~:text=Global%20demand%20for%20fossil%20fuels,13.
[30] https://www.bruegel.org/sites/default/files/wp_attachments/PC-04-GrenDeal-2021-1.pdf
[31] https://www.iea.org/news/support-for-fossil-fuels-almost-doubled-in-2021-slowing-progress-toward-international-climate-goals-according-to-new-analysis-from-oecd-and-iea
[32] https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2020/02/13/auto-elettrica-petrolio/?refresh_ce=1
[33] https://www.ey.com/en_gl/tax-alerts/european-parliament-adopts-carbon-legislation-package-final-negotiations-with-eu-member-state-representatives-expected-soon#:~:text=and%20Member%20States.-,Carbon%20Border%20Adjustment%20Mechanism%20(CBAM),meet%20global%20carbon%20ambition%20goals.
[34] https://www.eia.gov/tools/faqs/faq.php?id=709&t=6
[35] https://internationalfinance.com/oil-gas-what-makes-industry-profitable/
[36] https://internationalfinance.com/oil-gas-what-makes-industry-profitable/
[37] https://www.theenergymix.com/2022/08/07/u-s-state-treasurers-use-public-office-to-thwart-climate-action-investigation-finds/
[38] https://www.theenergymix.com/2022/08/07/u-s-state-treasurers-use-public-office-to-thwart-climate-action-investigation-finds/
[39] https://www.theenergymix.com/2022/08/07/u-s-state-treasurers-use-public-office-to-thwart-climate-action-investigation-finds/
[40] https://www.nytimes.com/2022/08/05/climate/republican-treasurers-climate-change.html
[41] https://www.nytimes.com/2022/08/05/climate/republican-treasurers-climate-change.html
[42] https://uk.practicallaw.thomsonreuters.com/0-624-6147?transitionType=Default&contextData=(sc.Default)#:~:text=A%20procedural%20mechanism%20that%20allows,in%20which%20it%20has%20invested.
[43] https://euractiv.it/section/energia/news/trattato-sulla-carta-dellenergia-leuropa-si-avvicina-alluscita/
[44] https://www.jdsupra.com/legalnews/predicted-rise-in-climate-related-1501919/
[45] https://www.reuters.com/article/us-germany-nuclear-settlement-idUSKBN2AX10T
[46] https://www.bilaterals.org/?us-15-billion-isds-claim-against
[47] https://www.science.org/cms/asset/28b2a970-2e58-48dc-8bb1-f60b60210592/science.abo4637.v1.pdf
[48] https://www.grid.news/story/climate/2022/05/05/the-fossil-fuel-industry-has-a-trillion-dollar-secret-weapon-to-kneecap-climate-action/
[49] https://www.queensu.ca/ensc/kyla-tienhaara
[50] https://www.grid.news/story/climate/2022/05/05/the-fossil-fuel-industry-has-a-trillion-dollar-secret-weapon-to-kneecap-climate-action/
[51] https://www.grid.news/story/climate/2022/05/05/the-fossil-fuel-industry-has-a-trillion-dollar-secret-weapon-to-kneecap-climate-action/
[52] https://transport.ec.europa.eu/transport-themes/infrastructure-and-investment/trans-european-transport-network-ten-t_en
[53] https://transport.ec.europa.eu/news/efficient-and-green-mobility-2021-12-14_en
[54] https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/qanda_21_6729
[55] https://www.theguardian.com/world/2022/aug/30/germanys-9-train-tickets-scheme-saved-18m-tons-of-co2-emissions
[56] https://transport.ec.europa.eu/news/efficient-and-green-mobility-2021-12-14_en
[57] https://www.istat.it/it/files//2021/05/Censimento_spostamenti_pendolari.pdf
[58] https://www.thelocal.de/20210608/commuting-how-many-people-in-germany-travel-to-another-federal-state-for-work/
[59] https://www.theguardian.com/cities/2018/nov/13/what-would-a-smog-free-city-look-like-air-pollution
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