Clima
Inchiesta sull’auto elettrica, parte III: ambiente, geopolitica e idrogeno
“Inchiesta sull’auto elettrica” Parte I: https://www.glistatigenerali.com/auto_clima/la-verita-sullauto-elettrica-parte-i/
“Inchiesta sull’auto elettrica” Parte II: https://www.glistatigenerali.com/auto_clima/la-verita-sullauto-elettrica-parte-ii/
“Inchiesta sull’auto elettrica” Parte IV: https://www.glistatigenerali.com/auto_clima/la-verita-sullauto-elettrica-parte-iv/
Coautore: Silverio Allocca
I dimenticati danni ambientali
Diamo uno sguardo sui reali impatti ambientali e geopolitici derivanti dall’auto elettrica – che dall’Unione Europea non sembrano essere considerati. Inoltre guardiamo alle nuove frontiere, legate all’idrogeno, un vettore energetico che può stravolgere nell’immediato futuro la visione che abbiamo del nostro mondo.
L’impatto ambientale
Il dibattito sul reale ruolo green degli EVs è apertissimo: è indiscutibile la loro scarsa emissione di CO2, come di altri elementi inquinanti, durante la loro fase di esercizio. Ma un’analisi seria deve tener conto del totale ciclo di un EV, dal reperimento delle materie prime necessarie alla sua produzione fino allo smaltimento a fine vita; va considerato l’impatto che scaturisce dall’utilizzo di milioni di tonnellate di rame, acciaio e terre rare per milioni di colonnine, e se guardiamo all’inquinamento elettromagnetico, non parliamo più di un prodotto dal ciclo virtuoso. Qui si entra in un campo molto complesso poiché gli elementi da considerare sono davvero molti.
Le materie prime. Sebbene gli EV necessitino meno materiali degli ICEVs (come acciaio, alluminio e rame), la richiesta di minerali è invece sei volte superiore[2]: litio, cobalto, grafite, terbio, disprosio, neodimio, per i quali il reperimento è complesso ed inquinante. Secondo il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti Argonne National Laboratory, una singola batteria agli ioni di litio per auto (del tipo noto come NMC532) contiene circa 8 kg di litio, 35 kg di nichel, 20 kg di manganese e 14 kg di cobalto[3] e, vista la diffusione in rapidissima ascesa, la reperibilità di enormi quantitativi di questi elementi è un aspetto cruciale per l’industria produttiva.
La disponibilità in natura del litio sembra non desti preoccupazioni: l’US Geological Survey stima che le attuali riserve – 21 milioni di tonnellate – sono sufficienti per portare la conversione agli EVs fino alla metà del secolo[4]. La situazione del cobalto è diversa: due terzi della fornitura globale proviene dalla Repubblica Democratica del Congo (con la Cina che controlla l’estrazione mineraria in RDC per almeno il 70%[5] e che sta attuando una forte espansione in territori come il Camerun, l’Angola, la Tanzania, lo Zambia e la Groenlandia[6]), in miniere che violano i diritti umani[7] ed il rispetto ambientale[8]: prime fra tutte le multinazionali Glencore Plc, China Molybdenum, Fleurette, Vale e Gécamines[9].
Nel 1987 il presidente cinese Deng Xiaoping afferma: “Il Medio Oriente ha il petrolio. La Cina ha terre rare”. A distanza di quasi 40 anni la Cina è ancora l’assoluto protagonista: 168’000 tonnellate nel 2021, cui seguono gli Stati Uniti con 43’000 tonnellate e il Myanmar con 26’000[10]. Se parliamo di riserve, in vetta permane la Cina con 44 milioni di tonnellate, segue il Vietnam con 22 milioni di tonnellate, poi il Brasile al pari con la Russia con 21 milioni di tonnellate – per un totale di 120 milioni di tonnellate[11].
Nell’estrazione del litio ciò che preoccupa maggiormente è la questione ambientale: gli attuali metodi estrattivi richiedono enormi quantità di energia (per il litio estratto dalla roccia) e acqua (per l’estrazione dalle salamoie), anche se le tecniche più moderne utilizzano l’energia geotermica, considerata meno peggio. Il nichel non basta, ma grazie alla tecnologia se ne utilizzerà sempre meno in futuro[12].
Le violazioni dei diritti e dell’ambiente legate all’estrazione mineraria delle terre rare sono molto diffuse anche in altri paesi, come in Cina, dove l’ecosistema di vasti territori è stato ormai irrimediabilmente distrutto[14]. Le terre rare, contrariamente a quanto suggerisce il nome, sono molto abbondanti in natura: il loro nome deriva dal fatto che se ne trovano in basse concentrazioni – e, quando si trovano, sono difficili da separare dagli altri elementi, per cui si usano sistemi altamente inquinanti.
L’estrazione mineraria consuma enormi quantità di acqua dolce ed inquina il suolo, le falde acquifere e l’aria. Vaste miniere a cielo aperto causano la deforestazione e minacciano la biodiversità[15]. L’estrazione, la lavorazione e il trasporto di minerali consumano enormi quantità di energia, generando emissioni di gas serra. Le stesse terre rare diventano inquinanti quando rilasciati nell’ambiente sotto forma di emissioni o rifiuti. È molto difficile intervenire con verifiche ambientali in paesi spesso ostili. Esiste poi, in molte realtà, un’attività estrattiva illegale che sfugge ad ogni regola, ed è la più dannosa[16].
Insomma, se vi hanno raccontato che gli EV sono veicoli magici… beh, non è proprio così. Ma la loro introduzione obbligatoria causerà un sostanziale calo o, in futuro, il completo annullamento dell’uso di carburanti fossili: il risparmio di emissioni inquinanti compensa forse i guasti che trascina con sé. L’impressione, però, è che la transizione richiederà più del tempo programmato. A meno di non usare il petrolio, invece che nei serbatoi delle auto, in quelli delle centrali che devono produrre l’elettricità necessaria per far camminare l’EV.
Le questioni geopolitiche
Il possesso delle terre rare in alte concentrazioni nelle mani di pochi pone ovviamente un pesante interrogativo sulla loro redistribuzione. Se poi questi pochi sono rappresentati da Paesi con i quali, storicamente, si hanno rapporti “complicati”, la questione si fa seria. Ben presto la domanda di terre rare subirà un boom che andrà di pari passo con il forte aumento di produzione degli EV e con il rilancio della produzione di energia rinnovabile[18]: in una turbina eolica da 3MW vengono utilizzate 2 tonnellate di neodimio[19], 335 tonnellate di acciaio, 4,7 tonnellate di rame, 1200 tonnellate di cemento e 3 tonnellate di alluminio[20]. Adamas Intelligence[21] prevede che il mercato degli ossidi di terre rare magnetiche aumenterà di cinque volte, da 2,98 miliardi di dollari nel 2021 a 15,65 miliardi di dollari nel 2030[22].
Secondo l’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili, per raggiungere lo zero netto di emissioni entro la metà del secolo, la capacità installata cumulativa globale dell’energia eolica deve triplicare entro il 2030 (fino a 1.787 GW) e aumentare del 900% entro il 2050 (fino a 5.044 GW) rispetto alla capacità installata nel 2018 (542 GW). La Cina è il Paese che è in grado maggiormente di soddisfare la domanda, visto che detiene la maggior fetta di riserve, oltre ad esserne il più grande produttore[23]. Questo implica che Stati Uniti ed Unione Europea avranno un ruolo di dipendenza (in Europa viene estratto soltanto il 3% delle materie prime necessarie per le batterie al litio[24]), come per decenni è avvenuto per il petrolio. Ciò riguarda l’intera catena di approvvigionamento, dall’estrazione alla vendita ai consumatori.
Le terre rare sono strategiche in campo militare, poiché fondamentali per i moderni sistemi di difesa: il boom di domanda in campo civile che potrebbe generare una rarefazione dell’offerta, metterebbe a rischio gli approvvigionamenti soprattutto in questo settore – un rischio che nessun paese occidentale è disposto a correre. Tentare altre strade non è semplice: Washington possiede un’unica miniera di terre rare, vicino alla Mojave National Preserve a Mountain Pass, in California, ma ha una storia di complesse controversie. Divenuta inattiva nel 2002, dopo 50 anni di problemi economici e ambientali, la miniera è stata rilevata nel 2008 da Molycorp Minerals Llc, fallita nel 2014[25].
Riaprirla, in base alle leggi americane sulla protezione ambientale, è impossibile. Sicché si cede l’attività di trasformazione ad aziende cinesi, che raccolgono il materiale grezzo in America, lo trasformano in Cina e poi lo rivendono (a carissimo prezzo) negli Stati Uniti[26]. Ciò nonostante, grazie all’aumento dei prezzi delle terre rare, ora ci si guadagna anche così[27]. Poca cosa rispetto ai bisogni cui l’occidente dovrà far fronte: il mondo, nel quale gli Stati Uniti figuravano come principale esportatore di combustibili fossili, con circa il 20% della fornitura globale, si sta trasformando in uno in cui la Cina controlla da sola più del 75% di tutti i materiali necessari alla transizione ecologica.
C’è però un argomento che può ridurre le preoccupazioni: il riciclo dei materiali, soprattutto nel caso delle batterie, per le quali l’impegno di terre rare rappresenta una quota importante. SiTration, una società del Massachusetts Institute of Technology (MIT), promette, con le tecnologie più moderne, di recuperare oltre il 95% di materiali critici di cui è composta una batteria, e promette di farlo utilizzando 10 volte meno energia impiegata sino ad oggi[28]. Il ciclo vitale relativamente breve di una batteria al litio, attualmente stimato nell’ordine di 10 anni, è una caratteristica negativa, mentre diventa una opportunità se viene riusata: così si riotterrebbero in modo diretto gran parte dei materiali necessari alla produzione, abbattendo i costi, energetici, ambientali e geopolitici della filiera di approvvigionamento. Ma se questo è vero per le batterie, è meno vero per tutti gli altri prodotti che hanno un ciclo vitale considerevolmente più lungo, come per esempio le pale eoliche. L’unica vera speranza è che il progresso tecnologico riesca a sostituire l’attuale produzione con materiali alternativi meno problematici.
Il futuro è l’idrogeno?
La sostituzione dell’intera flotta degli ICEVs, ibride comprese, avverrà con gli EVs alimentate dalle batterie al litio: è questa l’unica strada percorribile verso la transizione ecologica? La tecnologia, si sa, corre veloce, e spesso supera l’immaginario. In cantiere le idee sono tante, alcune in fase molto avanzata di realizzazione. L’attuale competitor ruota attorno all’idrogeno: è l’elemento più abbondante e il più leggero dell’universo e contiene più energia per unità di massa rispetto al gas naturale o alla benzina, il che lo rende molto attraente per i trasporti. La sua ossidazione produce molta energia e, cosa molto interessante, l’unico residuo di questo processo è l’acqua ed altri elementi dall’apporto inquinante assolutamente trascurabile.
Un motore a idrogeno è semplice da realizzare, somiglia ad un classico motore termico, ma possiede degli handicap: lo scarso rendimento e le emissioni nocive di ossidi di azoto che possono reagire nella bassa atmosfera formando ozono, un gas serra. La tecnologia si è spinta oltre, riuscendo ad utilizzare l’idrogeno in un EV: questo gas, attraverso la sua ossidazione, è in grado di generare energia elettrica. Per fare ciò si utilizza un dispositivo chiamato “cella a combustibile” che tra l’altro sfrutta una idea per nulla nuova: il suo principio è stato scoperto nel 1839 dal fisico inglese William Grove[30]: queste celle vanno a sostituire le attuali batterie al litio ed il gioco è fatto.
Fabbricare celle a combustibile non è però molto economico: il punto debole è il “catalizzatore” necessario per innescare i processi chimici; per realizzarlo si usano almeno sei diversi elementi che appartengono al gruppo del platino – assai costoso e raro; ma anche qui la ricerca sta arrivando ad importanti traguardi: uno studio pubblicato nel luglio 2022 su Nature Energy[31] afferma che alcuni ricercatori sono riusciti a realizzare catalizzatori efficienti e durevoli utilizzando metalli meno nobili, come il ferro combinato con azoto e carbonio. Il prodotto sembra eguagliare le qualità del catalizzatore in platino, ma non ha più i suoi svantaggi[32].
Disponibilità infinita, semplicità costruttiva, buon rendimento (che va dal 40 al 60%), nessuna emissione inquinante: abbiamo l’uovo di Colombo? Non ancora: innanzitutto, l’idrogeno non esiste libero in natura, se non in quantità minimali. Si presenta legato ad altri elementi come l’acqua o il metano, e la sua estrazione impiega enormi quantità di energia. L’idrogeno attualmente utilizzato come materia prima nell’industria è prodotto quasi interamente da combustibili fossili con conseguente emissione di CO2: è chiamato “Idrogeno grigio” quando le emissioni vengono rilasciate nell’atmosfera e “idrogeno blu” quando le emissioni di carbonio vengono catturate e stoccate. L’idrogeno “verde” è l’unico accettabile all’interno del processo di decarbonizzazione: viene estratto dall’acqua per elettrolisi, ma per definirsi verde, l’energia per astrarlo deve essere fornita totalmente da fonti rinnovabili.
Ma la ricerca offre grandi orizzonti: un nuovo studio dell’Università della California Santa Cruz mostra che si può estrarre idrogeno in modo semplice ed economico: utilizzando un composto di gallio e alluminio per creare nanoparticelle di alluminio, che reagiscono rapidamente con l’acqua a temperatura ambiente, producendo grandi quantità di idrogeno ed impegnando una quantità piccolissima di energia. Questa metodologia è attualmente in attesa di brevetto, e potrebbe rappresentare una vera svolta nell’utilizzo dell’idrogeno[33].
Superato il problema dell’estrazione, c’è quello dello stoccaggio e del trasporto: l’idrogeno ha bassissima densità, stoccarlo significa sottoporlo a fortissime pressioni (fino a 700 bar) oppure liquefarlo, mantenendolo al di sotto dei -253°C: anche queste attività sono fortemente energivore, il costo energetico della liquefazione corrisponde a circa il 30% del contenuto energetico del combustibile[34]. L’accumulo chimico è un’altra tecnologia che sfrutta la capacità dell’idrogeno di legarsi a composti chimici o a metalli, ed è estremamente efficace per ridurne il volume fino a 3-4 volte rispetto agli altri processi, ma a parità di peso il veicolo presenta un’autonomia tre volte inferiore a quella ottenibile con idrogeno liquido o compresso con serbatoi di tipo avanzato[35]. Il sistema però è molto promettente e, come al solito, speriamo nel progresso tecnologico.
Anche la distribuzione è un processo particolarmente oneroso: le autocisterne utilizzano speciali bombole, molto pesanti, il cui riempimento richiede molta energia, e la distribuzione attraverso una rete di gasdotti richiede speciali tubature con particolari tipi di acciai e di diametro superiore, viste le alte pressioni in gioco[37]. A conti fatti, l’idrogeno è estremamente interessante per le sue peculiarità ecocompatibili, ma il processo che va dall’estrazione al suo uso è ancora insoddisfacente. C’è grande fermento nell’universo della ricerca, e si spera in una grande estensione della sua applicazione in tempi brevi.
Ma ci sono voci critiche: uno studio apparso sulla rivista Atmospheric Chemistry and Physics nel 19 luglio di quest’anno rivela che l’idrogeno, se rilasciato nell’atmosfera, ha un potere “riscaldante” ben più elevato di quanto si pensasse in precedenza, da due a sei volte maggiore[38]. Trattare l’idrogeno con estrema cautela facendo massima attenzione alle perdite sarà quindi d’obbligo: con un tasso di perdita del 10%, valore che molti scienziati ritengono plausibile, l’idrogeno blu (con cattura del carbonio e perdita di metano del 3%) potrebbe aumentare del 25% l’impatto del riscaldamento in 20 anni. L’idrogeno “verde” prodotto ridurrebbe comunque gli effetti del riscaldamento di due terzi rispetto ai combustibili fossili, ma molto meno della promessa climaticamente neutra rivendicata dai sostenitori dell’idrogeno[39].
L’industria automobilistica è scesa in campo già da venti anni nel produrre veicoli alimentati ad idrogeno – dapprima con prototipi, poi con veicoli in commercio: la BMW Hydrogen 7 del 2007 è la prima auto alimentata ad idrogeno (con motore a combustione) messa in circolazione in piccola serie, circa un centinaio di esemplari. Ora il mercato conta diversi esemplari, distribuiti dai maggiori brand: hanno come vantaggio una autonomia appetibile, visto che con un pieno si viaggia anche per 1000 Km, ma hanno un costo significativamente alto, al punto che alcune case le propongono a noleggio. Un altro forte svantaggio sono i punti di rifornimento molto rari: ad oggi in Germania se ne contano in tutto un centinaio[40], in Francia 29[41], in Spagna 9[42], in Italia soltanto 6[43]: Anche se si prevede una generale espansione a breve, siamo ancora veramente lontani da una fruibilità sostenibile.
Nella mobilità pesante invece siamo già ai progetti pienamente realizzati: due treni pilota ad idrogeno, prodotti dalla Alston, hanno già percorso in Germania oltre 180’000 Km tra il 2018 ed il 2020[44], mentre il primo treno ufficiale ad idrogeno con batterie a celle a combustibile ha preso regolare servizio il 25 luglio di quest’anno sulla linea ferroviaria regionale tedesca tra Cuxhaven e Buxtehude[45]. Nella navigazione si hanno realizzazioni già dal 2020, come la piccola imbarcazione Hydra, la prima al mondo con un motore a celle a combustibile. Da allora il sistema è stato implementato su diversi tipi di navi e sommergibili, e promette moltissimo.
Nella prossima quarta e ultima parte affrontiamo tre aspetti cruciali: come verrà intaccato il nostro diritto alla mobilità, quale sarà l’impatto industriale ed occupazionale e come verranno turbati gli equilibri geopolitici. Segue una riflessione sul modello di mobilità da costruire. Infine le nostre domande in cerca di risposte.
Parte IV: https://www.glistatigenerali.com/auto_clima/la-verita-sullauto-elettrica-parte-iv/
[1] https://www.change.org/p/electronics-companies-stop-unethical-coltan-mining-in-the-democratic-republic-of-congo
[2] https://www.iea.org/data-and-statistics/charts/minerals-used-in-electric-cars-compared-to-conventional-cars
[3] https://www.nature.com/articles/d41586-021-02222-1
[4] https://www.nature.com/articles/d41586-021-02222-1
[5] https://news.mongabay.com/2022/05/chinese-companies-linked-to-illegal-logging-and-mining-in-northern-drc/#:~:text=Chinese%20investors%20control%20about%2070,21%20percent%20of%20global%20production.
[6] https://earth.org/rare-earth-mining-has-devastated-chinas-environment/
[7] https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/12/17/congo-bimbi-morti-e-rimasti-paralizzati-nelle-miniere-di-cobalto-class-action-contro-i-giganti-del-digitale-rispondano-delle-vittime/5622684/
[8] https://earth.org/rare-earth-mining-has-devastated-chinas-environment/
[9] https://www.metallirari.com/cobalto-5-piu-grandi-societa-mondo/
[10] https://investingnews.com/daily/resource-investing/critical-metals-investing/rare-earth-investing/rare-earth-metal-production/
[11] https://investingnews.com/daily/resource-investing/critical-metals-investing/rare-earth-investing/rare-earth-reserves-country/
[12] https://www.nature.com/articles/d41586-021-02222-1
[13] https://www.piratewires.com/p/control-the-metal-control-the-world
[14] https://www.nature.com/articles/s41598-022-10105-2 ; https://earth.org/rare-earth-mining-has-devastated-chinas-environment/
[15] https://earth.org/rare-earth-mining-has-devastated-chinas-environment/
[16] https://landportal.org/node/102464
[17] https://www.investmentmonitor.ai/sectors/extractive-industries/china-rare-earths-supply-chain-west
[18] https://www.goudsmit.co.uk/fears-over-the-supply-of-neodymium-magnets-for-wind-turbines/
[19] https://lynasrareearths.com/products/how-are-rare-earths-used/wind-turbines/
[20] https://www.piratewires.com/p/control-the-metal-control-the-world
[21] https://www.adamasintel.com/reports/
[22] https://www.investmentmonitor.ai/sectors/extractive-industries/china-rare-earths-supply-chain-west
[23] https://www.sustainability-times.com/low-carbon-energy/the-future-of-wind-power-is-looking-bright-energy-agency-says/
[24] https://www.bruegel.org/sites/default/files/wp_attachments/PC-04-GrenDeal-2021-1.pdf
[25] https://www.forbes.com/sites/larrybell/2012/04/15/chinas-rare-earth-metals-monopoly-neednt-put-an-electronics-stranglehold-on-america/?sh=32b0cb662d6d
[26] https://www.voanews.com/a/usa_california-mine-becomes-key-part-push-revive-us-rare-earths-processing/6200183.html
[27] https://www.mining.com/web/mp-materials-profit-more-than-doubles-on-higher-rare-earths-prices/
[28] https://pv-magazine-usa.com/2022/07/12/ev-battery-recycling-startup-claims-95-recovery-yield-using-10-times-less-energy/
[29] https://www.iberdrola.com/about-us/lines-business/flagship-projects/puertollano-green-hydrogen-plant
[30] https://www.aps.org/publications/apsnews/201909/history.cfm#:~:text=It%20was%20a%20Welsh%20judge,Wales%2C%20to%20a%20local%20magistrate.
[31] https://www.nature.com/articles/s41560-022-01062-1 Liu, S., Li, C., Zachman, M.J. et al. Atomically dispersed iron sites with a nitrogen–carbon coating as highly active and durable oxygen reduction catalysts for fuel cells. Nat Energy 7, 652–663 (2022). https://doi.org/10.1038/s41560-022-01062-1
[32] https://www.labmanager.com/news/new-iron-catalyst-could-make-hydrogen-fuel-cells-affordable-28417
[33] https://pubs.acs.org/doi/10.1021/acsanm.1c04331
[34] https://www.eniscuola.net/wp-content/uploads/2011/02/pdf_idrogeno_2.pdf
[35] https://www.eniscuola.net/wp-content/uploads/2011/02/pdf_idrogeno_2.pdf
[36] https://fuelcellsworks.com/news/hygear-expands-its-hydrogen-trailer-fleet-in-europe/
[37] https://www.eniscuola.net/wp-content/uploads/2011/02/pdf_idrogeno_2.pdf
[38] https://www.edf.org/media/study-emissions-hydrogen-could-undermine-its-climate-benefits-warming-effects-are-two-six
[39] https://www.edf.org/media/study-emissions-hydrogen-could-undermine-its-climate-benefits-warming-effects-are-two-six
[40] https://www.glpautogas.info/en/hydrogen-stations-germany.html
[41] https://www.glpautogas.info/en/hydrogen-stations-france.html
[42] https://www.glpautogas.info/en/hydrogen-stations-spain.html
[43] https://www.glpautogas.info/en/hydrogen-stations-italy.html
[44] https://www.alstom.com/press-releases-news/2021/6/coradia-ilint-alstom-presents-worlds-first-hydrogen-passenger-train#:~:text=The%20world’s%20first%20hydrogen%20train,diesel%20train%20family%20Coradia%20Lint.
[45] https://www.trains.com/trn/news-reviews/news-wire/worlds-first-hydrogen-trains-enter-regular-passenger-service/
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