Clima
La Resistenza dei ‘pataca’
Non c’è ragazzetto, in Romagna, che, almeno una volta nella vita, non si sia sentito dire dal babbo o dal nonno, ‘mo lassandè, valà, t’ci propri un pataca’. Vocabolario alla mano, pataca, starebbe per inetto, sciocco. Ma in Romagna, più che altrove, le parole non vogliono sempre dire quello che vogliono dire. Anzi, quasi mai. Pataca, da ‘ste parti, è il burlone, la persona di spirito. Magari un po’ esibizionista, voglioso di essere al centro dell’attenzione ma ‘buono come un pezzo di pane’. Quello della compagnia capace di far divertire se stesso e gli altri. Anche in maniera goffa con le sue ‘patachedi’, appunto. Ma sincera. Uno che prende la vita senza prendersi troppo sul serio. In questi giorni, piegata dall’alluvione, la Romagna ha tirato fuori tutto quello che è. Poche lacrime – qualcuna si diobò: di tristezza, di tigna e di rabbia – molte maniche arrotolate ben bene. Poche pugnette. Ma proprio poche. Ché c’è da buttare via tutto quel fango e ripartire. Pure in fretta. E da ‘burdel de paciug’, mica da ‘angeli del fango’: perché nella melma, nella puzza di fogna che sale non c’è troppo da prendersi aulicamente sul serio. Anzi, nella melma e nella puzza di fogna che sale, oltre al badile, al secchio, agli stivaloni, alla voglia condivisa di dare una mano come si può, ci sta bene il pataca. L’ironia del video goliardico in cui un ragazzo entra al bar ancora allagato e ordinando uno spritz chiede, con l’acqua nera che arriva al ginocchio, ‘sempre così umidino, qui?’ O il ragazzino che si ferma un attimo e sorride al vicino di badile: ‘a che a n’avrem l’acqua, Callaghan!’. I due giovani in boxer che salgano sul canotto pagaiando nel sottopasso allagato di Riccione. I pedaloni, quelli che fanno tanto ‘stessa spiaggia stesso mare’, con a bordo le nonnine nelle vie trasformate in torrenti. I ragazzi di Faenza che scrivono sui social ‘dopo tutta questa fatica un aperitivo ci starebbe bene’ e a sera, come per incanto, la piazza centrale del paese si riempie di gente ancora sporca di fango ma con in mano un bicchiere e nella voce ‘Romagna mia’. la Resistenza. Non la resilienza, troppo fighetta. Ché qui – dove passava la Linea Gotica e le cittadine sono state bombardate come non mai – si resiste. E di brutto. Con la tigna e l’ignoranza. Quella buona. Si resiste. E si riparte.
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