Clima

La COP del Pacifico è un’occasione per parlare di adattamento

9 Novembre 2017

di Jacopo Bencini

Nonostante sia ospitata su territorio tedesco, la COP23 è il primo appuntamento globale sul clima ad essere presieduto da un piccolo stato insulare in via di sviluppo, le Isole Fiji: molti hanno pertanto soprannominato l’evento “la COP del Pacifico”, e il presidente delle Fiji ha voluto nuovamente sottolineare questo aspetto nella cerimonia di apertura di lunedì scorso. I problemi ambientali e climatici dei piccoli stati insulari, tuttavia, sono condivisi da molti paesi ben oltre i confini dell’Oceania.

I piccoli stati insulari in via di sviluppo, infatti, devono affrontare specifiche sfide: isolamento, scarsità di risorse naturali, dipendenza dai mercati stranieri, costi sproporzionati per trasporti ed energia, popolazione in crescita e gravi gap strutturali nell’amministrazione pubblica per mancanza di economie di scala. Questi stessi paesi sono tra i più vulnerabili rispetto agli effetti negativi del cambiamento climatico: erosione delle coste, innalzamento del livello del mare, alluvioni ed eventi atmosferici estremi. L’AOSIS (Associazione dei Piccoli Stati Insulari, un gruppo di pressione all’interno dei negoziati sul clima) ha a suo tempo giocato un ruolo di primo piano nella scrittura dell’Accordo di Parigi del 2015, chiedendo a gran voce di considerare l’ipotesi di una mitigazione delle emissioni che possa contenere entro gli 1,5 gradi il riscaldamento globale come best option da affiancare dall’opzione 2 gradi concordata, invece, dal resto del mondo. I piccoli stati insulari stanno difatti già soffrendo gli effetti del cambiamento climatico e vivono quotidianamente la necessità di finanziare il proprio adattamento alle nuove condizioni climatiche. Un’ambizione al ribasso non fu ritenuta accettabile e la pressione dei piccoli e più vulnerabili portò, almeno sulla carta, ad un risultato storico.

Quali e quanti sono i piccoli stati insulari in via di sviluppo? Sebbene non esista una lista ufficiale, il Dipartimento degli Affari Economici e Sociali dell’ONU (UNDESA) ha pubblicato una lista di paesi comprendente 57 stati e territori: 23 nei Caraibi, 20 nel Pacifico, 9 nel resto del mondo. Nel gruppo siedono paesi profondamente diversi fra loro in termini di sviluppo e necessità, accomunati però dalla vulnerabilità climatica (Singapore e Bahrain avranno sicuramente esigenze diverse, per esempio, rispetto a Tuvalu o Sao Tome e Principe, due fra gli stati meno sviluppati del pianeta) e dal contribuire in misura minima al cambiamento climatico. Tutti assieme, difatti, emettono poco più dello 0,5% delle emissioni globali. Quasi la metà di queste emissioni vengono da Singapore e Bahrain.

I piccoli e più vulnerabili stanno pertanto concentrando i loro sforzi sulle misure di adattamento e sulle misure di prevenzione del rischio. L’NDC (il documento riassuntivo delle promesse di uno stato in termini di mitigazione ed adattamento) di Fiji, stato che oggi presiede la COP e che nel 2016 è stato colpito da un ciclone che causò più di 50.000 sfollati, riflette precisamente questa impostazione con grande attenzione alla necessità di integrare le politiche climatiche nell’agenda politica tradizionale. Molti piccoli stati insulari (ad esempio Haiti, Mauritius) hanno presentano documenti dettagliati e realistici, indicando la mole di finanziamenti necessari per passare all’azione. Altri hanno presentato documenti di più difficile interpretazione, spesso privi di elementi quantitativi, e quasi sempre senza riferimenti ai costi relativi alle azioni (Jamaica, Palau). Considerato che in quasi tutti i casi l’azione di adattamento di questi piccoli paesi dipende da finanziamenti dall’esterno, sarà interessante capire come i sistemi di finanziamento internazionale potranno effettivamente rispondere ad una domanda fino ad oggi, in molti casi, non troppo chiara.

Recenti studi sui piccoli stati insulari hanno inoltre provato l’influenza di fattori locali – politici, di percezione – sul grado di implementazione delle politiche di adattamento. Troppo spesso, difatti, lo scarso coordinamento fra donatori e istituzioni beneficiarie e una limitata comprensione dei macrofenomeni a livello locale portano a distorsioni ed inefficienze nell’allocazione delle risorse destinate ai progetti ed in generale alle politiche di adattamento. Al netto di queste inefficienze, quali sono le azioni di adattamento più invocate negli NDC dei piccoli stati insulari? Senza dubbio grande attenzione è data, oltre che alla riduzione preventiva dei rischi ed all’agricoltura, alla gestione e disponibilità delle risorse idriche. L’acqua assume un ruolo centrale nell’NDC di Capo Verde: il governo della piccola repubblica atlantica ha presentato un piano di azione estremamente dettagliato ed ambizioso, orientato a garantire 40 litri di acqua potabile a tutti i cittadini e migliori sistemi di raccolta e distribuzione in città come nelle campagne entro il 2030. La realizzazione di questi obiettivi, tuttavia, risulta di nuovo subordinata alla disponibilità di finanziamenti internazionali. La vulnerabilità dei piccoli stati insulari, la stessa sopravvivenza delle loro popolazioni risultano pertanto strettamente legate all’implementazione di efficienti sistemi di trasferimento di risorse economiche e di capacità a sostegno delle politiche di adattamento. Un tema che la COP “del Pacifico” non potrà non trattare.

 

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