Clima

I meccanismi flessibili: la difficile transizione da Kyoto a Parigi

7 Dicembre 2018

di Stefano Caserini e Francesca Casale

È ormai chiara la necessità che gli Stati aumentino l’ambizione dei loro contributi nazionali volontari (NDC), per poter raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Nell’articolo 6 dell’Accordo sono previste le metodologie di cooperazione tra le Parti per implementare i propri NDC rendendoli più ambiziosi, tramite la riduzione delle emissioni in paesi terzi con progetti di mitigazione.

La transizione verso il nuovo accordo pone il problema di come integrare i meccanismi flessibili già esistenti definiti nell’ambito del Protocollo di Kyoto del 1997. Con questo termine si definisce la possibilità di avviare progetti di mitigazione interamente finanziati da un Paese dell’Annex I (i paesi più sviluppati)in altri Paesi, ripagati con la generazione dei crediti di emissioni utilizzabili per adempiere ai propri impegni di riduzione delle emissioni stesse. Questi crediti dovrebbero garantire un’addizionalità delle riduzioni rispetto a quello che avverrebbe in assenza degli stessi. L’utilizzo di questo sistema nell’ambito dell’Accordo di Parigi permetterebbe ai diversi Paesi (non solo i Paesi in via di sviluppo) di utilizzare azioni di mitigazione che altrimenti sarebbero impossibili da realizzare, rendendo i loro NDC più compatibili con l’Accordo di Parigi in modo efficiente e a costi accettabili.

Durante la COP24 le Parti dovranno decidere se e come mantenere i meccanismi flessibili all’interno dell’Accordo. Sarà un processo difficile per via delle opinioni molto discordanti e non è detto che si raggiungerà una conclusione entro la fine della prossima settimana.

Tra i meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto si colloca il CDM (Clean Development Mechanism) con cui sono stati sviluppati progetti in 140 Paesi del mondo, per un totale di crediti corrispondenti a 2 miliardi di tonnellate di CO2. Nonostante richieste per sottoscrivere nuovi progetti arrivino in continuazione, lo sviluppo di nuovi progetti è notevolmente rallentato a causa della mancanza di impegni nel periodo pre-2020.

Chi è favorevole a mantenere i meccanismi flessibili fa riferimento al successo avuto da questi progetti, e ai molti co-benefici locali.  Sicuramente i crediti CDM rimarranno attivi nel periodo Pre-2020, ma spetta ora alle Parti decidere se potere utilizzare questi crediti nell’ambito degli impegni del periodo 2020-2030 a cui si riferiscono gli NDC.

Chi è contrario all’uso dei meccanismi flessibili nel periodo post 2020 porta come argomentazione il rischio che i Paesi, utilizzando questi strumenti, rinviino gli sforzi “domestici” per implementare o rendere più ambiziosi i loro NDC. Inoltre, utilizzando questi meccanismi si riduce l’utilizzo di altre forme di finanziamento previste dall’Accordo di Parigi. Le critiche non derivano solo dal fatto che prezzi molto bassi dei crediti CDM darebbero la possibilità di riduzioni a costi contenuti, ma che analisi recenti hanno messo in discussione l’addizionalità di molti di questi progetti e la necessità della  generazione dei crediti per la continuazione dei progetti già realizzati (si veda il rapporto preparato per la Commissione Europea e il rapporto del New Climate Institute  presentato al padiglione europeo alla COP).

Qualsiasi sarà la decisione sul destino di questi strumenti, i governi dovranno avere un ruolo attivo nel decidere in quali ambiti applicare l’Articolo 6 e quali progetti accettare nel proprio Paese, in base alle necessità delle comunità locali. La prima fase di definizione delle regole per gestire i meccanismi flessibili all’interno dell’Accordo di Parigi, salvaguardando l’ambizione degli NDC, è uno dei risultati attesi nel Rulebook che dovrà uscire dalla COP24.

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