Clima

Il Dialogo di Talanoa: quando l’empatia non è abbastanza

18 Dicembre 2018

di Elisa Bardazzi e Jacopo Pasquero

Circa un anno fa la presidenza delle Fiji decise di iniziare un percorso di raccolta e confronto in cui le diverse parti della società potessero condividere le loro storie, idee e soluzioni sul cambiamento climatico: il Dialogo di Talanoa.  Questo Dialogo è continuato fino alla COP24 di Katowice dove individui da tutte le parti del mondo hanno condiviso le loro esperienze sugli impatti climatici nelle loro comunità, a dimostrazione che un concetto così astratto come il cambiamento climatico non è solo fatto di numeri, ma anche di emozioni. Al tempo stesso, imprese, enti statali, e organizzazioni non governative hanno raccontato le loro strategie per far fronte a un clima sempre più avverso. Tale processo è stato uno strumento che ha aperto gli occhi e toccato il cuore di coloro che sono stati pronti a ascoltare e accogliere le esperienze dell’altro. Esperienze che dimostrano che il cambiamento climatico, nella sua più pura essenza, riguarda ognuno di noi.

La maggior parte degli stati hanno parlato chiaro riguardo all aspettative su quello che dovrebbe essere il risultato del Dialogo di Talanoa: un aumento dell’ambizione delle strategie climatiche collettive a fronte delle storie che vengono raccontate. Inoltre, i numerosi attori non statali coinvolti, pretendono un ruolo più forte nei processi negoziali sul clima. Ed è così che il Dialogo è arrivato alla COP24 di Katowice, entrando nella fase politica del processo. Tante sono state le emozioni che hanno attraversato la sala della plenaria Slasky la mattina dell’11 Dicembre. Non è facile capire se è colpa della neve che cade leggera sullo Spodek, ma la commozione diventa palpabile nel raggiungimento di questo importante momento.

Da subito, viene sottolineato come questo processo non può veramente essere efficace, se non viene connesso con una volontà politica di fare la differenza. E quel momento è arrivato. Adesso. Commovente l’intervento dell’Executive Secretary dell’UNFCCC, Patricia Espinosa, la quale sottolinea come nessun problema nella storia ha mai necessitato una così profonda collaborazione da parte dell’intera società umana. Il Dialogo di Talanoa si è sviluppato al di fuori delle negoziazioni formali, almeno fino a adesso. Da questo momento, i ministri sono chiamati a entrare in questo Dialogo. In queste storie. E ad agire di conseguenza, in modo da raggiungere quegli obiettivi condivisi della cui urgenza sono esse stesse la dimostrazione.

Si parla poi dello Special Report dell’IPCC sull’orizzonte di 1.5° che gli stessi delegati avevano richiesto durante la COP21. Il Report, che è l’input scientifico del Dialogo, traccia una via: non impossibile, ma richiede una transizione senza precedenti, in particolare per la sua dimensione temporale. Giganteschi cambiamenti in tutti gli aspetti della nostra società devono essere attuati, oggi. Il punto di partenza di questa transizione consiste proprio nel Dialogo di Talanoa:  le voci e le corrispondenti storie devono adesso essere ascoltate e riconosciute dalle delegazioni. C’è bisogno di impegni concreti, e di connessioni, tra paesi, attori, persone. Sperando che lo spirito di Talanoa, termine che nella lingua delle Fiji indica proprio un processo  partecipativo, porti a un iter decisionale permeabile alle emozioni ed esperienze umane. Ed è questo la meta ultima del Dialogo, che non è un semplice talk show, come sottolinea il governo delle Seychelles durante le negoziazioni.

A seguito della fase preparatoria, a Katowice i ministri dei singoli paesi hanno partecipato al Dialogo, interloquendo non solo tra di loro ma anche con giovani, accademia, popolazioni indigene, imprese, e organizzazioni non governative. Il principio di base è che ascoltando esperienze di altri su un clima che cambia sempre più velocemente, fiducia ed empatia possano guidare il processo decisionale in cui sono coinvolti quasi 200 paesi. Tra le molte voci di supporto al processo, tre sono state quelle che si sono distinte di più.

Il primo è stato il presidente delle Vanuatu, che ha criticato i paesi industrializzati per la loro ipocrisia. Sia nel raggiungimento degli obiettivi condivisi, su cui ancora molti paesi sono ben lontani, sia per la questione della finanza climatica. Parole forti sono state aggiunte quando ha accusato alcuni paesi di traccheggiare in ambito di finanza e cambiamento climatico, come fecero a suo tempo su questioni come colonialismo e schiavitù. Un altro intervento che si è distinto tra gli altri, è stato quello della Francia, la quale ha lasciato un segno profondo riferendosi alla conferenza delle parti come al contratto sociale del ventunesimo secolo e toccando rapidamente la questione della protesta dei Gilet gialli. Infine, un momento di profonda commozione è stato raggiunto quando il Presidente delle Maldive, in nome del Gruppo delle Piccole Isole, ha chiesto a tutti di alzarsi, e di riflettere sulle opportunità che perderemo, se non ci alzeremo adesso, e perderemo la nostra occasione di agire in maniera significativa sul cambiamento climatico. Stand up now, for a better future.

Le sessioni ministeriali del Dialogo di Talanoa hanno determinato la fine del processo, che si è ufficialmente concluso con un evento apposito in plenaria. Ad aprire è  Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite. Il suo intervento plasma l’importanza dell’evento: il Dialogo di Talanoa non è un semplice scambio di storie, il suo impatto deve essere tangibile tramite una concreta azione politica collettiva. L’accento è messo sull’incredibile slancio che le innumerevoli persone partecipanti hanno contribuito a creare e Guterres parla chiaro: una simile opportunità non può essere frenata da una mancata cooperazione tra stati.

A rinforzare tali affermazioni, seguono le  dichiarazioni della Polonia e delle Fiji, che sottolineano come il Dialogo di Talanoa sia stato cruciale per un sincero coinvolgimento di diverse parti della società: dai singoli individui e le imprese, fino alle organizzazioni non governative e le comunità indigene. Sono queste infatti le voci che non mancano di intervenire nella plenaria di chiusura del Dialogo: una maggiore rappresentanza della società a tutti i livelli nei processi internazionali climatici è fondamentale.

Le presidenze della COP23 e COP24 hanno addirittura messo per iscritto una Chiamata all’Azione, al fine di dimostrare quanto il Dialogo di Talanoa sia significativo per una rinnovata ambizione da parte della comunità internazionale. Purtroppo però un simile momentum, e la sua dichiarazione per iscritto, non sono bastati a produrre i risultati sperati.

La sera del 15 Dicembre si è chiusa con quasi 24 ore di ritardo, la COP 24 di Katowice, adottando il  suo testo finale. Il prezzo del compromesso trovato, però, è stato caro: il consenso di tutti ha necessitato la rinuncia alle ambiziose speranze dei giorni precedenti. Questo documento conclusivo, infatti, rimane debole per quanto riguarda la parte del Dialogo di Talanoa e dello special report dell’IPCC che ne è un input. Gli stati prenderanno solamente nota di ciò che le innumerevoli storie di Talanoa hanno raccontato. Starà ora alla leadership dei singoli paesi decidere che strada prendere nel prossimo Climate Change Summit 2019. Saranno proprio quest’ultimi a scegliere se ascoltare queste storie, o se invece rimanere sordi a ciò che il mondo intero sta chiedendo loro: un’azione climatica più ambiziosa.

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