Clima
Il cambiamento climatico non è un’emozione
Il modo in cui sono stati raccontati (e recepiti dal pubblico) gli incendi in Australia mostra come, per certi versi, in Italia i temi ambientali e le notizie che li riguardano non riescono mai a discostarsi da un certo sensazionalismo.
Tanto sui giornali che sui social, sono girate moltissimo immagini dal forte impatto emotivo, al punto da essere talvolta diventate il materiale principale che veniva condiviso, senza troppe informazioni. È il caso, ad esempio, dell’immagine realizzata dal grafico Anthony Hearsey, che evidenziava i luoghi degli incendi dell’ultimo anno, e che è stata spesso ricondivisa online come foto satellitare degli incendi in corso (Mantellini ne ha parlato sul Post, con considerazioni interessanti). Vi sono poi altre foto divenute praticamente virali: quasi tutti avranno visto la foto del canguro che scappa col fuoco sullo sfondo o quella del koala tenuto in braccio da un soccorritore, per dirne alcune.
Tutte queste immagini, però, pur avendo un’efficacia immediata per far intuire la drammaticità dell’evento, non informano e non approfondiscono. Non aiutano a saperne di più, e anzi così, da sole, non fanno altro che basare il racconto degli incendi di questi giorni sul sensazionalismo e sull’emotività. È chiaro che far leva sulle emozioni aiuta a veicolare un messaggio, così come è naturale l’istinto a ricondividere contenuti che catturano l’attenzione e commuovono. Ma dato che non parliamo di una catastrofe naturale isolata (come un terremoto), ma di un fenomeno connesso al riscaldamento globale, se questo tipo di contenuti diviene preponderante il rischio è di ridurre il tema, e il modo in cui esso viene raccontato all’opinione pubblica, a qualcosa di puramente emotivo.
I temi ambientali richiedono invece razionalità: occorre capire quanto sia profondo il problema, quanto complesse le soluzioni, quanto radicali i cambiamenti che vedremo, e quelli che dovremo mettere in atto per intervenire efficacemente. L’ecologia ha bisogno di dati, e richiede programmazione. L’emotività può aiutare nel breve termine a veicolare un messaggio, ma poi tutto rimane su un piano emozionale. Lo dimostra del resto la grande circolazione dell’hashtag #prayforaustralia. Mentre imperversavano foto di animali in fuga o di grandi boschi in fiamme e circolavano hashtag che invitavano alla preghiera, non si mostravano quasi mai i dati sull’aumento delle temperature che l’Australia registra da anni e sui suoi effetti, non si spiegava il nesso tra incendi e cambiamento climatico, non si discuteva della mancanza di politiche climatiche da parte di un Paese che non fa particolari sforzi per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, e il cui premier Scott Morrison nega il cambiamento climatico e si è detto contrariato dal fatto che si stiano usando gli incendi per parlare del tema. Inoltre, il sensazionalismo rischia di far vedere il surriscaldamento globale come un fenomeno emergenziale, da combattere con misure drastiche ma a breve termine, e non come qualcosa che cambierà molto, e forse per sempre, il nostro modo di vivere.
Fermo restando una certa ineliminabilità (e naturalezza) del piano emotivo, chiediamoci se non ci sia un altro modo di raccontare l’ambiente e la crisi climatica, fornendo più strumenti al pubblico e ai lettori per inquadrare i casi di cronaca nello scenario più ampio.
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