Clima
il cambiamento climatico e la vera natura del sovranismo
Tra pochi giorni inizierà la 24esima conferenza internazionale sul clima a Katowice. La COP24 è stata preceduta da ripetuti allarmi sul rischio altissimo che il cambiamento climatico e le sue catastrofiche conseguenze divengano rapidamente incontrollabili: il più autorevole è arrivato dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) che, nel suo ultimo rapporto, sottolinea la necessità di “limitare i danni” cercando di contenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi centigradi.
Dal momento che dall’era pre-industrale la temperatura media terrestre è aumentata di quasi un grado e cresce di circa 0,2 gradi per decennio, l’obiettivo richiede evidentemente uno sforzo immediato, colossale e su scala globale: è quindi necessaria una grande consapevolezza, soprattutto nelle popolazioni dei Paesi più avanzati che, con il loro stile di vita, hanno in gran parte creato il problema. Verrebbe da credere che essa sia piuttosto diffusa, dal momento che il cambiamento climatico già in atto si è manifestato ultimamente in molte parti del pianeta con eventi meteorologici estremi, come uragani devastanti, inondazioni, incendi indomabili, siccità prolungate; eppure l’opinione pubblica globale appare abbastanza indifferente al tema: i tempi della Marcia per il Clima sembrano ormai passati e quest’anno in Italia la mobilitazione è limitata a poche città (tra cui la mia) e a un gruppo di pellegrini (che sperano, senza dubbio, in un miracolo).
Il fatto che un tema tanto urgente, che dovrebbe unirci tutti, venga ignorato a livello politico si spiega probabilmente con l’ondata di nazionalismo che sta sommergendo il dibattito pubblico in tante parti del mondo. I leader sovranisti che predicano il prima veniamo noi sono infatti consapevoli che il riscaldamento globale è un problema irriducibile entro i confini di un solo Paese, che richiede per la sua stessa natura un accordo sovranazionale: pertanto, non essendo in grado di affrontarlo dalla loro miope prospettiva, preferiscono negarne l’esistenza. Ecco perché Trump risponde alle domande sul cambiamento climatico con un’alzata di spalle, Putin nega che esso sia causato dalle attività umane, Bolsonaro annuncia di voler far uscire il Brasile dall’Accordo di Parigi e il nostro Salvini fa ironie stupide sulle migrazioni climatiche.
E’ sorprendente che gli elettori accettino così acriticamente una visione del tutto superficiale e non giustificata; ma questo atteggiamento rientra pienamente nella logica dei populismi reazionari. Mentre affermano di voler restituire la sovranità al popolo, i loro capi politici costruiscono infatti una narrazione passivizzante, in cui il suddetto popolo è la vittima impotente di oscuri complotti internazionali dai quali può difenderli solo un leader dotato dei necessari poteri. I cittadini non sono quindi chiamati a riprendere nelle proprie mani lo scettro della capacità decisionale, ma invitati ad affidarsi ciecamente a una guida sicura e protettiva: il vero significato di sovranismo è quindi il ritorno alla figura del sovrano, colui che sta al di sopra di ogni altro potere e si prende magnanimamente cura del proprio popolo.
Il tema del cambiamento climatico disvela insomma la vera natura autocratica della demagogia sovranista: il problema globale, che richiederebbe la mobilitazione delle energie di ogni singolo cittadino per essere congruamente affrontato, viene sminuito o negato, per cullare il popolo in una passività fiduciosa nelle doti taumaturgiche del Capo. La necessità di una governance transnazionale viene ignorata, perché nulla può stare al di sopra del potere salvifico del leader: sarà lui a decidere se e come agire e lo farà imponendo ai suoi cittadini, d’autorità, le misure che ritiene più utili. E’ proprio quanto sta accadendo in Francia, dove Macron (il sedicente europeista, in realtà il sovranista più accanito del continente) ha prescritto d’imperio una carbon tax che rovescia lo sforzo ambientalista sulle fasce più deboli e periferiche della popolazione francese, causando la loro rivolta.
La sfida del riscaldamento globale è dunque resa ancor più difficile dalla congiuntura politica mondiale: la salvaguardia della salute del nostro pianeta è una questione democratica, che riguarda tutti e richiede l’impegno (anche personale) di tutti, ma il maistream politico porta i cittadini a un atteggiamento apatico e superficiale. Occorrerà dunque combattere innanzitutto contro il disinteresse, coinvolgere le persone e creare attenzione verso il problema e consenso verso le, non facili, soluzioni. La situazione è critica, ma può essere il punto di partenza per un nuovo modo di vivere la nostra cittadinanza mondiale: è giusto coltivare l’ottimismo, se non altro perché la rassegnazione sarebbe la scelta peggiore.
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