Clima

Giovani, lavoratori, sindacati, indigeni: la crisi ecologica si combatte insieme

29 Luglio 2022

Si chiude oggi il Climate Social Camp che si è tenuto questa settimana al Parco della Colletta di Torino. Siamo andati a vedere come sta cambiando il movimento per il clima, a respirare l’atmosfera del camp e ascoltare il tono e gli argomenti di cui si discuteva.
Da una parte l’area per le tende dei molti coraggiosi che hanno sfidato sia la pioggia che il sole, dall’altra i gazebi che distribuivano cibo (rigorosamente vegano) e bibite (si comprava il bicchiere la prima volta e ce lo si teneva), i tendoni con i tavoli per mangiare e gli spazi per talk e workshop.
Al Campus Luigi Einaudi, a portata di autobus (o di un caldissimo quarto d’ora a piedi), si teneva in contemporanea il Meeting europeo di Fridays for Future. I due eventi erano separati ma permeabili, alcuni eventi al Campus erano aperti, sul palco si potevano trovare anche i rettori dell’Università e del Politecnico di Torino – ascoltati e se necessario messi alle strette dai loro stessi studenti, in quel momento in veste di organizzatori – o voci d’ispirazione come quelle di Luciana Castellina e Carlin Petrini (che ha recentemente lasciato la presidenza di Slow Food a Edward Mukiibi).

Due sono le principali impressioni che abbiamo avuto da questi giorni torinesi.

Per prima cosa, un movimento più aperto, meno personalistico (Greta Thumberg era attesa fino all’ultimo almeno dai media, invece ha partecipato solo virtualmente e brevissimamente alla conferenza di apertura di lunedì 25), guidato dalla necessità di dismettere vesti troppo bianche, europee, naif. “Siamo qui per dire che se voi protestate da soli – senza dare spazio agli indigeni, che si occupano di preservare la biodiversità del pianeta e sono criminalizzati dalle imprese estrattiviste straniere che assassinano i nostri territori – non serve a niente. Voi lottate per tenere pulita la vostra acqua, mentre la nostra è già sporca: non siamo sulla stessa barca, ma dobbiamo lottare insieme” spiegano tre ragazze da Indonesia, Sud Africa e Messico.
“Esperienze rivoluzionarie e mondi altri: tra autonomia e internazionalismo” era una delle prime talk di martedì mattina, partecipavano fra gli altri Rete Kurdistan, Persone in lotta del popolo Sharawi, Guardians of de Forest. L’internazionalismo è ora una delle chiavi del movimento ambientalista e il programma di questi giorni lo dimostrava. Questioni come energia, estrattivismo e disuguaglianze possono coinvolgere, pur in maniere completamente diverse, realtà come il Comitato No Eni Gela e il popolo Sharawi.
L’assenza di Greta Thumberg è anche un modo di lasciare spazio, far parlare gli altri, spostare l’attenzione su contenuti e responsabilità ancora pochissimo presenti nella stampa e nell’immaginario europeo e soprattutto italiano. “È importante che venga data visibilità a quello che accade nelle comunità locali, agli indigeni che preservano l’80% della biodiversità del pianeta, al fatto che dopo le promesse della Cop26 l’UE continua a finanziare imprese estrattiviste senza coinvolgere le comunità locali in nessuna decisione. Abbiamo bisogno di supporto perché veniamo dal Sud del mondo dove grandi compagnie controllano queste aree fragili e fondamentali: noi proteggiamo le foreste e fronteggiamo la criminalità ogni giorno. Siamo i più colpiti” raccontano ancora le tre ragazze in un assolato martedì pomeriggio, accomunate da sguardi accesi, durissimi e aperti insieme.

La seconda impressione va in realtà di pari passo con la prima: si tratta di consapevolezza politica, di conflitto, di trasversalità.
Qualche membro di Europa verde e Sinistra Italiana, alla vigilia della neonata alleanza, è presente al Camp ed è inevitabile finire a parlare delle imminenti elezioni eppure la politica istituzionale è lontanissima, i suoi temi sono troppo piccoli, è indescrivibilmente miope per essere percepita anche solo lontanamente come interlocutore. Addirittura, abbiamo incontrato due membri di Nuova Direzione, un partito che si occupa di ogni questione che sia in qualche modo di classe (e quindi, necessariamente, anche di crisi ecologica) e che non ha in progetto di candidarsi a nessun’elezione perché, ci spiega Michelangelo, “la politica non si fa solo in Parlamento, anzi, la vera politica si fa dal basso ed lì che vogliamo agire”.

Il movimento ambientalista in questi anni è uscito dalle scuole e dalle università e ha preso contatti con i lavoratori e i sindacati, creando convergenze con Usb e SiCobas e partecipando a esperienze come quella dell’occupazione e dell’assemblea permanente della GKN di Campi Bisenzio.

Dividi et impera ha sempre funzionato. Per questo sfatare il mito che ecologia e interessi dei lavoratori siano in conflitto è uno dei punti più importanti all’ordine del giorno e queste convergenze, questi momenti di confronto sono fondamentali. Veniamo da decenni di ricatto costante in cui sembrava necessario scegliere fra salute e occupazione – l’Eni a Gela, l’Ilva di Taranto, la centrale Enel di Torrevaldaliga a Civitavecchia. Ma nessun operaio vuole davvero lavorare in una centrale a carbone e anzi è possibile lottare per riconvertire le aziende in modo da mantenere una continuità lavorativa che sia però sostenibile in termini sia di produzione, sia di approvvigionamento, sia di condizioni di lavoro, come sta avvenendo a GKN e a Civitavecchia.
Lavoratori ed ecologisti non hanno nulla da spartire se per ecologismo si intende solo comprare costosissimi prodotti a marchio Bio e la colpevolizzazione individuale di chi non può permetterseli. Ed è questa la storia si è cercato di far passare: l’ambientalismo come un appannaggio dei ricchi, la scelta tra fine del mondo e fine del mese come realtà in cui l’unica risposta utile può essere fine del mese.
Giustizia climatica è tutta un’altra cosa, fine del mese e fine del mondo vanno affrontate insieme, e al Climate Social Camp di Torino questa consapevolezza sembra acquisire sempre più solidità.

Il prossimo sciopero generale per il clima è previsto per il 23 settembre. A solo due giorni dalle elezioni politiche in Italia, sarà un momento importante in cui far valere queste nuove alleanze e far luce sulle questioni urgenti che le animano: un’occasione per chiedere responsabilità e ascolto a chi prenderà la guida del governo.

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