Clima

COP21, cos’è? Gli 8 punti per capire i negoziati sul clima di Parigi

30 Novembre 2015

Si è appena aperta la XXI Conferenza delle Parti sui cambiamenti climatici di Parigi e già è iniziata la discussione su come dovranno essere giudicati questi negoziati. C’è chi già parla di un sicuro fallimento e chi annuncia una facile vittoria. In realtà, il risultato della Conferenza più attesa del decennio non sarà né di completo successo, né, probabilmente, un totale fiasco.

Ecco gli 8 punti per capire i negoziati in corso.

1.       Impegni di riduzione delle emissioni di gas serra

Gli impegni degli Stati relativi a quanto ridurre le emissioni di anidride carbonica e di altri gas serra sono già stati inviati all’UNFCCC (United Nation Framework Convention on Climate Change, l’organismo delle Nazioni Unite che si occupa di cambiamenti climatici). La buona notizia è che ben 180 Stati si sono impegnati a tagliare le emissioni, per un totale del 94% delle emissioni globali. Il totale dei tagli, però, non è sufficiente a portarci verso uno scenario di contenimento delle emissioni tale da scongiurare interferenze del clima pericolose per l’uomo, in quanto l’aumento delle temperature previsto è di 2,7°C.

2.       Obiettivo di lungo termine

Attualmente, l’obiettivo di lungo termine considerato politicamente accettabile è di arrivare a una stabilizzazione delle temperature medie a 2°C, ma gli scienziati avvertono che anche questo livello è rischioso. Un target di 1,5°C richiederebbe azioni ancora più immediate e una veloce accelerata verso un’economia alimentata ad energia 100% rinnovabile. Saranno le Parti così lungimiranti da inserire un obiettivo inferiore ai 2°C? Al momento l’opzione è ancora sul tavolo, anche se sembra improbabile che venga adottata.

3.       Colmare il gap

E’ chiaro che, sia con un target di +2°C che di +1,5°C, rimane una distanza da colmare tra impegni sul piatto negoziale e necessità di tagli alle emissioni. A Parigi non si prevedono nuovi annunci su riduzione delle emissioni, ma piuttosto l’inserimento nel testo dell’accordo di un meccanismo di revisione degli impegni: si stabilirà se e quando verificare a che punto saremo arrivati e come poter rivedere gli obblighi. La speranza, naturalmente, è che nel testo sia esplicitamente riportato che gli impegni possano essere rivisti solo verso un aumento dei tagli, e non viceversa.

4.       Workstream 2

Mentre l’accordo di Parigi coprirà il periodo oltre la fase II del Protocollo di Kyoto, ovvero dal 2020, è necessario tagliare le emissioni fin da subito: perciò una parte dei negoziati riguarderà il cosiddetto “Workstream 2”, da oggi al 2020. Anche questo sarà un punto importante per capire che livello di ambizione hanno i nostri governi.

5.       L’accordo sarà vincolante?

La risposta a questa domanda non sarà racchiusa da un semplice “sì/no”: innanzitutto sarà fondamentale valutare il “regime di compliance”, e in particolare l’autorità predisposta al controllo del rispetto degli impegni e le eventuali sanzioni. Inoltre, una parte del trattato avrà valore vincolante, ma non tutte le parti: questo è in parte un escamotage per superare alcune non secondarie questioni nazionali. Negli Stati Uniti, infatti, un nuovo trattato legale (“treaty”) dovrebbe essere sottoposto all’approvazione del Senato; e ricordiamo che quando la stessa situazione si presentò, all’indomani della firma del Protocollo di Kyoto siglato da Clinton, il Senato americano non approvò – e il Protocollo non venne mai ratificato dagli USA.

6.       Adattamento e Loss & Damage

Una parte delle conseguenze dei cambiamenti climatici sono ormai non arrestabili, nemmeno se smettessimo all’istante di emettere gas serra: perciò è fondamentale pianificare azioni di adattamento alla parte di conseguenze del clima che cambia che sono già in corso. Purtroppo, però, i cambiamenti climatici si abbatteranno in maniera ingiusta soprattutto verso molte popolazioni che non hanno i mezzi per adattarsi, e che poco o niente hanno contribuito a creare il problema: si pensi ad esempio alle piccole isole Stato del Pacifico, o ad alcune zone dell’Africa o dall’Asia, come per esempio la Siria colpita da un triennio di eccezionale siccità nel 2007-2010, che secondo gli esperti avrebbe contribuito al conflitto. Ecco che allora sono necessari meccanismi compensatori verso quelle popolazioni. Un ulteriore meccanismo, chiamato “Loss & Damage” fornisce uno strumento aggiuntivo per i Paesi più poveri e vulnerabili per i danni ormai non evitabili.

7.       Finanza

La finanza è uno dei punti chiave del nuovo accordo: i Paesi industrializzati si sono già impegnati a mobilitare congiuntamente 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020. Questa cifra può apparire alta in assoluto, ma si tratterebbe solo di uno spostamento di risorse: basti pensare che i sussidi alle fonti fossili di energia (carbone, petrolio, gas) ammontavano, nel solo anno 2011, a 523 miliardi. A Parigi occorre decidere come organizzare i flussi di finanziamenti e la trasparenza del processo di finanziamento.

8.       Mobilitazione

Nella giornata del 29 novembre centinaia di migliaia di persone nel mondo sono scese in piazza per la Marcia per il Clima: è stata la giornata di mobilitazione più imponente della storia, con oltre 2.000 città coinvolte. Anche durante i negoziati di Parigi, uno degli aspetti da tenere d’occhio sarà il livello di coinvolgimento delle persone e dei media: è la pressione dei cittadini che può spostare l’ago della politica, non solo a Parigi ma anche negli anni futuri.

In conclusione, è molto probabile che a Parigi verrà raggiunto un accordo sui cambiamenti climatici, ma sono già chiari quali possono essere i potenziali limiti di questo nuovo accordo. Nella valutazione del risultato che uscirà da Parigi dovremo avere ben chiaro che in nessun caso questa conferenza sarà l’appuntamento conclusivo e risolutivo per vincere la sfida ai cambiamenti climatici, ma piuttosto un’importante tappa verso un percorso che durerà alcuni decenni. Anche perché il cambiamento richiesto dalla trasformazione economica in corso, verso un’energia 100% rinnovabile e verso l’economia circolare, non può nascere solo da un singolo evento, ma da un cambiamento culturale e sociale profondo e duraturo

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