Clima

Il cambiamento climatico si fermerà con la lotta politica

14 Marzo 2019

Domani venerdì 15 marzo 2019 ci sarà uno sciopero degli studenti per protestare contro il cambiamento climatico, il “Venerdì per il futuro”. È un’iniziativa onorevole, assieme alla proposta di assegnare il Nobel per la pace alla ragazza di 16 anni svedese Greta Thunberg, ma rischia di avere un significato simbolico più che un effettivo valore che modifichi le sorti dell’impatto antropico e della riduzione delle emissioni di gas serra. Se assegnassero il premio, questo potrebbe entrare nel novero dei controversi Nobel per la pace già assegnati in passato. Un’ipocrita riconoscimento, una sorta di espiazione coscienziale da parte degli adulti verso una generazione innocente che vedrà arrivarsi addosso l’inesorabilità del cambiamento che la richiesta energetica, il consumo umano ha prodotto nel corso dell’ultimo secolo e mezzo. Un po’ come il Nobel a madre Teresa di Calcutta per il suo discutibile impegno contro la povertà indiana, un premio che non cessò l’inedia della popolazione, o come il Nobel a Barack Obama che non fermò i bombardamenti americani.

Insomma un’ipocrisia non solo coerente con un premio per la pace che porta il nome dell’inventore della dinamite, ma anche con una politica che è conscia da decenni dei rischi, ecologici e umanitari, sollevati dalle necessità economiche del tardo-capitalismo, e che la stessa politica implementa, difende ed espande spesso e volentieri con guerra e violenza. Ho fatto la scorsa settimana un’intervista per poter conoscere meglio Berta Cáceres, un’attivista per l’ambiente che pagò con la vita le sue battaglie, e che aveva ben presente quale fosse il nemico, l’invisibile ed immanente mostro che è la causa stessa del tracollo ambientale che dovremo fronteggiare su scala globale tra una dozzina d’anni, se qualcosa non cambierà. Per questo mi sento di asserire che il cambiamento climatico è una questione strettamente politica, che dovrà essere affrontata come una lotta. L’ultima battaglia che si potrà affrontare contro il metodo di produzione capitalista attuale che richiede per essere sostenuto un modo di consumare, il consumismo, che non solo è insopportabile dal punto di vista umano, ma anche dal punto di vista ecologico. Non bisogna prendersela solo con quelle 100 compagnie che emettono gas serra per il 70% del totale, è necessario realizzare che è tutto un sistema che porta a morire un bambino su quattro per inquinamento.

C’è una presa di coscienza ormai comune dei pericoli ecologici, ma ciò è un altro esempio di schizofrenia capitalista, ben spiegata da Guido Mazzoni nel suo I destini generali. Si sa che c’è l’orrido ad attenderci, ma lo approcciamo come avvolti da una bolla, come se lo guardassimo in un’immagine di un teleschermo, a distanza di sicurezza e senza poter coglierne la realtà se non grazie ad un esercizio mentale, che spesso si traduce nel semplice acquisto di prodotti bio o nel montare pannelli solari sul tetto. Magari i più facoltosi si comprano l’auto elettrica. Le stesse energie rinnovabili sono un business bilionario ed è proprio grazie la coscienza green delle persone che fornisce il fertile terreno di vendita e di investimento, anche pubblico a beneficio del privato. Come ricordava, arrabbiato, durante le sue lezioni di Sistemi energetici e impatto ambientale, l’allora preside di ingegneria industriale del Politecnico di Milano Giovanni Lozza, si arrivò a pagare con soldi pubblici a prezzo di concorrenza i kWh prodotti dai pannelli solari nella speranza di creare un mercato industriale e come risultato si è ottenne che le regioni ricche del nord avevano installato parecchi km² di pannelli, mentre al meridione, dove c’è il sole ma non gli investitori, la situazione rimase praticamente invariata, ad eccezione della Puglia di Vendola.

 

Questo significa che l’impegno politico è stato propedeutico solo a creare una parte di green-economy, ben inserita nel struttura economica che sta causando il collasso. Con questo non voglio dire che le energie dette rinnovabili, il solare, l’eolico, le correnti marine o l’idroelettrico o il geotermico siano inutili, ma che queste non sono parte del ragionamento che ora serve fare. Non si può sperare che creare un modo di consumare nuovo possa cambiare il capitalismo che ha come necessità di essere proprio la crescita dei consumi indefinita. Infatti i consumi cresceranno ancora, gli studiosi credono, e tutti gli investitori e gli imprenditori del pianeta sperano, che nel 2050 saranno il 230% degli attuali. Come è possibile che quegli stessi imprenditori e quegli stessi investitori che hanno bisogno di quella crescita e che controllano l’economia con le leggi del mercato, che come è in voga dire ci sottraggono la nostra “sovranità”¹, scelgano la direzione di una riduzione di consumi? Non è nell’interesse dell’homo oeconomicus, eppure è l’unica speranza di sopravvivenza per gli altri, per evitare che il silenzio come un sudario si stenderà. Siamo noi come popolazione che dobbiamo prendere coscienza che il sistema tutto non è etico, è dannoso e che dobbiamo agire politicamente per non farne parte.

C’è un dato la cui ignoranza è emblematica della vaghezza con cui è percepita la Spada di Damocle ecologica e di come invece la politica liberale, Giano Bifronte dell’economia fatta di proprietà e interessi personali, di mercati e di lobby, sia la forma politica da combattere per preservare nel futuro il mondo come lo conosciamo, cambiando radicalmente il sistema economico che lo sta distruggendo. Il parossismo di questa situazione ci è chiaro quando notiamo che gli investimenti per creare la forma di energia del futuro, la promettente fusione nucleare in un toroide sviluppata dal progetto ITER, un’energia praticamente infinita quanto il Sole stesso e ben diversa dal pericoloso nucleare a fissione, siano circa 20 miliardi spalmati in un arco di 50 anni, in uno sforzo internazionale di EU, USA, Cina e molti altri paesi. Ecco, i soli Stati Uniti, ma potrei citare altre nazioni più democratiche¹, spendono 600 miliardi di dollari l’anno in spese militari e nessuno sa quanti soldi e vite umane abbiano speso per le guerre del petrolio o per creare e sviluppare la bomba ad idrogeno, la bomba a fusione per l’appunto, nel corso di 50 anni di guerra fredda. Si calcola che il costo globale delle guerre annuo sia dell’ordine delle migliaia di miliardi, ma le nostre scelte politiche passate, i nostri rappresentati, e solo quelli più avveduti e meno reazionari, han destinato il pulviscolo per la sperimentazione ITER. Probabilmente quello che cadeva dalle loro mani mentre le battevano alla proposta del Nobel per la pace alla giovane svedese Greta Thunberg.

¹Citazione ironica necessaria

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