Beni comuni

A Zingonia, dove il sogno era diventato ghetto e il superbonus serve davvero

12 Giugno 2022

ZINGONIA – Una mattina d’estate, cielo blu, caldo africano. Un grande cortile sterrato, come una volta, circondato da di quattro palazzi residenziali che portano sulle facciate i segni degli anni. Decine di bambini di ogni colore corrono, giocano, urlano. Donne nere in costumi tradizionali. Capannelli di uomini che parlano in arabo. Persone che si passano il microfono e salutano, ringraziano, ricordano. Sullo sfondo, addetti al catering che preparano un ricco buffet. L’occasione è l’annuncio dell’inizio dei lavori di ristrutturazione delle “Quattro Torri”, super condominio da 140 appartamenti inaugurato a fine anni Sessanta, fatiscente e malfamato. Tutto attorno, lo scenario tipico della pianura lombarda: capannoni, autostrade, centri commerciali, un aeroporto internazionale a due passi. Siamo a 15 km chilometri circa da Bergamo, Zingonia è un comune mai nato, eppure esiste così tanto da essere ufficialmente la sede dell’Atalanta. Un paradosso che calza a pennello a un paese che non c’è: il suo fondatore, Renzo Zingone, lo voleva così tanto che compró terreni in cinque comuni, perché diventassero uno, e perché testimoniassero che si poteva pensare una nuova città, in cui cittadini felici vivessero vicino a luoghi di lavoro soddisfacenti, in un contesto di servizi e opportunità. Il pendolarismo – pensava – è il male del mondo: più si sta vicini a dove si lavora e meglio è. La storia è andata diversamente, come capita spesso quando a progettarla sono stati i sognatori e gli utopisti.

Torniamo, dunque, alla realtà. Che oggi ha anche la faccia e la voce di un ragazzo senegalese che, mentre il microfono passa di mano in mano, si avvicina a tre uomini magrebini e dice: “Ma insomma, quando arriva l’Imam? Sennò finisce che parla solo il prete!”, e ridono. Aria di festa, a Zingonia, in quel pezzo di Zingonia che sta nel comune di Verdellino, e fino a qualche anno fa era una “città da sogno” solo per gli spacciatori che ne avevano fatto una grande piazza di commercio, un’enclave inespugnabile per lo stato. “Qui c’era il coprifuoco, ma non per dire. Dalle 5 di pomeriggio non si poteva uscire di casa” ti dicono un po’ tutti. La storia dell’apertura dei lavori celebrata ieri merita di essere raccontata dall’inizio. Perché questo è sicuramente un punto di partenza verso una riqualificazione di un pezzo di provincia e di storia che rischiava di sparire sommersa dalla miseria e dall’abbandono, ma anche un punto di arrivo di poche, caparbie volontà senza le quali nulla sarebbe successo, e che meritano di essere raccontate. Ieri a prendere la parola con un saluto  erano in tanti. Qualcuno che ha fatto tutta la strada, e diversi senza i quali il cerchio non potrebbe chiudersi. Era l’occasione per mostrare alle oltre cento famiglie residenti il percorso che li aspetta. C’era Alessandro De Biasio, amministratore delegato di Gabetti Lab, la branca del grande network di agenzie immobiliare che si occupa di ristrutturazioni in quest’epoca di ricchissimi bonus, e che ha voluto sostenere il progetto delle “quattro torri” accollandosi i costi per gli studi di fattibilità, oltre ad aver donato la ristrutturazione della ex portineria ora adibita a doposcuola per i bambini del super condominio. E c’era Luciana Micheli, sales di Vivi Meglio, in rappresentanza di Enel X, che si occuperà dell’efficientamento energetico di palazzi che hanno oltre 50 anni, e sono fermi al momento della costruzione. C’era Claudia Terzi, assessora regionale alle infrastrutture, così vicina a Matteo Salvini da aver rinunciato su sua richiesta al seggio da deputata per tornare in Lombardia e, ieri, circondata da comunità straniere a celebrare un rilancio del territorio a due passi da quella Dalmine di cui è stata anche sindaca. C’erano anche i sindaci di ieri e di oggi: quelle amministrazioni comunali di diversi colori che hanno dovuto combattere il senso di impotenza, resistere alla tentazione di allargare le braccia dicendo “è tutta roba dei privati”. Senza la tenacia dei sindaci e delle loro giunte non si sarebbe fatto nulla, dicono in tanti, e hanno sicuramente ragione.

Ma c’erano a parlare dal palco, e soprattutto giù dal palco, molte persone che questa storia l’hanno resa possibile con la pazienza, la tenacia, la follia di chi crede nel futuro. Per capirci meglio: dieci anni fa era un posto inospitale e pericoloso in cui però vivevano circa 500 persone. Oggi è un posto che prova a ripartire davvero su nuove basi, un posto in cui le famiglie che ci vivono vogliono stare, senza più ansia o paura. Ed è grazie al lavoro di alcuni uomini e donne che quando sembrava impossibile ci hanno creduto. Oggi si schermiscono, nessuno vuole il merito di niente, ma – come spiega Giovanni Bacis, sindaco di Verdellino per molti anni, che era in carica quando tutto iniziò – “loro due sono le menti da cui tutto è iniziato, e poi hanno trovato lui. Senza non ce l’avremmo fatta”. Loro due sono Marco Vanoli e Bruno Bodini, due operatori sociali della zona. Il “Lui” che hanno hanno trovato è Maurizio Bianzini, amministratore di condominio e vera macchina motrice del processo virtuoso innescatosi nel 2015. “Perchè prima di tutto, per fare qualunque cosa, bisognava ricostituire il condominio, perché parliamo di una proprietà integralmente privata, qui”. Quando chiedo quando è iniziata la storia ognuno dà una data diversa. E il bello è che hanno tutti ragione. Perchè è una storia stratificata quella della perdizione e della redenzione delle quattro torri. “Già nel 2007 Marco e Bruno” prosegue Bacis “avevano in testa un progetto articolato di recupero del condominio e di bonifica e messa in sicurezza di tutta l’area circostante, e lo portarono alle istituzioni”. Il problema però era il solito. C’erano germi di mobilitazione, un interessamento delle istituzioni, il tentativo delle forze  dell’ordine di reprimere i crimini, ma quando si arrivava al dunque, mancava il luogo deputato a esprimere una volontà indispensabile, cioè il condominio. Cosa aveva sfaldato quel nucleo “associativo” previsto dalla legge come necessario? Una serie di fattori. C’era stato un forte turn over tra gli abitanti, tra la fine degli anni 90m e i primi degli anni 2000 moltissimi residenti storici se n’erano andati. I vecchi migranti del sud lasciavano queste case proletarie “non per tornare nelle loro terre d’origine, ma per andare a vivere nei centri storici dei paesini qui attorno”, spiega Bacis. Quasi un movimento che rappresentava plasticamente la propria volontà di emancipazione dealla condizione dell’emigrato che per definizione vive in un palazzone di periferia. Questo spopolamento incrocia peraltro invece un nuovo popolamento, ad opera dell’immigrazioen straniera, per lo più clandestina. “Vedi quell’albergo di là dalla strada?”, dice il tenente dei Carabinieri Gerardo Tucci, da trent’anni esatti in servizio a Zingonia. “Era un grand hotel di lusso, ci venivano i calciatori quando erano in trasferta per giocare contro l’Atalanta”. Ci han dormito Maradona, Zico, e tutti gli altri, insomma. “Con Tangentopoli fu chiuso e sequestrato perchè la proprietà fu coinvolta in alcune inchieste. Poco dopo fu occupato clandestinamente e divenne una delle centrali da cui si irradivanao i problemi nel territorio circostante”. A cominciare dalle vicinissime Torri, che diventano terra di nessuno. O meglio di qualcuno che non vuole che nessuno ci metta mano. Così, quando gli operatori sociali provavano a scardinare il meccanismo, la storia finiva sempre allo stesso modo: “Facevamo giocare i bambini, tagliavamo le angurie, facevamo le feste. Era tutto bello e in fondo frustrante, perchè senza un amministratore di condominio non si potevano fare i passi necessari al risanamento, non si riusciva a sgomberare, non si poteva prendere in mano la questione dei debiti accumulati e di quelli che sarebbero stati necessari per ricominciare un processo virtuoso”.

A un certo punto l’uomo del destino compare, proprio nello stretto orizzonte che si vede dall’ingresso del complesso delle Quattro Torri. L’amministratore di condominio Maurizio Bianzini, classe 1964, viene infatti chiamato a “sistemare” un’altra situazione problematica, in un palazzo poco distante. Le scale cadevano a pezzi, le morosità crescevano di mese in mese. Anche lì serviva un amministratore di condominio di polso, con un progetto chiaro, e una certa dose di fiducia nel futuro, nel genere umano, e nelle proprie capacità. “Sono arrivato un sabato mattina col megafono e con una pattuglia di artigiani amici. Ho iniziato a dire a tutti i residenti che dovevano scendere tutti, nessuno escluso, sennò avrebbero perso l’opportunità di vedere restaurata la scala. Entro la domenica sera c’era la scala rimessa a posto”. Le sue doti? “Sembra solo carisma, ma invece ha un metodo impressionante” ragiona Bodini, spiegando bene che “senza il cuore sta storia non iniziava, ma senza il cervello sicuramente non arrivava da nessuna parte”.  Dimostrando che le cose si possono fare, e quindi stimolando tutti a farne altre. Anche più difficili. È nel febbraio del 2015 – Vanoli ritrova la “prima mail” proprio mentre siamo insieme – che inizia davvero il cammino che porta all’oggi. Bianzini accetta di fare l’amministratore di condominio, il suo arrivo smuove le acque e fa tornare il sorriso e la voglia a chi nelle Quattro Torri viveva da decenni, ci aveva provato, e poi si era arreso, sfinito. È il caso di Teresa, arrivata a Zingonia dal sud nell’82. “Non me ne volevo occupare più, ero stanca e provata. Ma poi è arrivata questa” e indica la sua amica “e ci siamo rimesse in pista”. Per riprovarci serviva anzitutto che si ristabilisse un meccanismo per cui tutti pagassero con regolarità le spese. “Per sistemare la fognatura che era distrutta feci io da garante con le imprese, tutti mi dicevano che ero pazzo, che ci avrei perso un sacco di soldi… e invece…”. E invece di 50 euro in 50 euro – “lasciavanmo ricevute a tutti eh, tutto registrato” raccontano le due signore compiaciute – raccolti porta a porta, i soldi sono tornati tutti.
Bianzini, circondato dai bambini residenti alle Torri

I primi passi fanno venire voglia di correre. Bianzini Vanoli e Bodini vanno finalmente dai Carabinieri. Ridono col Tenente di quel primo incontro in cui il respondabile dell’Arma li definisce “figli dei fiori”, ma è l’inizio di un patto tra tutti gli attori che servono, politica locale compresa. Col passare del tempo lo stato riprende possesso di quel territorio, perchè sono i suoi cittadini ad aver ripreso anzitutto possesso di se stessi e dei propri diritti e doveri. Decine di nazionalità diversi, una forte componente marocchina e senegalese e poi minoranze da ogni angolo di mondo. Il concetto stesso di condominio che non sarà stato facilissimo da tradurre. Un percorso che in soli sette anni – sembrano tanti, ma a guardare la storia dall’inizio sono pochi – che porta ad avere due grandi aziende italiane a voler mettere faccia e firma sul progetto di riqualificazione, come fosse un fiore all’occhiello. Un lavoro di pala e martello per recuoperare crediti e mandare via delinquenti e approfittatori, affiancato da quello di fioretto e ricamo per riportare alla luce anche i simboli di quella storia, di quell’utopia. “Abbiamo portato a bordo anche Zingonia Zingone, la poetessa figlia del fondatore”, raccontano, mentre una famiglia marocchina offre uno squisito tea degli altopiani. In questo quadro, anche una misura ampiamente discuttibile, e infatti discussa, come il superbonus del 110% che, per una volta, non aiuta chi ne ha meno bisogno – cioè i ricchi – ma un condominio fatisciente abitato da lavoratori e pensionati non certo ricchi. E mentre aiuta loro, aiuta tutto il territorio. “Quando siamo arrivati le case qui le vendevano a 8 mila euro”, dice Bianzini. “Oggi siamo già arrivati a 50 mila euro”, a testimonianza di come tutti riconoscano che il peggio è alle spalle, forse definitivamente. “E quanto varranno tra un anno, a restauro – speriamo – finito?” si chiede Vanoli. La domanda è molto pertinente, e riguarda ogni processo di riqualificazione. L’appuntamento è tra un anno: per verificare l’avanzamento lavori e, insieme, per tenere d’occhio speculazione e gentrificazione. Ma mentre vigiliamo sugli spiriti più voraci delle nostre società, non dimentichiamoci  di quelli più generosi, tenaci e visionari. Sono quelli che migliorano il mondo, ed è bello incontrarli per ricordarsi, sempre, che sono in mezzo a noi anche se non li vediamo quasi mai. Troppo impegnati – come siamo – a lamentarci.

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