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Stravolto l’art. 560 c.p.c.: l’alba della rivoluzione del debitore
È stato presentato dal senatore Gianluigi Paragone un emendamento all’art. 560 cpc, nel seno del decreto legge 14 dicembre 2018 n.135 art.4, (recante disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), che se venisse approvato dal Parlamento, significherebbe determinare un considerevole cambiamento con ricadute benefiche per i debitori esecutati.
L’attuale regime (frutto dello sciagurato decreto banche confluito nella legge 119/2016) conferisce ai custodi un potere immenso.
Essi possono:
1- avvertire il debitore senza precetto ed avviso di rilascio.Solo con una semplice lettera il debitore è notiziato che dovrà lasciare la sua casa (opificio, capannone).
2- In caso di una sua resistenza allo sloggio, il custode può invocare l’intervento della forza pubblica e di un fabbro ed immediatamente prendere possesso della res pignorata.Non vi sono eccezioni di sorta. I Magistrati non si sono fermati nemmeno al cospetto di malati terminali, come ha insegnato il caso di Nonno Mariano.
Quest’emendamento ristabilisce l’equilibrio e prende in considerazione tutti gli interessi in gioco, sia quelli del debitore che quello del creditore.
In primo luogo con la nomina del custode il debitore non perde il possesso e dunque non viene scaraventato fuori dalla sua abitazione, come avviene oggi.
Il custode – prevede l’emendamento- infatti può chiedere al Giudice con apposita udienza, che il debitore lasci la sua casa, solo se essa è mal tenuta o se il debitore non consente il diritto di visita dei potenziali acquirenti, disciplinato dal giudice con l’ordinanza che stabilisce la vendita con i relativi incanti.
Ma il punto focale, che determina un cambiamento normativo nell’interesse del debitore, risiede nel fatto che egli non perda il possesso della casa, anche quando è reso il decreto di trasferimento. Anzi egli può ancora restare nel bene per oltre 90 giorni dalla notifica del richiamato decreto.
È un risultato straordinario dovuto alla pervicacia di Sergio Bramini che recentemente aveva chiesto una sospensione degli sfratti, dal momento che il debitore sloggiato non aveva alcuna tutela: subito, dopo il pignoramento, doveva rassegnarsi a lasciare la sua abitazione già con il primo accesso, annunciato con una semplice lettera del custode, accompagnato anche dal fabbro, pronto a cambiare le serrature.
Effettivamente Di Maio, grazie alla preziosa opera del senatore Gianluigi Paragone e si dice, da autorevoli indiscrezioni, anche di Di Battista, ha mantenuto la promessa.
L’art.560 cpc è cambiato radicalmente: le banche non hanno lo spropositato potere di scaraventare fuori il debitore dalla sua casa, come avveniva prima. Ne consegue che lo stesso debitore ha tempo di verificare anche se la pretesa del creditore sia valida, può sollevare le sue legittime doglianze ed opposizioni, senza che abbia perduto il possesso della sua casa.
Di Maio era esterrefatto nel vedere Bramini piangere il giorno 18 maggio 2018, quando egli, creditore dello Stato, venne cacciato fuori dalla sua casa. Era accompagnato in quella occasione anche da Salvini e giurò che ci sarebbe stata una “legge Bramini”e riequilibrato il potere dei creditori: non ci sarebbe stato lo strazio, che lui ha subito, per tanti altri poveri debitori esecutati.
C’è stato come noto un tentativo di cambiare l’art.560 cpc,inserendo la possibilità che il permanere nella casa fosse assicurato solo per i creditori dello Stato. L’emendamento del senatore Paragone invece guarda all’interesse di tutti i debitori, che non saranno scaraventati via se non dopo 90 giorni dal reso decreto di trasferimento.
È stata avviata con tal emendamento la prima tappa del Manifesto del debitore responsabile, come fu detto alla presentazione del libro sul “caso Bramini, un’ingiustizia di Stato”, il 10 dicembre scorso, dal senatore Gianluigi Paragone.
La strada è ancora lunga, affinché tutte le conquiste del debitore si possano concretizzare e diventare legge.
Così Georges Lefebvre racconta il giorno della Rivoluzione francese il 14 luglio 1789.
“Il re il giorno prima si addormentò serenamente e nel suo diario scrisse la famosa parola: Nulla”. Fuori pioveva a scrosci: a tarda notte il re fu svegliato. Era il conte de La Rochefoucauld-Liancourt che raccontò al sovrano i drammatici avvenimenti parigini. “Ma si tratta di una rivolta” chiese il re. “No Sire è una rivoluzione”.
Luigi Di Maio ha mantenuto la promessa.
La rivoluzione trova la sua alba radiosa.
E così sia.
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