Beni comuni

Quando un referendum ti costringe a scegliere il meno peggio

17 Aprile 2016

Oggi andrò a votare e voterò SÌ.

Confesso che ho impiegato moltissimo tempo a decidere e sono stato a lungo propenso a votare no. Ma del resto è questo il bello della democrazia, richiede scelte consapevoli.

Trovo onestamente, dobbiamo dirlo, che su questo referendum sia stata fatta la peggiore campagna politica che si ricordi, da entrambe le parti: piena di inesattezze e demagogia, quando non di vera e propria ignoranza ben nascosta sotto il soprabito elegante di una radicata certezza.
Non mi interessa particolarmente il “Trivella tua sorella”: non si possono imputare a un intero movimento le colpe di un grafico volgare, e persino l’uso strumentale di questa immagine testimonia il danno che fanno i socialcosi a un’informazione seria.
Molto più grave invece che i telegiornali per un mese ci abbiano propinato notizie falsate, spacciando per “referendum sulle trivelle” quello che è un referendum sulle condizioni di proroga dei titoli abilitativi di sfruttamento di giacimenti già attivi.
Trovo ancora peggiore, se possibile, la demagogia che si è fatta sull’astensione: che non solo è un’opzione costituzionalmente legittima, ma è una scelta politica di valore non inferiore al voto, in caso di referendum abrogativi (e solo questo). Se poi ci tenete a ribadire il vostro ruolo di baluardo della democrazia domandatevi solo una cosa: andreste a votare a un referendum abrogativo del ddl Cirinnà promosso da Adinolfi? Io no.

Il quesito è molto, forse troppo complesso, e la conseguenza è costringere alla scelta del meno peggio tra due opzioni (secondo me) entrambe negative. Senza ricostruire tutti i pro e contro (ci sono buoni articoli che lo fanno) per me la ragione decisiva è la seguente: non è accettabile che uno Stato dia un bene pubblico in concessione a tempo indeterminato. Non è giusto: è un bene della collettività, alla quale deve tornare l’ultima parola. Non è economicamente vantaggioso: la ragione dei limiti temporali è poter rivalutare, dopo anni, in regime di concorrenza, l’utile che lo Stato può trarre dalla concessione e darla al maggior offerente. Non è razionale: permette alle compagnie di programmare i livelli di estrazione in maniera da non superare la soglia a cui scattano le royalties. Non è sostenibile: rinvia a tempo indeterminato lo smantellamento delle piattaforme, a carico della compagnia.
Per me la cosa migliore sarebbe tornare al vecchio regime: concessione e scadenze di rinnovo. Ma il referendum non lo permette.

Ultima considerazione: a me tutte queste problematiche (politico-informative-normative) mettono seri dubbi sull’adeguatezza dei referendum abrogativi nelle democrazie complesse: mi sembra questo il tema politico interessante di cui discutere da domani.

P.s.: tutte le posizioni sono legittime ma è francamente ridicola quella di chi dichiara di voler tanto andare a votare ma aver deciso di astenersi per reagire alla demagogia dei comitati per il si. Significa ammettere che il voto non dipende dalle convinzioni che vi siete fatti, ma dall’andamento altalenate dell’opinione pubblica: è di una subalternità culturale e di una immaturità politica allucinanti.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.