Beni comuni
Popolari, demanio e slot: come si prosciuga la nostra ricchezza in tre mosse
Lo Stato italiano è tra i più indebitati d’Europa. L’andamento della nostra economia e la rigidità della macchina pubblica consentono a mala pena di ripagare gli interessi ai soggetti che ci hanno finanziati. E senza interventi strutturali questo livello di debito, che aumenta ogni anno per gli interessi, non potrà mai essere estinto.
A fronte di un debito di oltre 2.220 miliardi di euro, però, l’Italia possiede asset sotto forma di patrimonio immobiliare, culturale, territoriale e, soprattutto, in termini di ricchezza familiare. La ricchezza delle famiglie italiane, vale da sola circa 8.800 miliardi ed è ben otto volte superiore al reddito disponibile lordo, un indice tra i più alti del mondo che dimostra come le nostre famiglie siano molto più patrimonializzate di quelle inglesi, tedesche, giapponesi e americane. In sintesi, nonostante la crisi economica, la ricchezza delle nostre famiglie vale ancora quattro volte il debito contratto dai nostri governi.
E questo gli investitori finanziari internazionali lo sanno bene. La domanda che si pongono è quindi la seguente: come mettere le mani su queste ricchezze per garantire e remunerare i propri investimenti nel Bel Paese?
Il sistema finanziario internazionale in cui siamo inseriti spinge i nostri Governi a operare secondo tre direttrici principali:
1. Rendere “scalabile” il risparmio delle famiglie. Alcune delle attività finanziarie delle famiglie italiane non sono ancora “attaccabili” dai grandi investitori internazionali. Si tratta del contante, del risparmio postale e dei depositi bancari depositati nelle banche popolari e nelle banche di credito cooperativo nelle quali il voto capitario non consente una governance in base al capitale investito. Le risorse finanziarie di cui parliamo, complessivamente di poco inferiori ai 1.000 miliardi di euro, fanno riferimento al risparmio della classica “media famiglia italiana”. Un Governo che intenda privatizzare le Poste Italiane e rendere scalabili le grandi banche popolari attraverso un decreto che elimina il voto capitario, potrebbe favorire gli obiettivi dei grandi fondi internazionali. In effetti, il significato di queste operazioni non va tanto ricercato nella riduzione dello stock del debito (il 40% delle Poste, una delle operazioni di privatizzazione più rilevanti, dovrebbe portare appena 4 miliardi di euro nelle casse dello Stato su un debito di 2.220), ma soprattutto nella possibilità di indirizzare il risparmio postale italiano – che vale da solo circa 350 miliardi di euro – investendolo ad esempio su obbligazioni, titoli e fondi comuni di investimento esteri. Una volta acquisita la governance basta poter incidere sul nuovo consiglio di amministrazione, indirizzarlo sugli obiettivi degli azionisti finanziari e pagarlo profumatamente. Di fatto questo modello è attuato da anni e con successo nelle banche Spa quotate di tutte le grandi economie occidentali, incluso quella italiana. Tutto legale e alla luce del sole.
2. Vendere i beni pubblici sul libero mercato. Privatizzare immobili, spiagge, beni demaniali è un altro modo per favorire l’ingresso degli investitori finanziari stranieri nella gestione dei nostro patrimonio, della nostra ricchezza. Anche qui va distinta la collocazione in borsa di qualche altro punto percentuale di Eni e di Eni da operazioni che mettono in mano al libero mercato beni di interesse comune come reti ferroviarie, reti idriche, sanità, istruzione, patrimonio culturale. In passato abbiamo spesso orientato le privatizzazioni di patrimoni pubblici verso alcuni “capitani coraggiosi” che ne hanno acquisito la gestione disinteressandosi del valore sociale insito in tali beni e puntando a massimizzare i propri interessi economici. Anche in questo caso tutto legale e alla luce del sole.
3. Stimolare la spesa dei cittadini, sempre e comunque. I consumi devono riprendere perché il “Dio PIL” possa riprendere a correre. Non importa per cosa si spende, l’importante è che si riprenda a spendere. Favorire fiscalmente il gioco d’azzardo (un business di 100 miliardi di euro) consentendo l’installazione massiva delle video-lottery nei bar, introdurre nel calcolo del PIL il giro di affari prodotto dalla droga e dalla prostituzione sono manovre che vanno in questa direzione. Anche qui è tutto alla luce del sole, mentre sul grado di legalità qualche dubbio resta.
Quindi: controllo sulla finanza (decreto sulle Grandi Popolari), privatizzazioni (decreto Sblocca Italia) e crescita della spesa (sanatoria sul gioco d’azzardo, anticipo Tfr). Vecchie ricette di un modello di società che ancora ritiene che il liberismo sia l’unica possibilità in economia, che il PIL continui a rappresentare l’ indicatore di benessere della società, che soddisfare i creditori internazionali sia la priorità dei Governi. In realtà un’alternativa esiste e va ricercata favorendo una nuova forma di economia; un economia positiva e solidale che garantisca modelli di distribuzione più equa della ricchezza generata dalle attività economiche.
Di questa nuova economia e degli imprenditori sociali che la popolano scriverò nelle pagine di questo profilo.
Nella foto di copertina, Presidio all’ex caserma Sani a Bologna (2013) per un riutilizzo dei beni pubblici – tratta da Flickr (© Zeroincondott★)
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