Beni comuni
PNRR: la scelta radicale di cui c’è bisogno ora
Intervento di Massimiliano Iervolino, segretario dei Radicali Italiani
Per affrontare il tema della transizione ecologica considerando le azioni che l’Italia dovrà intraprendere, bisogna partire da una premessa importante: il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è stato già approvato e finanziato. Si può criticare a posteriori, poteva certamente essere scritto meglio, ma ora è inutile continuare a contestarlo, come fanno diverse formazioni ambientaliste italiane.
Il PNRR è stato pensato con l’obiettivo di arrivare al -55% di CO2eq entro il 2030, esattamente in linea con l’obiettivo europeo. Dai calcoli scientifici fatti (a PIL stabilito), a questo risultato ci si arriva attraverso varie misure già previste all’interno del PNRR. A mio parere, la più importante è l’installazione di 70 GW di energia elettrica da fonti rinnovabili entro il 2030: una soglia che ci permetterebbe di intervenire anche sulle industrie inquinanti, sulla mobilità elettrica e sulla produzione di idrogeno verde. A livello politico, come Radicali, la nostra priorità è difendere questo piano e sostenerne l’attuazione, tutt’altro che scontata. Come mai? Perchè ci sono almeno due problemi che mettono a rischio la realizzazione del PNRR a date certe, come richiede l’Europa pena la perdita dei finanziamenti.
Il primo è la burocrazia: il rilascio dei permessi è lentissimo, i ricorsi ai TAR e al Consiglio di Stato troppo frequenti, le aste spesso deserte. Le procedure vanno radicalmente semplificate oppure i cittadini continueranno a essere frenati, così come la lotta all’inquinamento. Il secondo è soprattutto il deficit democratico: la gente non si fida delle istituzioni e quindi contesta qualsiasi installazione impiantistica. Di nuovi impianti, però, il PNRR ne prevede tantissimi. Ecco, noi vogliamo dire chiaramente che la transizione ecologica prevista nel PNRR o si fa ora o mai più. Perdere questo treno è da irresponsabili! Può sembrare banale, ma non lo è.
Oltre a essere una questione ambientale – la prepotente urgenza è rispettare gli accordi di Parigi – la sfida del PNRR tocca sia il modello e il funzionamento dello Stato che la questione democratica del nostro Paese. Se l’Italia, grazie ai fondi europei, riuscisse a raggiungere l’obiettivo del 55% di decarbonizzazione entro il 2030, significherebbe aver vinto una prima, cruciale sfida ed essere in linea con gli obiettivi. Non è affatto poco.
Parlare di nucleare ora è fuori dal mondo, oltre a non essere previsto tra i progetti finanziabili dall’Unione Europea. E in più, immaginate quanto ci vorrebbe in Italia per individuare un sito e per la successiva costruzione di una centrale nucleare? Nel 2030 – quando ci troveremo di fronte alla scrittura della seconda parte del Piano utile per raggiungere entro il 2050 la neutralità carbonica – dovremmo capire quali innovazioni tecnologiche saranno negli anni intervenute: nuovi tipi di accumulatori più efficienti? Nucleare di 4^ generazione? Fusione nucleare? In base alle tecnologie a disposizione potremo predisporre le risposte più adeguate alle esigenze di una nuova fase di transizione.
Un altro capitolo importantissimo di questa vicenda riguarda i “costi della transizione ecologica”, un tema che si interseca con un’altra storica battaglia Radicale: la riforma della Governance europea. I costi sociali, industriali e internazionali non possono ricadere sul singolo Stato membro. Basta fare l’esempio dell’Italia che, avendo un elevatissimo rapporto debito/PIL non può minimamente pensare di sostenere da sola i costi derivanti della transizione ecologica. Per questo, l’Europa deve continuare a fare quanto già iniziato durante il Covid-19 attraverso l’emissione di green bond, andando nella direzione di un debito comune per attuare quanto stabilito nel pacchetto climatico della Commissione europea “Fit for 55”. Parliamo di una transizione verso un diverso modello di società che deve essere accompagnata con massicci aiuti economici per la creazione di un Fondo per la Transizione Industriale, per l’implementazione del Fondo Sociale per il Clima e per la costituzione di un sistema di ammortizzatori sociali europei, come è stato per SURE, che finanzi l’integrazione al reddito e percorsi formativi.
Ecco, avere una forza politica, o una serie di forze politiche, che ragionando su questi temi vadano oltre gli spot “sì ciclabili, sì rinnovabili e si auto elettriche”, secondo me è importantissimo. Come? Serve assolutamente un luogo di confronto! Per questo abbiamo deciso di convocare una convention ambientale sabato 11 dicembre a Roma a conclusione della prima parte della nostra campagna ambientalista #UnaSceltaRadicale. Perché il nostro percorso politico sull’ambiente vuole essere dinamico, proprio come quello per la transizione ecologica.
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