Beni comuni
Più che un piano per l’economia, serve un Piano per la Nazione
Queste settimane di pre-emergenza, hanno mostrato in embrione tutte le questioni pronte a deflagrare nel caso in cui il fenomeno coronavirus non sia già esaurito e, con tutta evidenza, il fenomeno coronavirus non è già esaurito.
L’impatto più evidente di questi giorni è duplice; innanzitutto, ovviamente, sul più esposto sistema sanitario, ossia sui reparti interessati degli ospedali pubblici. E su questo, ormai, si può dire ci sia un’intelligenza diffusa, dato che il rapporto tra picchi di malati e degenza nei reparti di intensiva è oramai il tema più diffuso nei pochi momenti di socialità rimasti. Il secondo aspetto, è relativo alle conseguenze economiche dell’influenza. Ci sono stati settori e territori immediatamente interessati, le cui ferite già sono evidenti e che fungono da base per eventuali previsioni sull’imminente futuro; e ci saranno nell’allargarsi di questa macchia di contagio, settori e territori che via via saranno coinvolti. I più accreditati centri di analisi computano i danni, pubblicamente, in decimali e, privatamente, già in punti di pil (al momento più di tre, meno di cinque).
Oltre a tali due dimensioni, però, già si stanno levando all’orizzonte conseguenze dirette e già prevedibili. Basti pensare all’emergenza sociale che deriverà dalle conseguenze occupazionali dei settori interessati; e considerare che i primi a scontare l’enorme congelamento della produzione di beni e servizi di questi giorni saranno certamente i ceti meno remunerati, protetti, stabili. Già si intravvede la divaricazione, per esempio, tra dipendenti pubblici e privati, e tra lavoratori dipendenti e autonomi e precari, con questi ultimi che avranno il contraccolpo più immediato sia sulla propria stabilità – schiacciati quali ammortizzatori del calo della produzione – sia in termini di mancata remunerazione anche a fronte dei potenziali rischi per la propria salute provocati dall’emergenza sanitaria. Che cosa comporterà in termini di stabilità sociale il manifestarsi in maniera così evidente e repentina dei rischi che il progressivo ampliamento delle diseguaglianze denunciato su tutti i fronti in questi anni lasciava solamente paventare? Che cosa comporterà in termini politici la divaricazione sociale e prevedibilmente territoriale delle conseguenze sociali dell’influenza?
Stiamo, poi, ragionando di conseguenze sul nostro paese come se il nostro paese fosse nel vuoto perfetto ma, la repentina e furiosa circolazione di questo virus che in poche settimane ha attraversato i continenti e minaccia di trasformarsi in pandemia, dimostra se mai ce ne fosse ancora bisogno, che non solamente non esistono più i confini nazionale, ma che i rapporti tra comunità anche distanti sono sottoposti a una sorta di acceleratore di particelle ormai non più rallentabile, se non con la forza.
La crisi, al momento, è sostanzialmente autoprodotta, ossia conseguenza delle decisioni assunte per rallentare la circolazione del virus, e se vogliamo dal delirio comunicativa di tanto in tanto dimostrato dalla combinazione tra l’insipienza della classe dirigente e l’ipercinesi comunicativa dell’epoca dei social: nessun politico democristiano d’antan avrebbe mai comunicato nulla più del necessario e dello stabilito da un gabinetto di guerra in una stanza chiusa ermeticamente; figuriamoci fare una diretta facebook. Non ci si può lamentare se l’opinione pubblica è terrorizzata, se la si è terrorizzata.
In sintesi, è evidente che l’impatto dei fenomeni di questi giorni è già multidimensionale e attraversa a tutti i livelli e in tutte le direzioni la nostra società e il nostro paese: questo intendiamo, se diciamo che le conseguenze del coronavirus saranno simili a quelle di una guerra.
È, quindi, a questo livello e avendo in mente tale multidimensionalità che i problemi vanno fin d’ora tematizzati e affrontati.
Si sta facendo strada, infatti, l’idea di elaborare un “piano come nel dopoguerra” per affrontare l’emergenza dell’economia con una cura shock, par di capire prevedendo un ragionato elenco di settori e investimenti necessari a mettere in sicurezza i fondamentali della nostra economia nazionale (e implicitamente al di fuori dei lacci europei).
Nondimeno, ora non stiamo perseguendo una ricostruzione post bellica, ma stiamo, per l’appunto, affrontando un’emergenza in diretta tentando di salvare il salvabile e di contrastare per quanto possibile un fenomeno che colpisce tanti differenti aspetti della vita economica, sociale e politica del paese.
Il piano, quindi, urgente, deve essere più ambizioso. Occorre che consideri i due aspetti iniziali citati, i più immediati, ossia il “sanitario” e l’”economico”, perché molto intrecciati fra loro. Evidentemente necessario, infatti, destinare una quota ingente di risorse immediatamente all’incremento dei mezzi per affrontare l’emergenza della salute pubblica e della protezione civile. Altrettanto importante porre in un sistema gli interventi destinati ai settori produttivi, e quindi smetterla di ragionare per singoli provvedimenti e interventi spot sotto la pressione della contingenza.
Occorre, poi, non solamente dare l’impressione, ma essere in grado di ordinare ragionati strumenti di intervento che possano rassicurare le opinioni pubbliche ed eventualmente opporsi alle potenziali patologie della globalizzazione finanziaria, per esempio a possibili speculazioni ai danni del nostro paese.
Nondimeno, strettamente connesso a tutto ciò, è considerare come parte integrante di questo piano le conseguenze sociali dell’emergenza e individuare e quantificare fin d’ora gli strumenti straordinari per affrontare il loro costo economico e politico che se attualmente sta attraversando il sistema produttivo e le strutture pubbliche e private di questo paese, si sta per scaricare senza alcun freno all’impatto sui ceti più esposti, sui territori più fragili, sulle fasce sociali più marginali.
È quindi necessario un intervento pubblico dello Stato, e stupisce sempre come i fautori del libero mercato dei tempi di pace se ne rendano conto solamente nei momenti di emergenza, ma questo intervento deve essere coordinato e ragionato su scala più ampia della crisi produttiva immediata che, nel breve volgere di alcuni giorni, attaccherà la vita complessiva della nostra comunità nazionale. Più che un “piano economico”, in sostanza, serve un “Piano della nazione”.
Come sempre, occorre un progetto ma, ora, è urgente.
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