
Beni comuni
Non eredi. Chiamati
Un’etica del vento e una grammatica della luce.
C’è una genealogia che non si misura col sangue. Non nasce dal DNA, ma dalla visione. Dalla responsabilità. Dalla continuità. È la genealogia dell’energia. Non quella che si calcola in kilowatt, ma quella che si trasmette come sapere. Come educazione. Come postura nel mondo. Come sguardo che prepara il futuro senza tentare di possederlo.
Abbiamo parlato a lungo del futuro. Lo abbiamo disegnato con grafici, previsioni, scenari. Lo abbiamo immaginato come qualcosa che prima o poi arriverà. Ma il futuro non si aspetta. Il futuro si genera. E ogni generazione, prima o poi, è chiamata a scegliere. Consumare o consegnare, bruciare o formare, chiudere un ciclo o aprire una strada. E in questa soglia, silenziosa ma decisiva, si muovono i figli dell’energia.
Giovani che non ricevono semplicemente un’eredità, ma una chiamata. Che non sono destinatari, ma protagonisti. Li abbiamo guardati come risorse o come problemi. Li abbiamo trasformati in numeri, indicatori, target. Li abbiamo messi nei PowerPoint, ma non nelle decisioni. Abbiamo scritto piani formativi, senza formarli davvero alla verità. Abbiamo parlato di competenze, senza raccontare loro la bellezza dell’incompiutezza. Abbiamo dato loro nozioni, ma non domande. Eppure, solo chi si riconosce incompleto può desiderare. E solo chi desidera può imparare.
L’energia, se è vera, non è un settore. È un’educazione. Un modo di stare nel mondo. Un’alleanza con ciò che vive. Significa comprendere il valore del limite, della cura, dell’equilibrio. Significa non solo progettare impianti, ma rigenerare senso. Fare in modo che ogni transizione sia anche un atto pedagogico. Una possibilità per riscoprire che non si produce davvero energia se non si genera anche un pensiero.
I giovani non sono un punto d’arrivo. Sono l’inizio. Non servono per migliorare i bilanci, ma per correggere lo sguardo. Ci obbligano a una postura diversa. Ci costringono a guardare oltre il nostro tempo. A credere che l’eolico e il solare non bastano se manca un’etica del vento e una grammatica della luce. Che l’idrogeno verde è solo un nome se non ci sono mani che lo comprendano, che lo accompagnino, che lo raccontino. Il passaggio generazionale non è un problema da risolvere. È una liturgia da celebrare.
È lì, in quel momento fragile e decisivo, che si misura la statura di un’impresa, la visione di un territorio, la verità di una strategia. Perché tutto ciò che non viene educato, si disperde. Tutto ciò che non viene narrato, si dimentica. E tutto ciò che viene dimenticato, prima o poi si spegne.
Ed è per questo che oggi, più che mai, servono parole nuove per i figli dell’energia. Per chi non sarà come noi. E proprio per questo, sarà migliore.
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