Beni comuni

Il calcolo costi-benefici sulla morte lo accettiamo da ben prima di Astrazeneca

11 Giugno 2021

Il nuovo caso Astrazeneca è in fondo uguale a quello vecchio. La morte di una ragazza di 18anni, si chiamava Camilla, come possibile conseguenza del vaccino, ripropone la stessa identica questione che si pose all’inizio della campagna vaccinale. Quel che sappiamo è e continua a essere poco, come è ovvio che sia per una pratica medicinale che ha avuto drammaticamente poco tempo per diventare accettata e diffusa. Nelle persone sotto i 50 anni, e principalmente nelle donne, il vaccino anti-Covid sembra provocare eventi avversi in musira sensibilmente superiore rispetto alle altre fasce demografiche. E potrebbe aver provocato la morte di Camilla e di altre persone, in Italia e nel mondo. È d’obbligo il condizionale, tuttavia, perché se è vero che la scienza ritiene fondato e dimostrato il rapporto di causalità tra il vaccino e certi episodi di trombosi, ancora non sappiamo ovviamente se tutti gli specifici episodi di trombosi verificatisi sono da attribuire al vaccino. Anzi, per ciascuno solo gli esami specifici, sul singolo caso, potrebbero dare risposte, e affrettarsi a spiegare in qualunque senso la tragedia come se si conoscesse la cartella clinica della povera defunta, o come se si avessero le competenze per leggerla, è quantomeno imprudente, a meno di non poter giurare su entrambe le cose.

Le variabili insomma sono tante, tantissime, e se sfuggono alla piena comprensione di immunologi, patologi, esperti di farmacosorveglianza, luminari della statistica applicata alla medicina, non possono non sfuggire a tutti gli altri, cioè a noi. La verità è che non sappiamo tutto, anzi, e come mille volte al giorno, anche in questo caso abbiamo implicitamente espresso un atto di fiducia nei confronti di chi ne sa più di noi, e dei sistemi di controllo e verifica che hanno stabilito che i benefici della campagna vaccinale sono incalcolabilmente più alti dei rischi. Anche se – ed è esattamente il caso delle persone più giovani – il rischio di contrarre il Covid subendone conseguenze rilevanti è così basso da rendere molto meno accettabile quello di incorrere negli eventi avversi, anche non letali, contemplati dal foglietto illustrativo dei vaccini. Epperò, siccome se non ci si vaccina più o meno tutti i costi sociali e umani continueranno a essere troppo elevati per essere sostenibili, più o meno tutti ci si mette in coda e ci si vaccina. Più o meno, naturalmente, e con i giovani fortemente incventivati a farlo, prima dell’estate, per essere finalmente liberi di viaggiare, amare, ballare: senza restrizioni e senza gli occhi giudicanti di vecchi, virologi, politici.

Non essendo esperto di farmacosorveglianza nè di immunologia, quel che riesco a vedere bene – si fa per dire – sono gli stati d’animo che la tragedia di Camilla ha fatto (ri)spuntare come funghi dopo la pioggia. Sulle opposte curve ci si rinfaccia colpe di gruppo o generazionali, non senza qualche argomento, ma sempre mancando – temo – il punto centrale. Ai giovani – dopo l’incoscienza per le discoteche greche o sarde – si rinfaccia l’incoscienza di chi si è buttato agli Astraday senza curarsi di informarsi sui rischi, seppur remotissimi, che correvano. “E i genitori dove sono, signora mia!”. A quei due milioni di ultrasessantenni ancora non vaccinati si rinfaccia – con qualche ragione in più, va detto, mi è capitato di parlare con qualcuno tra questi e garantisco che le mani prudono forte – di aspettare che arrivi l’immunità di gregge grazie alla fiducia altrui, per poi goderne loro senza aver voluto nemmeno rischiare un febbrone post-vaccino. Ai media – corresponsabili per definizione, in quanto mediano – si rinfaccia di enfatizzare gli eventi avversi e i rari lutti senza contestgualizzare, spiegare, relativizzare. Vero, a patto di sapere che è impossibile fermare l’onda emotiva di chi teme che la disgrazia riguardi la sua di famiglia, i suoi di affetti, la sua di diciottenne. Qualcuno, qua e là, si chiede: e se il teenager vittima del dramma fosse mio figlio, mia figlia, cosa farei?

Il punto è esattamente questo. Cosa farei? Piangerei disperato. Oppure, se fossi io la “vittima del vaccino” morirei in un reparto di rianimazione tra medici e infermieri attoniti, piagati dalla loro impotenza. È esattamente quello che è successo ad (almeno) 127 mila nostri connazionali, e a diversi milioni di nostri simili in giro per il mondo. Senza ancora poterr contare esattamente quante persone – e per quanto tempo – subiranno le conseguenze di povertà fame e disperazione causate dall’unico rimedio sicuro per una malattia infettiva, prima che la medicina trovi gli antidoti, le cure e i vaccini: e cioè i lockdown. E se al secondo giro, in tutto il mondo, non solo in Italia, le chiusure sono state meno rigide, e nessuno ha più voluto fermare davvero il motore produttivo del suo paese, è perché nessuno ha ritenuto che quel costo fosse sostenibile, che quel rischio si potesse correre. Nessun governante al mondo – diciamolo: nessuna società, al mondo – ha ritenuto che nel calcolo costi benefici potesse ancora reggere. In sostanza, senza dircelo, ma abbiamo accettato che qualche migliaia morti di più di Covid fosse un prezzo più accettabile delle conseguenze di un nuovo vero lockdown. È stato giusto? Davvero non si poteva fare meglio? Per ora non lo sappiamo, ma di certo è lo stesso schema che accettiamo ogni giorno, permettendo una serie di attività che comportano rischi. Che comportano, ogni giorno, delle vittime, che potremmo essere noi, ciascuno di noi, quando andiamo al lavoro, usciamo per vedere degli amici, prendiamo dei mezzi pubblici o privati, prendiamo medicine che contemplano eventi avversi anche letali. Eppure stiamo dentro tutti – chi più chi meno, chi più consapevolmente e chi meno, soprattutto – a un sistema produttivo e a un modello di sviluppo che ha costi sociali importanti, produce sperequazioni, scarica sull’ambiente e sulla salute molte esternalità negative.

Questa pandemia e il suo – speriamo – finale potrebbe davvero lasciarci degli insegnamenti. Il più doloroso e necessario è che ogni giorno, in mille modi, accettiamo tutti che ci siano morti ingiuste. Ricordarcelo ogni giorno, per accettarne sempre meno, sarebbe già un obiettivo degno dell’essere umano. Poi, come diceva Camus, anche in un mondo perfetto i bambini moriranno sempre ingiustamente. E che la terra sia lieve, a loro, e di monito per noi, che qui restiamo, finchè ci restiamo.

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