Beni comuni

Parazzi: Collaborare non basta, le comunità devono condividere una visione

24 Giugno 2022

Mauro Parazzi, 52 anni, laurea in scienze politiche, è il vicesegretario generale di Confartigianato Imprese della provincia di Lodi. È membro del consiglio della Fondazione Comunitaria di Lodi dalla sua costituzione vent’anni fa e dal luglio 2019 ne è diventato il suo presidente.

Il trentennale di Fondazione Cariplo coincide con il ventennale della vostra Fondazione di Comunità. Cosa significa per voi celebrarlo?

Come tutti gli anniversari è un momento di soddisfazione per una realtà che era nata nel 2002 con poca consapevolezza rispetto al cammino da compiere ed è invece poi cresciuta molto nel corso degli ultimi vent’anni. Al tempo stesso, l’anniversario rappresenta anche un’occasione per prendere coscienza dei traguardi raggiunti e per porsi nuovi obiettivi. Ci sono nuovi obiettivi che ci siamo dati in modo particolare negli ultimi anni, quando il ruolo della Fondazione Comunitaria di Lodi è cambiato molto. Siamo passati da ”semplice” intermediario filantropico ad essere una realtà in grado di mettere in connessione le persone e le risorse di un territorio in modo da ottenere il maggiore impatto sociale possibile nelle nostre azioni. Oggi oltre a sostenere e finanziare il Terzo settore, la Fondazione svolge un ruolo di promozione diretta delle azioni, attraverso la coprogettazione e la programmazione condivisa delle iniziative per ridisegnare il welfare territoriale e conseguire tutte le sue finalità.

Che tipo di territorio è il Lodigiano e quali sono i settori in cui intervenite maggiormente?

Il Lodigiano è un territorio che ha un grande orgoglio. I tratti fondamentali dell’identità territoriale sono la grande laboriosità dei lodigiani e l’intenso senso di solidarietà e di attenzione agli altri. Un tratto quest’ultimo, che si può vedere nella storia di questo territorio, dove le maggiori istituzioni legate alla cura delle persone più fragili, di anziani, bambini e ammalati, hanno avuto un forte impulso e sostegno storicamente dai tanti benefattori che hanno istituito asili, scuole, case di riposo e ospedali sul territorio. Lo stesso atteggiamento si vede ancora oggi nel grande numero di realtà che operano nel Terzo settore, in termini di associazioni evolontari.  Un tessuto ricco di volontari non solo nel sociale ma anche nell’ambito dell’ambiente, della tutela dell’arte e della promozione della cultura. In questo contesto di solidarietà vanno inseriti anche gli oltre 8mila donatori, che negli ultimi vent’anni hanno contributo a sostenere 1455 progetti per un valore complessivo di 39 milioni di euro.

In che maniera la pandemia ha inciso sulla vostra attività e sulle persone o realtà che aiutate? 

La pandemia ha svelato molte fragilità che non erano ancora emerse, ma l’aspetto più importante secondo me è che ha ricordato a tutti – e anche al nostro territorio – l’interdipendenza di ognuno all’interno della comunità. In questo modo ci ha permesso di dare un nuovo senso e valore ai legami di comunità, che attraverso la vicinanza e la prossimità sono stati la vera rete che ha sostenuto negli ultimi due anni il territorio e ha dimostrato come il Lodigiano sia una comunità resiliente.

Come deve ripensarsi, secondo voi, il Terzo Settore, di fronte ai cambiamenti epocali che attraversano la nostra società? Quali sono le sensibilità di cui abbiamo più bisogno?

Non solo il terzo settore è cambiato, sta cambiando e deve cambiare, ma tutta la comunità ha preso coscienza della necessità di un cambiamento. Mi piace sempre ricordare un proverbio che dice che “l’uomo è più figlio del suo tempo che di suo padre”. Credo che lo spirito di oggi ci porti ad affrontare situazioni e sfide nuove, che possono avere un’origine locale ma possono anche essere l’effetto di cambiamenti e di processi sovraterritoriali. Ad esempio, le sfide demografiche, la transizione ecologica e anche quella digitale hanno e avranno sicuramente un impatto significativo sulla vita di tutti noi, ma particolarmente sulle persone più fragili e quindi in questo tutta la comunità deve ripensarsi, non solo il terzo settore. Certo il terzo settore, in quanto ambito della cura delle fragilità, deve evidentemente adeguarsi nel modo che noi riteniamo più efficace, concentrandosi nella risposta ai fabbisogni ed evitando possibili frammentazioni, che certamente non aiutano a valorizzare l’impegno, l’energia e le risorse messe in campo dalla comunità. La risposta è non solo collaborare, ma condividere una visione del territorio, per poi operare attraverso reti territoriali in grado di dare le miglioririsposte possibili e di garantire al territorio un presidio costante su fabbisogni che hanno la necessità di essere affrontati non solo nell’emergenza ma nel medio-lungo periodo. Perchè si sia sempre pronti a dare il meglio.

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