Beni comuni
L’Amazzonia brucia, ma anche noi possiamo fare qualcosa per fermare lo scempio
L’Amazzonia brucia. Tutti i giornali del mondo scrivono e raccontano come la foresta pluviale, “il polmone del pianeta”, sia piegata dalle fiamme. Star, attivisti e cittadini si stanno mobilitando per provare a proteggere la foresta.
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Ma cosa sta succedendo davvero in Amazzonia?
Le fiamme divampano in Brasile. Secondo l’Instituto Nacional de Pesquisas da Amazôna, il 99% degli incedi sono accesi dall’uomo, sia su terreni già senza alberi (fuochi agricoli legali) che per aprire all’uso agricolo aree boschive (spesso illegalmente). Questi fuochi riguardano le aree di margine più rade e aride ma anche parte di alcune riserve protette.
Nello stato brasiliano più colpito dell’Amazzonia, il giorno di picco di questo mese è stato del 700% superiore alla media della stessa data negli ultimi 15 anni. In altri stati la quantità di ceneri e altri particolati ad agosto ha raggiunto il livello più alto dal 2010. L’Amazzonia è grande quanto l’Unione Europea e da gennaio a luglio 2019 ne sono bruciati 18600 km quadrati, cioè lo 0.3%. Questa settimana ci sono più incendi in Colombia e nel Brasile orientale.
Sebbene alcuni rapporti abbiano affermato che l’Amazzonia produca il 20% dell’ossigeno nel mondo, non è chiaro da dove provenga questa cifra. La cifra reale probabilmente non supererà il 6%.
Il vero problema di quanto sta accadendo alla foresta amazzonica è la deforestazione. A luglio la deforestazione è salita a un livello mai visto in oltre un decennio. Secondo i dati preliminari satellitari dell’agenzia spaziale brasiliana, gli alberi venivano eliminati al ritmo di cinque campi da calcio ogni minuto.
La situazione era molto peggiore negli anni ’90 e nei primi anni 2000. Ma il Brasile, di cui tanto si parla oggi, ha vinto diversi premi internazionali dopo aver rallentato la deforestazione dell’80% tra il 2005 e il 2014.
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La colpa di quanto sta succedendo in Amazzonia è quindi di Bolsonaro?
Jair Bolsonaro ha peggiorato le cose indebolendo l’agenzia ambientale, attaccando le ONG e promuovendo l’apertura dell’Amazzonia alle miniere, all’agricoltura e al disboscamento. La deforestazione però è cresciuta negli ultimi cinque anni sotto i precedenti presidenti Dilma Rousseff e Michel Temer. Il tasso è cresciuto rapidamente nei primi otto mesi di Bolsonaro. Ma questo non riguarda solo lui, la sua politica o il Brasile. Ci sono anche enormi incendi in Bolivia, che ha un presidente populista di sinistra.
Cosa possiamo fare noi?
Il problema dell’Amazzonia nasce dal sistema di mercato internazionale legato alle esportazioni di soia, carne, e minerali verso Europa e USA. Gli animali in Italia non sono allevati su terreni sottratti alle foreste primarie, tuttavia spesso sono alimentati con la soia proveniente dal Sudamerica, responsabile di deforestazione (soprattutto pollo, maiale e carni trasformate). Cercare di non sostenere questo circolo vizioso malsano per il pianeta è il primo passo da compiere per il bene della terra e del clima. Inoltre, possiamo donare attraverso la campagna attiva su Gofundme.
Le donazioni della raccolta fondi su GoFundMe andranno a Conservation International, organizzazione senza scopo di lucro, da sempre impegnata in Amazzonia, che si occupa di proteggere la natura della foresta e fermare la deforestazione. La raccolta fondi ha superato i 15mila dollari grazie anche alle donazioni di moltissimi italiani (oltre un quinto dei donatori proviene dal nostro paese). L’obiettivo è quello di proteggere la foresta pluviale: con soli 25 dollari è possibile salvaguardare un acro di foresta.
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(In copertina, l’Amazzonia fotografata dall’astronauta Luca Parmitano)
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