Beni comuni
Sul cambiamento climatico dobbiamo pretendere rigore nell’informazione
Ormai non sono solito sorprendermi per l’approssimazione con la quale vengono dispensate dai media le informazioni sugli argomenti più disparati. Se è comprensibile che su certi temi, di natura politica, economica, etica o artistica ci possano essere punti di vista diversi e che il pluralismo debba garantire un’adeguata rappresentazione di essi, quando invece si tratta di aspetti scientifici il rigore dell’informazione dovrebbe prevalere su tutto. La comunicazione scientifica o comunque l’informazione su temi di natura scientifica deve essere basata sulle evidenze, sui riscontri oggettivi, sui dati sperimentali o sulle misurazioni effettuate.
Già il Covid ci ha fornito uno scenario, in molti casi piuttosto deludente, rispetto alla comunicazione relativa alla pandemia, quando nei talk-shows delle varie reti venivano invitati, oltre ai legittimi ed immancabili virologi, anche personaggi delle più svariate estrazioni e non si comprende che giudizio potessero esprimere su un tema scientifico tanto delicato. E’ pur vero tuttavia che la pandemia ha imposto anche l’assunzione di decisioni di tipo politico, sulle quali era giustificato anche esprimere opinioni.
Ma quando alcuni giorni addietro, passando velocemente in rassegna i canali televisivi sono stato incuriosito da Vittorio Feltri che a “Zona Bianca” (Rete 4) relazionava sul cambiamento climatico, mi sono reso conto che abbiamo oltrepassato i limiti della decenza. La responsabilità ovviamente non è di questo distinto giornalista, ma della redazione del programma televisivo che interpella questo rispettabile ottantenne a parlare di cambiamento climatico. In questo caso stiamo parlando di un processo acclarato, supportato da una base di sterminate evidenze scientifiche, la cui gravità non è ancora compresa da troppe persone.
Non si può accettare che questo signore racconti a milioni (spero solo centinaia di migliaia) di persone che “è sempre stato così, che prima si chiamavano disastri e ora si chiama cambiamento climatico”. Su questi temi è necessario se non il rigore, perlomeno il rispetto per il lavoro dei ricercatori e degli esperti. In questi casi non possiamo dire che “uno vale uno”. Sarebbe come chiamare per un consulto su un intervento chirurgico a cuore aperto, una persona che si occupa di falegnameria, un conduttore di autobus, o un giardiniere (beninteso senza offesa alcuna per ciascuna di queste rispettabilissime professioni).
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