Beni comuni
Gkn e Fridays: “serve una società nuova e non la troveremo nei partiti”
C’è uno scollamento che si fa sempre più ampio fra politica e società civile. Secondo le stime delle ultime settimane il 40% della popolazione è indecisa e propende per l’astensionismo. Ma un articolo di Open del 24 agosto parla del 50% fra gli under-35.
Eppure proprio fra i giovani partecipazione e consapevolezza non sono certo diminuite: lo dimostrano i Global Strike (il prossimo sarà il 23 settembre, proprio alla vigilia delle elezioni), i Climate Camp, l’intersezione sempre più stretta fra lotte per il lavoro e lotte sociali, ambientali, transfemministe.
Negli ultimi anni abbiamo votato raramente e svogliatamente, mentre i movimenti hanno avuto un’efficacia che viene poco raccontata: la Tav è ferma da anni, le grandi navi non entrano più a Venezia, la centrale a carbone di Civitavecchia è stata chiusa e non riconvertita in centrale a gas.
Politica se ne fa tanta, e se ne parla sempre di più, a maggior ragione in un momento di crisi economica così forte, fra pandemia, guerra e crisi energetica e poi quest’estate di siccità, acqua razionata, ghiacciai crollati, trombe d’aria che hanno fatto morti e feriti e che hanno cambiato sotto i nostri occhi i connotati di luoghi che conoscevamo da sempre – ma è una politica estranea alle istituzioni, perché con le istituzioni non ha più un linguaggio comune.
“Quando è nato il movimento Fridays volevamo farci ascoltare dai governi perché prendessero delle iniziative. Siamo riusciti a entrare nelle stanze del potere ma dopo tre, quattro anni che non cambia niente e si continua a morire – sempre di più – di crisi climatica, abbiamo capito che i politici non faranno mai né politiche ampie sul cambiamento climatico ma nemmeno politiche di transizione perché farle vorrebbe dire mettere in discussione alla radice il sistema in cui viviamo, l’economia in cui viviamo, il sistema patriarcale in cui viviamo” racconta Ruggero di Fridays For Future Venezia, durante il Presidio dei lavoratori GKN del 25 agosto, a Campi Bisenzio.
È un giovedì sera di fine agosto e ci sono poco meno di un centinaio di persone, di età e provenienza mista. Il primo a parlare, da remoto, è stato Nevio Minici del Movimento rivoluzione umana che lotta contro la privatizzazione delle strutture per i disabili. Spiega di cosa hanno bisogno: chiudere le gare di appalto, concentrarsi su ausili di alta qualità per stare meglio loro ma anche per non andare a incidere sugli ospedali con costi altissimi per tutti i contribuenti, e la possibilità di essere “cittadini attivi”, di ricevere fondi non a pioggia ma in maniera pensata ed efficace. “Se voi date una mano a noi la date anche a voi perché se vengono negati i diritti a pochi, vengono negati a tutti. Ma se disabili e operai staranno insieme per pretendere i loro diritti, ai politici tremeranno i polsi”.
Dopo di lui alcuni ragazzi di Fridays for Future e Rise Up 4 Climate Justice presentano l’appuntamento del 7-11 settembre al Lido di Venezia, dove si terrà il prossimo Climate Camp: un momento di incontro transnazionale dove a partire dalle specificità del luogo (Venezia come territorio sacrificato alla cultura del turismo intensivo) ci si confronterà su tematiche come il ricatto salute-lavoro e ambiente-lavoro.
Dopo di loro, un intervento del comitato No Aeroporto di Firenze e un altro di un comitato di Campi Bisenzio che contesta la scelta di sacrificare proprio delle aree verdi alle fermate della nuova tramvia: istanze diverse che si incontrano e si confrontano e soprattutto sono lo specchio di un coinvolgimento politico dal basso forte e impegnato.
Nominare i partiti e le elezioni invece provoca una sorta di imbarazzo: non perché non ci si voglia esporre ma perché non ci sono programmi e partiti capaci di rappresentare le istanze reali di cui si parla qui, fra operai, comitati disabili, ambientalisti.
“La politica istituzionale ha evidenti limiti. Anche se domani nominassero me presidente del consiglio, cosa potrei fare? A Venezia si è passati da amministrazioni di centro sinistra (con anche una componente di estrema sinistra molto forte all’interno) al centro destra e in 50 anni non c’è nessun sindaco che abbia impresso una svolta positiva e non di turistificazione e cementificazione a questa città. L’unico cambiamento positivo l’hanno impresso i movimenti. L’unica cosa concreta che è cambiata in meglio è che non ci sono più le grandi navi: e non l’ha fatto un sindaco illuminato ma è stato impresso dal basso. Questo è molto interessante” racconta Ruggero.
Proprio ieri FFF ha espresso un’agenda climatica con proposte su 5 temi che non si ritengono esaustive ma vanno a sottolineare come molte questioni siano interconnesse fra loro e debbano essere affrontante in maniera complessa. “Ancora una volta i partiti non stanno centrando il bersaglio, si fanno tante promesse ma mancano risposte serie ai problemi più urgenti: crisi climatica, disuguaglianze, salari bassi e lavoro insicuro, accoglienza, disparità” si legge sul loro sito.
I temi trattati sono Trasporti, Energia, Lavoro, Edilizia e povertà energetica e Acqua.
Si tratta di proposte con obiettivi integrati: migliore e gratuita mobilità pubblica, creazione di posti di lavoro, tassazione di attività nocive ed extra-profitti; comunità energetiche, che riducono i consumi di energia e insieme i costi delle bollette per cittadini e aziende e che rivitalizzano le economie locali. L’idea è che “il sovraccarico di lavoro, la disoccupazione, il consumo eccessivo, le elevate emissioni di carbonio, il basso livello di benessere, le radicate disuguaglianze” debbano essere affrontati insieme nell’ottica di un cambio di vero paradigma che si fondi non più sulla ricerca di utili ma sulla soddisfazione di esigenze.
Anche Dario Salvetti, portavoce del Collettivo di Fabbri GKN, è su questa linea d’onda: intersezione delle lotte, incomunicabilità con la politica istituzionale.
“Le lotte ambientali sono sempre nate dai posti di lavoro: è chi respira l’amianto che si accorge che fa male. Ma anche un piccolo imprenditore o un libero professionista non è messo troppo meglio. Bisogna lottare insieme, soprattutto ora perché le elezioni sono un’emergenza nell’emergenza e finiscono per rendere accettabili politiche inaccettabili. Siamo noi che dobbiamo costruire qualcosa di nuovo dal basso. A partire dalla nostra fabbrica ma in generale. E sarà difficilissimo perché siamo pur sempre nati nel capitalismo: essere persone nuove e creare comunità nuove in una società nuova alla lunga è impossibile. Per questo bisogna cambiare la società”.
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