Beni comuni
Codice di camaldoli, 80 anni ma non li dimostra
In copertina l’Eremo di Camaldoli
Tra Maynard Keynes e la pattuglia degli economisti della università cattolica[1]
Forse potrà apparire singolare se non addirittura una sorta di forzatura, ma riteniamo che un filo, poco visibile ma robusto, unisca la Teoria generale di Keynes e l’esplosione del pensiero sociale cristiano, maturato in Italia negli anni quaranta ed espresso nel Codice di Camaldoli, stilato nel 1943. La contaminazione dei giovani economisti italiani appare con tutta evidenza e gli accostamenti possibili sono più d’uno, come vedremo. Le tante diversità (estrazione culturale liberale e laica dell’uno, cristiana e umanistica quella degli italiani; differente sistema di governo, democratico e liberale quello inglese, autarchico, statalista e totalitario quello italiano) fanno pendant con le coincidenze, laddove prevale un mix di affinità di pensiero e prospettiva politica che li accomunano talmente da ritenere impensabile che non ci sia stata compenetrazione non solo coeva ma sostanziale tra le due concezioni. Maturata nel pieno di una dittatura autarchica, quell’esempio cioè di governo politico, che Keynes aborriva come antipodico ai suoi principi di libero ma controllato mercato, la concezione dei “fucini” italiani è permeata, come nell’opera di Keynes, di una percezione storico-politica che la rende a tutto tondo “economia inscritta nella politica della futura democrazia”. Keynes negli anni trenta e quarta del XX secolo era un economista affermato e, come tale, poco prima di morire, nel 1944, aveva guidato la delegazione britannica a Bretton Woods. La sua “Teoria Generale” risale al 1936, dunque era stato un protagonista della vita pubblica britannica nello iato tra una guerra mondiale e l’altra. I suoi volumi raggiunsero dunque anche l’Italia malgrado le restrizioni fasciste sulle pubblicazioni estere. In quegli anni trenta, un brain trust si stava organizzando nel seno dell’Università Cattolica del Sacro Cuore; ne facevano parte Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni, Giorgio La Pira, Amintore Fanfani. gruppo che più tardi si salderà con Sergio Paronetto. Il team si dedica alla nuova economia che verrà dopo il fascismo e interpreta e sviluppa le varie teorie di economia internazionali che comunque contraddicevano l’autarchia fascista, allora dominante.
Sergio Paronetto ebbe una vita breve ma intensa, nacque a Morbegno in Valtellina nel 1911, morì solo nel 1945 ma in quei pochi anni riuscì a lasciare un segno. Iscritto alla Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI) coordinata dall’allora Mons. Montini, inizia un percorso critico nei confronti dell’associazione cattolica fino ad allontanarsene. Entra a far parte dello staff dell’IRI, istituto per la Ricostruzione Industriale, lavora accanto a Donato Menichella, poi Governatore della Banca d’Italia e al presidente Beneduce. Si indirizza su due filoni di attività, la ricostruzione di Finsider e Finmare e la riforma bancaria che porta la data del 1934. Paronetto inizia un percorso di studio sulle tematiche economiche ed in particolare sull’intervento statale nell’economia di mercato, molto verosimilmente su le basi scientifiche keynesiane. È proprio in quel periodo che getta il seme dell’iniziativa delle settimane di studio a Camaldoli dove poi nel 1943 verrà stilato il Codice che prende nome da quel Convento e che porta il suo imprinting. È una sorta di decalogo, sia pure in sette Titoli, permeato di un mix di economia di mercato e di controllo statale per una più equa ripartizione dei redditi alla ricerca dell’equilibrio tra libertà imprenditoriale e giustizia sociale. Da qui la generale convinzione che esso resti il fulcro della Dottrina Cristina nella politica e nell’agire sociale.
La storia del Codice di Camaldoli.
Poche pagine in cui si traccia la dottrina economica impregnata di giustizia solidale e sociale, alla luce degli avvenimenti dell’epoca. Una prospettiva che parte dai presupposti e principi cattolici ma rivisitati in chiave laica, moderna in attesa di concretizzazioni. Il convegno di Camaldoli si svolge nel luglio del 1943, a cavallo della crisi del regime, poco prima del giorno 25 che, con la riunione del Gran Consiglio, decreta la fine del fascismo. A Camaldoli, i giovani economisti, necessariamente clandestini, si dedicano sin da subito alla stesura di principi giuridici ed economici sulla proprietà e del ruolo dello Stato moderatore nelle iniziative private su la base del presupposto che la conciliazione tra interesse privato, non disgiunto da un sano profitto, fosse possibile con la giustizia sociale e la redistribuzione dei redditi. Paronetto già prefigura un rifiorire della dottrina sociale cattolica, in contrapposizione con altre impostazioni, quella marxista in primis, senza evocare scontri politici ma per integrare altrui posizioni di politica economica. La storia di quel 1943, accanto alla fucina di pensiero economico, vide le basi per la Resistenza armata, con la costituzione del CLN e del suo braccio militare, il Corpo dei Volontari per la libertà. Il gruppo, organizzato da Giuseppe Spataro e Vittorio Vercesi, dopo la cattura di quest’ultimo fu guidato da Enrico Mattei, che lo portò da 2000 a 20.000 unità grazie ad un’ampia partecipazione cristiana e cattolica. Due filoni paralleli che poi si salderanno nell’ingresso in politica di questi esponenti nelle fila della Democrazia Cristiana.
Tab.1. Elenco degli estensori ed Enunciati del Codice di Camaldoli, finito di stilare il 27 luglio 1943.
In quei mesi Paronetto si dedicò a curare la stesura complessiva del Codice che fu pubblicato con il titolo ”Per la Comunità cristiana. Principi dell’ordinamento sociale”, a cura di un gruppo di studiosi amici di Camaldoli. Uscito nell’aprile del 1945, un mese dopo la morte del suo ideatore, ebbe una grande influenza sui dirigenti cattolici impegnati nella fase costituente, destinati a guidare il nuovo percorso dell’Italia democratica [2]. Il Codice nasce come frutto dell’iniziativa congiunta di studiosi di scuola romana e milanese, Tab.1. Come si legge dagli Enunciati, si evidenzia un prologo di matrice cattolica, caposaldo che poi permeerà l’opera. Ai nostri fini, gli enunciati I, IV, V, VI e VII sono quelli cui si ispirerà la politica dei cattolici in Italia nel primo dopoguerra. Lo Stato, enunciato n.1 punto 9 …” Deriva altresì che lo stato ha dei suoi fini specifici, che, qualunque siano gli altri fini che le circostanze storiche gli impongono di assumere, è tenuto a realizzare. E cioè esso deve: a) garantire i diritti di tutti gli individui e delle comunità e società[3] che essi formano dirette a realizzare i loro interessi e fini umani, onde assicurare l’armonia e l’azione reciproca degli individui, delle famiglie e delle forze sociali; b) provvedere agli interessi che sono comuni a tutti, e che soltanto con la collaborazione di tutti possono essere soddisfatti, onde assicurare le condizioni fondamentali del libero sviluppo e della pienezza di vita degli individui, delle famiglie e delle forze sociali che da essi legittimamente nascono. In quanto lo stato ha per sua funzione essenziale di tutelare i diritti degli individui, delle famiglie e delle forze sociali e di promuovere interessi comuni mediante l’impiego delle forze di tutti, lo stato ha per proprio connaturale fine il bene comune.”… Punto 10. Stato e diritto. La ragione di essere dello stato e la condizione fondamentale della sua legittimità è il riconoscimento, il rispetto e la garanzia del diritto della persona umana di conseguire liberamente la sua perfezione fisica, intellettuale e morale cioè della libertà individuale intesa sia come diritto dell’individuo di essere salvaguardato dalle arbitrarie limitazioni nelle proprie facoltà moralmente lecite di muoversi, di agire, di pensare, di vivere e quindi da arbitrari arresti o molestie o offese, sia come diritto di adempiere a tutte le lecite esigenze e tendenze delle attività umane e a tutte le obbligazioni della propria coscienza morale e religiosa, [4].Punto 16 …” Dovere fondamentale di partecipazione alla vita dello stato. Poiché lo stato è il modo con il quale gli individui e le forze sociali organizzano la loro vita ai fini di una convivenza tale da aiutare e potenziare la loro libera attività, è fondamentale il dovere degli individui, gruppi e forze sociali di essere parte attiva nella vita dello stato e considerare questa vita come un interesse concreto ed immediato tra i più importanti.[5] “…. Titolo V Attività economiche. Punto 72[6]. …”La proprietà privata e proprietà collettiva. I beni materiali, la cui destinazione primaria è chiarita nell’articolo precedente, sono legati per natura all’uomo da due specie di rapporti: a) la proprietà privata, spettante ad una persona fisica, a una famiglia, ad una società volontaria di individui aventi fini privati; b) la proprietà collettiva, spettante allo stato e a persone etico – giuridiche distinte dai privati e aventi finalità generali e durature o di utilità pubblica, quali le comunità intermedie tra l’individuo e lo stato, le università di diritti e di persone, le associazioni professionali e di categoria e simili.”…. Con questo punto si chiarisce il rapporto tra proprietà privata e proprietà pubbliche, quelli che poi molti decenni dopo diventeranno i cosidetti “ Beni Comuni” che si identificano in proprietà della comunità a tutti indistintamente appartenenti. Una formidabile presa di coscienza che lascia il segno politico all’alba della Repubblica antifascista. Un codice di prescrizioni che saranno la linea guida politica della nascente Democrazia. Da queste basi nasce il percorso della Legislazione sui Servizi Pubblici. Il ruolo dello Stato nell’Economia dettato dalle necessità pubbliche (salute, energia, istruzione e trasporti) che contraddistinguono i servizi di utilizzo ma soprattutto del diritto universale. Appare molto stretta la relazione con la Teoria generale di Keynes. Come si vede, nel Codice che stabilisce termini di socialità e solidarietà trasferiti direttamente sul piano economico trova piena applicazione lo sforzo di Keynes sviluppato nella Teoria Generale, che sviluppa il ruolo della domanda aggregata (consumi, spesa pubblica, investimenti e quindi il reddito) concedendole un rango al pari dell’offerta aggregata (Capitale, Lavoro e Tecnologia). E si introduce il concetto della centralità della persona quale soggetto di diritti primari. Così come la socialità merita la soddisfazione di diritti comunitari, pariteticamente distribuiti. La stagione delle riforme.Quanto sopra dimostra il ruolo del Codice di Camaldoli come guida nella pubblic policy che nei primi Governi del dopoguerra riorganizzò il paese e le sue strutture. Fu Enrico Mattei a volere un ente unico per l’energia, anche se il progetto non si concluse come egli avrebbe sperato. Il progetto di un Ente unico per l’Energia è sostenuto da Mattei e trova in Fanfani una formidabile sponda di appoggio. Ben prima della nazionalizzazione del 1962, nel luglio del 1958 il politico aretino afferma: …“Nessuno pensa di menomare le garanzie costituzionali della iniziativa privata… Conoscendo le insufficienze che anche la più volenterosa iniziativa privata manifesta, ci proponiamo di colmarle ed integrarle a servizio del bene comune con il ricorso all’attività pubblica, da svolgersi con criteri economici e per le iniziative autorizzate dalla legge. Quanto già esiste in questo campo deve essere sottoposto ad un riordinamento che distribuisca più razionalmente le competenze e le imprese tra I.R.I. ed E.N.I., regolarizzi con apposita legge la creazione recente degli enti di gestione, inquadri le imprese statali o a prevalente partecipazione statale in apposita associazione, stimoli il progresso di esse associando i lavoratori ai benefici dell’aumento di produttività e quindi alla formazione di nuovo capitale azionario con conseguente partecipazione alle responsabilità della gestione. E nel riordinamento previsto comprendiamo la concentrazione in apposito ente di tutte le partecipazioni statali nel settore di ricerca, produzione e distribuzione di energia di qualsiasi specie, in modo da affidare con successo ad esso un intervento sistematico diretto ad integrare le manifeste insufficienze della iniziativa privata ed a sostenere con efficacia una doverosa politica regolarizzatrice della distribuzione dei prezzi dell’energia, specie secondo le esigenze dello sviluppo del sud e delle aree depresse..[7]. Qui Fanfani esprime tutto il Codice di Camaldoli specie nei suoi Titolo V, VI, VII: il ruolo della collettività nell’economia, il sostegno statale e la compartecipazione dei lavoratori dell’impresa e soprattutto il ruolo dello Stato nel “fallimento del Monopolio”. In questo contesto emerge la figura principe di Enrico Mattei. Contaminato dalle idee di Paronetto e della pattuglia degli economisti cattolici, disegna il ruolo dello Stato nell’economia, nella domanda aggregata e per primo domina la scena economica con quella che abbiamo definito e inquadrato come la Dottrina Mattei, di recente rivisitata e pessimamente reinterpretata. Purtroppo in questi ultimi tempi, in specie nel 2022, anno del sessantesimo anniversario della scomparsa di Mattei, si è sviluppato il revival della cosidetta “Dottrina Mattei”, che si limita a reclamare una maggiore incisività dell’ENI in Africa. In vero, la Dottrina Mattei è qualcosa di più complesso che un neo-colonialismo d’opportunità. I DIECI PUNTI DELLA DOTTRINA MATTEI 1- Primo vero interprete delle teorie Keynesiane. Capì il ruolo dello Stato nel controllo del mercato, controllo esercitato in modo democratico ma idoneo a intervenire nel “fallimento del mercato stesso” quando cioè esso segue regole liberiste, non soggette a modulazione e si adopera con atteggiamento monopolista. La presenza egemonica delle Holding straniere, USA principalmente poi riunite nel Consorzio OPEC, aveva turbato le leggi del mercato determinando le commodities quali strumento di controllo degli Stati o Nazioni in cui era presente con queste modalità. Dunque lo Stato nel controllo del c.d. fallimento del mercato per aumentare il reddito, lo sviluppo, l’occupazione e i salari dei lavoratori, riducendo il costo marginale del lavoro. Da questi principi nacquero le Partecipazioni Statali. 2- Questa politica portò come conseguenza la ricerca di fonti energetiche al prezzo più basso possibile per fornire energia all’Industria, far ripartire la produzione, l’occupazione e lo sviluppo e fu così che si realizzò il c.d. “miracolo economico”. 3- Intuì l’allineamento dello sviluppo attraverso i fossili. il loro eccessivo utilizzo oggi tuttavia ci ha portati a dover disallineare progresso da sviluppo industriale. 4- Fu il promotore della politica dei Beni Pubblici Sociali, di cui energia, elettricità, welfare erano cardini essenziali. Dopo la legge 136/53 che istituiva l’Ente di Stato sugli Idrocarburi, nel 1962, fu nazionalizzata l’energia elettrica (L. 1643/62) per ridurre l’offerta a “macchia di leopardo”, consentire un’equa distribuzione con l’introduzione delle “fasce sociali” ai fini dell’esazione del tributo dovuto, la bolletta. Un esempio di questa politica volta all’interesse generale del Paese è dato dalla riduzione drastica della filiera (dalla esplorazione alla perforazione, alla estrazione, alla distribuzione). Più tardi tutte le Holding, ivi compresa l’ENI, specie nella fase di sviluppo dell’Eurasia hanno avviato la politica dell’aumento della filiera mediante appalti seriali, i quali hanno portato alla conseguenza di un drammatico aumento dei prezzi. Tab.2.
5- Questa politica solidaristica portò poi all’esigenza di fornire ai cittadini un Servizio sanitario nazionale universale per tutti i residenti nel Paese. Nacque la prima riforma del Sistema Ospedaliero (L.133/68) seguita poi dalla Riforma Generale del SSN (L.833/78). 6- Acquisire il Nuovo Pignone significò produrre tecnologia utilizzabile dall’ENI senza ricorrere ad altri fornitori. Costruirsi attrezzature “in casa” e poi rivenderle ai Paesi Estrattori sotto forma di Banca Tecnologica dei Pagamenti, evitando, sia pure in parte, pagamenti pronto cassa. 7- Il Mattei “Uomo Politico” fu il vero esportatore della democrazia nei Paesi ex-Coloniali (Egitto, Algeria, Nigeria) con il sostegno ai fronti di Liberazione come quello di Ben Bella o il sostegno a Gamal Nasser o a Tito. Con questi organizzò la riunione di Bandung (Primo Convegno Afro-Asiatico, aprile del 1955) costituendo poi a Belgrado nel 1961 il Gruppo dei Paesi non Allineati che facessero da “cuscino geopolitico” ai due imperialismi: USA e URSS. Mattei ebbe un ruolo nell’organizzazione di Bandung? La risposta è certamente sì. 8- Centralità petro-geopolitica del Mediterraneo. Aveva intuito le potenzialità di questo mare per il gas & oil. Oggi grazie all’ENI, il rinvenimento dei giacimenti di Zohr, Aphrodite, Tamir e Leviathan nel Mediterraneo Orientale consegna la più vasta riserva petrolifera, quasi superiore a quella arabica e al South Pars/North Dome, tra le coste qatarine e iraniane. Il Mediterraneo secondo la concezione del Presidente non era però solo lo Scacchiere di maggiore efficienza estrattiva ma era divenuto (tra Suez, Bandung, la stessa crisi ungherese del 1956) l’area in cui si doveva intervenire per attenuare le tensioni Est-Ovest. La centralità geo-petrolifera del Mediterraneo finiva per coincidere con la centralità della geopolitica mondiale. Ciò che si sta rivelando di cogente attualità. 9- Mattei, prima di Olivetti, fu anticipatore del welfare aziendale, inteso non solo nel senso del sussidio o aiuto diretto ai suoi dipendenti, come nella concezione di Adriano Olivetti, ma intuì il ruolo dell’azionariato diffuso, anticipando il concetto del partenariato. Aveva creato un’Azienda Multifunzionale corredata di servizi accessori, dai Motel, alle stazioni di servizio, agli impianti sportivi al concerto di attività joint con altri Enti. 10- Etica in politica e nella gestione aziendale. In politica, dopo la resistenza, terminò la sua attività nel 1953 con la 1a Legislatura dopo aver redatto la Legge istitutiva dell’ENI. Avrebbe potuto diventare Ministro o assumere alte cariche dello Stato: il suo interesse era proteggere l’ENI quale fornitore di Servizio Pubblico. Quello che fece in politica fu ancillare soltanto a questo scopo. La sintesi sinottica di quanto sopra è raffigurata in Tab.3.
[1] Articolo liberamente tratto dai Capitoli 1 e 2 del II Tomo dell’Opera “ Conseguenze Economiche delle crisi globali”, Agora&Co, in press, 2023, a cura di A.Ferrara.
[2] Torresi T. Sergio Paronetto, intellettuale cattolico e stratega dello sviluppo. Il Mulino Bologna, 2017.
[3] In nuce gli artt. 2, 3 Cost.
[4] Evidente anticipazione degli articoli sui Principi Fondamentali della Costituzione, artt. 2,3,6.
[5] I diritti di partecipazione, politici e di esercizio di espressione sono anticipatori degli artt.17-18-19-20-21, sulle libertà associative, politiche e di espressione, nonché degli artt. 48 sul diritto di voto e 49 sulla libertà associativa.
[6] Da questo articolo 72, i Costituenti hanno preso spunto per stilare l’art. 42 della Costituzione che recita: “La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.”
L’argomento è oggi di grande attualità perché è in corso un pubblico dibattito sui Beni comuni e la loro nuova possibile articolazione (par. I Beni Comuni). Questi si devono differenziare dai beni demaniali per il costante e dovuto uso da parte della collettività con la più recente classificazione dei Beni Pubblici e Beni sociali, escludibili e non rivali, da cui nasce il concetto di Beni Materiali Sociali quali energia, trasporti etc e Beni immateriali quali salute, istruzione e cultura.
[7] Camera dei Deputati, Assemblea, Resoconto stenografico. III Legislatura, Seduta del 9 luglio 1958, p. 102.
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