Ambiente

Una TAV che sa di tappo

6 Novembre 2014

Questa mattina a Roma  è in corso una Conferenza dei Servizi sul neofinanziato tracciato TAV Brescia-Verona, una di quelle riunioni esoteriche dove si sa che si decide altrove e dove i sindaci dei Comuni coinvolti sono più interessati a capire quali sono gli indennizzi che arrotonderanno il magro bilancio dei comuni piuttosto che valutare l’impatto delle opere. Utile ammaestramento per questi sindaci  fu la vicenda dei colleghi più a ovest coinvolti nella  BREBEMI, quella autostrada semideserta Brescia Bergamo Milano che però non passa da Bergamo e che per questi “indennizzi” ha più chilometri di raccordi e opere complementari che di percorso a pedaggio.

La TAV nel basso Garda è il prototipo delle storie italiane. Ipotizzata negli anni ’90 procedette con la lentezza del bradipo fino al 2003, anno in cui fu approvato con molto silenzio per non suscitare allarmismi lo studio di impatto ambientale su un percorso che  arava letteralmente una zona relativamente importante per l’economia locale, all’epoca concentrata sul turismo solo rivierasco di campeggi e famose discoteche. Negli anni i produttori di Vino Lugana radunati intorno al loro Consorzio di Tutela hanno però cominciato a investire nel loro lavoro pettinando ettari di terre intorno alla storica torre di San Martino che ricorda la sanguinosa battaglia risorgimentale di Solferino e la nascita della Croce Rossa inventata da Dunant, un  medico svizzero che si trovo’ qui a curare feriti di ogni nazionalità tra loro mescolati nei disordinati scontri di zuavi, bersaglieri e Jaeger. Nella campagna ormai diventato uno splendido pezzo di Toscana nell’entroterra Gardesano uno dei vignerons ha provveduto a restaurare le lapidi che appese sulle mura delle diroccate cascine raccontano gli episodi di quella confusa e durissima battaglia. Percorsi cicloperdabili si perdono tra le colline e agriturismi raffinati ospitano turisti dalle Americhe e Bavaresi alla caccia di tranquillità, vicini ma lontani dal fanatismo salutista dell’alto Garda e dalla chiassosa e nottambula vita delle rive lacustri tra Desenzano e Gardaland. Il Lugana è  un vitigno raffinato e molto costoso da coltivare su fazzoletto di meno di mille ettari ed è il perfetto complemento per il turismo italiano perché circa l’80% della produzione viene esportata a confortare le buie serate nord europee con i suoi riflessi e i suoi bouquet. Attorno ad esso si è rilanciato l’olio del Garda, venduto a prezzi impensabili per il resto d’Italia e  manifestazioni letterarie e storiche che animano una stagione turistica in controtendenza con il resto d’Italia. Insomma, un piccolo paradiso dove l’intraprendenza individuale ha dato frutti sociali ed economici per il territorio e per Paese di straordinario valore, qualità e prestigio.

Bene, il bradipo sotto spinta di Matteino si è risvegliato e il ministro Lupi vuole avanzare verso est con sbancamenti, nuove cave, cavalcaferrovie da 12 metri di altezza nel bel mezzo di quella che 15 anni fa era terra agricola di relativo valore e oggi oggetto di cure e investimenti e tutele  ambientali spontanee come in poche parti del nostro paese. Alla richiesta di effettuare una nuova Valutazione di Impatto Ambientale i ministeri interessati, Trasporti e Interno (per le note questioni di ordine pubblico) hanno glissato nella logica del Fare e del Fare in Fretta.

Insomma, una storiaccia italiana dove il Pubblico si muove secondo tempi, progetti e metodi  tecnicamente e tecnologicamente datati con logiche del secolo scorso mentre il privato nel frattempo ha corso e virtuosamente. Poco importa oggi stare a calcolare se su mille ettari ne andranno persi fisicamente cento o trecento, la questione riguarda l’impatto di lungo periodo su ciò che resta, su un turismo di qualità che del fischio del treno non sa che farsene. Ci sono soluzioni? Basta metterci la zucca. Il progresso tecnologico permetterebbe oggi rispetto a dieci anni fa di far scivolare la TAV sulla linea ferroviaria esistente con un netto miglioramento qualitativo, un bassissimo impatto ecologico e un altrettanto scarso impatto sulla velocità di esercizio. Chi come me si occupa di processi di innovazione industriale sa che le soluzioni migliori sono quelle più intelligenti e più semplici, a prova di stupido, anche se per metterle in atto magari bisogna fare meno appalti e meno opere in cemento e investire più in silicio e materia grigia. Certo, il limite di velocità sarebbe a “soli” 250 km/h ma la cosa divertente e’ che, come si dice, tra Brescia e Verona “si va da lí a là” in una manciata di chilometri: un esperto del settore, l’ingegnere ferroviario Aldo Molinari, scrive che per portare alla massima velocità un Frecciarossa serve un abbrivio di trenta chilometri e per fermarlo un’altra dozzina. Il che significa che tra le due stazioni rimangono meno di trenta chilometri per mostrare i muscoli.  E per una manciata di chilometri dovremmo cancellare un gioiello  italiano? No, se il ministro Lupi vuol fare una pessima figura di falso efficientismo lombardo noi non vorremmo proprio permetterglielo: alle bottiglie molotov della Val di Susa contrapponiamo con intelligenza e rispetto una bottiglia di buon Lugana ma una TAV che sa di tappo….. per cortesia no.

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