Ambiente
Troppe chiacchiere
I venerdì per il futuro, incollarsi alle opere d’arte nei musei, lasciare vivere incondizionatamente i cinghiali e i lupi, utilizzare le auto elettriche, e tutta una serie di minchiate colossali richieste da una masnada di giovani insulsi che non sanno più come riempire il loro tempo e allora si inventano movimenti centostelle, sardine, tonni, eccetera, vanno a fare compagnia alle sentinelle in piedi, agli influencer che fanno smaniare le ragazzine per i calzoni strappati o per il rossetto ultimo grido, o la borsetta così e cosà e ad altre dissipazioni di pseudointelligenza e manifestazioni di molestia intellettuale, almeno per il mio povero cervello che fa lo slalom tra le notizie veramente importanti, quelle a cui si dovrebbe fare veramente attenzione, che ci informano su ciò che ci sta davvero cambiando la vita e il nulla mediatico.
Vorrei un 2023 meno idiota, se permettete, credo di meritarmelo. Io parlo per me, chiuso nel mio egoismo privilegiato, ma da cui osservo come veramente la maggior parte dell’umanità insegua il nulla. Premesso che la maggior parte della gente, almeno dalle nostre parti, secondo le statistiche, sembra aver superato la soglia della maturità anagrafica (quella intellettiva è ormai una chimera), e che quindi ci sono sempre meno giovani, pregherei i giovani rimanenti di utilizzare con profitto le forze fisiche che la loro età concede e dare una maggiore attenzione alla ginnastica per i loro neuroni, perché, visto che il futuro è indubbiamente anche loro, potrebbero rifletterci un po’ meglio.
Potrebbero, per esempio, riflettere e convenire che le maniere di protestare che hanno utilizzato finora, grazie a quella pisquana di Greta, termine utilizzato, anche con proprietà, in varie situazioni da Vittorio Feltri, è perfettamente inutile perché non porta assolutamente a nulla. Né d’altro canto coloro che si incollano ai quadri dei musei ottengono alcunché, ma nemmeno a livello logico: v’importa più di un quadro o del pianeta? Ma che discorsi sono? Ma si pongono mai coloro il problema che è un sillogismo che non sta in piedi? Recano solamente o un danno quando il quadro non è protetto da un vetro, com’è successo, oppure un fastidio ai visitatori, che hanno pagato un biglietto per vedere il museo che sarà inevitabilmente chiuso per liberare dalla colla protestanti e opere d’arte, con un dispendio di soldi e di energie per la comunità. Nient’altro che questo. Io mi chiedo se coloro abbiano tutte le rotelle a posto e non necessitino in realtà di un’accurata terapia psicologica, per individuare qual è il vero problema per sé stessi.
Sprono i giovani, e anche quelli meno giovani, che mi leggeranno a riflettere, se ne saranno capaci, e a individuare nuove maniere di protesta, magari ispirati dai pochi esempi che farò, inventarne di nuovi, senza nuocere ad alcuno e forse ad agire positivamente sull’ambiente e, quindi, sul loro futuro.
Io, quand’ero bambino e adolescente, ero molto attratto dalla natura e ne studiavo, coi mezzi che c’erano all’epoca (l’accesso a una rete era solo fantascienza e non c’erano distrazioni nocive come i video games o le play station), i segreti, su libri, principalmente, ma anche sul luogo. Avevo la fortuna infatti di andare spesso in montagna colla mia famiglia e di girovagare libero per i boschi, facendo conoscenza di piante e animali, fermandomi spesso a osservarli. La mia curiosità mi faceva prendere i semi di alcune piante per poi piantarle sul terrazzo di casa, già affollato dalle piante di mia nonna, e di veder crescere quelle piante. Spesso erano arbusti o alberi che, se prendevano, si tramutavano presto in piante adulte. Io, quando non era più possibile travasarle, prendevo la pianta e una paletta e uscivo, al pomeriggio, senza dire a nessuno cosa andavo a fare. Poi prendevo l’autobus e andavo fino al terminal di alcune linee. Allora la città di Palermo non era così grande come oggi e molte aree collinari erano ancora libere da urbanizzazioni. Era facile quindi arrivare in zone selvatiche dove non c’era nulla. Ecco, lì sceglievo un posto dove pensavo che la mia piantina potesse avere un futuro migliore ed espandersi e la piantavo. Lo facevo, ovviamente, nelle stagioni più piovose, in modo che la piantina non soffrisse l’aridità tipica della Sicilia in estate, in genere da ottobre a dicembre e magari non attecchire.
Mi rendo conto che posso apparire come un alieno, ma ho continuato a praticare questa follia fino ai sedici anni. Quando iniziai ne avevo tredici e credo di aver piantato così almeno una ventina di alberi. Sono tornato poi sui luoghi dove avevo piantato i giovani alberelli e con gioia ho scoperto che alcuni erano sopravvissuti e si erano ingranditi. Poi, la gioventù mi portò a interessarmi anche di altro, senza però perdere il piacere di coltivare le piante. Piantai, ricordo, soprattutto pini da pinoli, perché era facile reperire pigne e pinoli, poi cipressi, frassini, noci, delle rose canine, un paio di nespoli, un leccio e una roverella, un melograno. Piante mediterranee.
Mi chiedo se tutti questi pisquani che seguono le orme di Greta sappiano cosa significa seguire la nascita e lo sviluppo di una pianta e che, se facessero come ho fatto io, avrebbero una maggiore coscienza di ciò che la natura è, anziché questa coscienza sublimata e incompleta di un cambiamento climatico, per di più sempre in atto, che minaccia tutto il pianeta.
Peraltro, oggi, coi mezzi d’informazione che ci sono a disposizione, trovare dei tutorial per la coltivazione degli alberi dal seme fino alla messa a dimora è facilissimo. Basta volerlo fare, basta fermarsi e pensare, basta individuare delle terre abbandonate e immaginare come potrebbero essere con delle piante. Basta non usare la tecnologia solo per i giochini e tiktok.
Ecco, questo potrebbe essere qualcosa d’interessante. Se molti giovani, almeno quanti sono quelli che protestano il venerdì seguendo le orme di Greta e di quelli come lei che non avranno mai piantato manco un seme nella loro giovane vita, si dedicassero alla coltivazione e poi andassero in massa a riprodurre una foresta dove adesso c’è il nulla e poi riprendessero l’evento col telefono, che non sanno nemmeno usare proficuamente se non per farsi video da bimbiminkia con gavettoni o altre amenità, per poi trasmetterlo sui social, forse qualcosa si smuoverebbe. Immaginiamo decine, centinaia, migliaia di giovani che vanno a piantare delle palme da datteri, venute su dai semi sputati e solitamente buttati via, lungo i fiumi del Sud Italia o le loro foci, oppure tra le pietre di un promontorio brullo, oppure in campi abbandonati. Anche se molte piantine non avessero un futuro, perché poi bisogna anche starci dietro, non basta piantarle e abbandonarle, potrebbe essere un pallido inizio di ripresa della natura in zone desolate. Ma non solo. Sarebbe anche, colla diffusione via social, una manifestazione di un desiderio di natura, di ripristino dell’ambiente, almeno un segnale. E credo anche che, qualora queste iniziative spontanee vengano fatte notare alle persone giuste, si potrebbero sensibilizzare i governi a provvedere al territorio. Di certo credo che nessuno si potrebbe indignare davanti a un’iniziativa come questa.
Ecco, se anziché andare a protestare vuotamente davanti a parlamenti e istituzioni con cartelli scritti, slogan e basta si dimostrasse di cosa si è capaci di programmare, quindi un’azione che prima di tutto fosse pensata, poi sviluppata e infine compiuta, l’opinione pubblica ne sarebbe maggiormente scossa. In più sarebbe qualcosa che resterebbe concretamente e non una vacua protesta di cui pochi si ricorderebbero finiti i fuochi. Già Greta Thunberg è superata, chi se la fila più ormai? Di tanto in tanto riappare perché la sua agenzia di marketing ha bisogno di rinverdire l’interesse ma ormai è un prodotto mediatico superato, perché l’infanzia e l’adolescenza sono passate e non c’è più la freschezza di una bambina autistica che protesta per l’ambiente e per il suo futuro. Bruciata, via, ormai l’appetito mediatico è appagato, come volevasi dimostrare. E, mentre un tempo la osannavano e le facevano stringere le mani di papi, presidenti della repubblica, sovrani, oggi la polizia se la carica di peso e se la porta via.
Un’azione concreta e supportata da un autentico pensiero è una cosa diversa. E sarebbe ancora più diversa se gli studenti manifestassero per ottenere almeno due ore in più di studio dell’ecologia obbligatorie alla settimana, all’interno dell’orario scolastico, dalle elementari alle superiori, anziché quell’inutile ora di religione che fa più danni che altro. Ore di teoria e di pratica, passate all’aperto a studiare la natura e le sue leggi, magari con visite regolari a giardini e orti botanici, viaggi d’istruzione in parchi nazionali anziché nelle solite città d’arte che, per carità, possono sempre essere utili ma non fatte come vengono fatte. Magari in aggiunta. Di certo la consapevolezza di quei giovani diventerebbe assai maggiore. Protestare serve a poco, abbiamo visto. Compiere qualcosa, invece, potrebbe fare la differenza.
Non è la soluzione ai problemi, naturalmente, perché mancherebbe di organicità, di un serio studio dell’ambiente e delle sue esigenze, di come si recupera un terreno degradato (cosa che spetterebbe ai governi!), di come si deve curare, difendendo per esempio le giovani piantine dal pascolo naturale o pianificato. Perché anche i cinghiali o i caprioli possono essere nemici di un recupero ambientale e distruggere i tentativi umani di recuperare un terreno degradato. Tutti quelli che difendono gli animali selvatici a oltranza, senza capire che un eccesso di codesti animali è una iattura, diventano dei nemici dell’ecologia.
L’equilibrio è la parola migliore che si può utilizzare per sancire il recupero di un ambiente. E l’equilibrio passa per diversi parametri, che sono la densità abitativa dell’uomo, il degrado reale di un territorio, la sua storia, le sue caratteristiche morfologiche, la fauna e la flora che c’erano e che possono convivere oggi, in base ai cambiamenti del clima, eccetera. Chi crede che reintroducendo la fauna selvatica si possa tornare all’età dell’oro è un cretino. Insieme alla fauna ci vogliono le piante di cui gli animali si nutrono, altrimenti verranno a cercare nei nostri rifiuti. E se gli animali si riprodurranno troppo distruggeranno l’ambiente, perché gli animali non ne hanno coscienza: se un ambiente è ormai desertificato quelli passano a colonizzarne un altro, senza tentarne un recupero come può fare l’uomo perché dotato di intelletto, sono incapaci di una programmazione per loro natura.
I giovani dovrebbero anche pensare che due dei problemi fondamentali del mondo e della sua conservazione sono proprio la sovrappopolazione e la densità abitativa. Se studiassero l’ecologia seriamente se ne renderebbero conto. E farebbero un pernacchione ai difensori della procreazione e della famiglia, papi e fasciocattolici compresi. Siamo già otto miliardi sulla Terra, troppi. Non ho mai sentito una parola da Greta Thunberg e dai suoi seguaci rispetto al tema della sovrappopolazione e della densità abitativa. E se avesse dovuto dirlo e mi fosse sfuggito vuol dire che non l’ha gridato abbastanza forte. Si sono sentite unicamente delle lagne costanti che l’anidride carbonica ci ucciderà tutti, senza sapere né capire che cosa sia veramente l’anidride carbonica né conoscere come funziona realmente il pianeta.
Ecco, se i giovani dei venerdì per il futuro iniziassero a pensare e a studiare, e anche a rimboschire i campi abbandonati, i risultati potrebbero essere tangibili nel giro di pochi anni.
Ebbene, sappiate che quello che io ho descritto come un desiderio avviene già. Ma pochi ne parlano, ammorbati dalla svedesina che nella comunicazione di massa è riuscita a sfondare non facendo nient’altro che blaterare, provocando ondate di pietà per la sua situazione e per come la famiglia l’abbia supportata in questa sua idea fissa. Ci sono cascati tutti, dai politici ai religiosi agli attori. Io l’ho subito detestata, invece, proprio perché mi ha ripugnato lo sfruttamento dell’immagine di una povera bambina autistica colle sue ossessioni da parte dei genitori e di altri che stanno nell’ombra per renderla un fenomeno mediatico e farla apparire come la salvatrice dell’umanità senza fare assolutamente nient’altro che lamentarsi. Ovviamente con un ritorno mediatico e anche economico, va da sé, per tutti.
Un altro bambino, esattamente come feci io cinquant’anni fa, fu folgorato da una lezione sulla fotosintesi clorofilliana a scuola e piantò un alberello nel giardino del suo istituto. Era il 27 marzo del 2007. Il bambino, che all’epoca aveva nove anni, era Felix Finbeiner, bavarese. Da allora Felix, a poco a poco, è riuscito a coinvolgere molti giovanissimi e le loro famiglie in Germania e, spontaneamente, senza alcuna programmazione, sono stati piantati, solo nel suo paese, oltre 150.000 alberi. Cosa fa Felix col suo movimento Plant for the Planet – Trees for climate justice? Lo presenta nel 2011 all’Assemblea delle Nazioni Unite e, davanti ai rappresentanti dell’ambiente dei governi di 45 nazioni, trasforma il suo movimento in fondazione, che dirige a soli 13 anni. Oggi Felix ha 23 anni e in tutto questo tempo è riuscito a creare una catena di 1.200 accademie in tutto il mondo, dove ragazzi tra i 10 e i 14 anni imparano a conoscere il pianeta e le sue leggi, capendo che la soluzione migliore per contrastare il cambiamento climatico e assorbire più anidride carbonica sia la cosa più semplice: piantare alberi. Il suo motto? “Stop talking, start planting” ossia “Basta chiacchiere, inizia a piantare”. È ciò che ho sempre fatto. Adesso Tocca ai giovani del venerdì buttato via.
Ne avete mai sentito parlare? Ovviamente le cronache sono riempite solo dalle lagne di chi si attacca ai quadri o da chi blatera e basta. Stop talking, start planting. Non ci vuole niente.
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