Ambiente
Tha Spark, arriva in Italia il documentario su ZAD
E’ possibile un altro mondo che metta al centro la questione sociale e ambientale? Recupere il rapporto dell’uomo con il suo habitat planetario e utilizzarne le risorse in modo più sostenibile, è un’utopia o un’istanza di giustizia realizzabile? Sono questi gli interrogativi che suscita The Spark, il film di Valeria Mazzucchi e Antoine Harari in concorso al 24° Festival CinemAmbiente che è stato in programma dal 1 al 6 ottobre. Il documentario, che arriva per la prima volta in Italia dopo essere stato selezionato al festival internazionale Visions du Réel, segue per oltre tre anni gli abitanti della Zad di Notre-Dame-des-Landes, la “Zone à défendre” sorta sin dal 2008 nei pressi di Nantes per impedire la costruzione di un contestato aeroporto. Del film e dell’esperienza di ZAD abbiamo parlato con i due autori di questo prezioso documentario.
Alle parole bisogna volere bene come all’ambiente in cui viviamo. Le parole hanno sempre una loro origine specifica, cominciamo da ZAD allora.
ZAD è un acronimo che ufficialmente significa “zone d’aménagement différé”, indicando una zona dove lo stato o altre entità hanno un diritto di prelazione su tutte le vendite. Questo è utilizzato soprattutto su dei territori destinati a grandi opere pubbliche, come nel caso della ZAD di Notre-Dame-des-Landes per la costruzione di un aeroporto. Delle assemblee contadine della zona, già negli anni ’70, si organizzarono per difendere questo territorio contro la costruzione dell’aeroporto e furono raggiunte in seguito da degli appartenenti a dei movimenti ecologisti, militanti e anarchici che hanno occupato queste terre. E’ in questo momento che l’acronimo ZAD prese un nuovo significato, rinominato dagli abitanti in : ZAD, une ZONE à DEFENDRE, una zona da difendere.
Il film-documentario, di cui è disponibile in rete il trailer, cala lo spettatore in un ambiente che è fatto di tantissimi interrogativi, uno su tutti è se questo in cui viviamo sia l’unico modo possibile.
E’ sicuramente questa una delle domande centrali che ci ha spinto a realizzare questo film e che ci ha accompagnati durante la sua elaborazione. Noi stessi e con noi tanti delle nostra generazione guardiamo alla società contemporanea con una profonda disillusione, e spesso con la sensazione d’impotenza rispetto al poter cambiare qualcosa. Andare alla ZAD è stato andare alla ricerca di possibilità concrete di alternative. Non pensiamo alla ZAD come l’esempio di un mondo perfetto o ideale. L’esperienza di Notre-Dame-de-Landes ha anche difetti, errori e debolezze, ma ha la forza di essere un tentativo concreto di qualcosa di diverso. Ed oggi avere degli esempi di luoghi dove si sperimenta, si sbaglia, si riprova e ci si mette in gioco ci sembra importantissimo per aprire i nostri stessi immaginari verso qualcosa di diverso e in cui aver voglia di investirsi e credere.
In un contesto di occupazione come quello di una ZAD la gente come lavora, cosa guadagna, i figli come vengono cresciuti? Detto per esteso quale è il costo umano di opporsi a uno status quo ormai dato per scontato?
La vita sulla ZAD è una vita intensa. Ogni giorno ci sono diversi “cantieri” in cui gli abitanti partecipano per contribuire collettivamente al fabbisogno della zona. Si varia dal cantiere di raccolta delle verdure, a quello per la costruzione delle capanne, a quello delle erbe medicinali, fino all’organizzazione della biblioteca o della musica. Alla ZAD i bambini vengono spesso cresciuti secondo la co-parentalità in cui i referenti non sono solo i genitori, ma anche altre persone con cui vengono condivisi i luoghi di vita. Quando crescono, sono iscritti alle scuole della regione (ad esempio alla scuola bretone). Vivere alla ZAD significa rinunciare anche a molti agi e comodità che fanno parte della nostra vita quotidiana, scegliendo una vita radicalmente più semplice.
Lo sgombero della ZAD è avvenuto tenendo alla larga le telecamere. Comunque la notizia dell’azione di polizia sarebbe arrivata lo stesso alla gente, allora perché tenere i giornalisti lontani dalla scena?
Durante i primi giorni delle espulsioni il perimetro della ZAD di NDDL è stato vietato d’accesso ad alcuni giornalisti. La volontà immaginiamo era quella di evitare la mediatizzazione delle operazioni che ricordiamo hanno implicato un grandissimo dispositivo della gendarmerie francese (tanks, droni, elicotteri) in quella che è stata definita la più grande operazione della polizia da maggio 68. La ZAD di NDDL è comunque un simbolo in Francia. Quando il governo di Hollande aveva provato con l’opération Cesar (2012) a sgomberare la ZAD, 40 000 persone da tutta la Francia erano arrivate a sostenere il movimento, bloccando le autostrade e partecipando alla ricostruzione di tutte le capanne che erano state distrutte. Macron molto probabilmente aveva paura di un’analoga reazione da parte della società francese.
Dopo il tentativo di sgombero del 2019 la ZAD ha continuato a esistere e oggi, alla luce di quanto avvenuto dopo il coronavirus, è diventata anche simbolo di un modo di vivere più sostenibile. La televisione francese è tornata a raccontare che un modo diverso di vivere è possibile?
Sicuramente la ZAD oggi rispetto a tre anni fa ha un nuovo pubblico. Ce ne siamo accorti noi stessi vedendo cambiare le reazioni dei nostri interlocutori rispetto a questo progetto, che prima consideravano potesse interessare solo a un pubblico di nicchia e in seguito al COVID si è aperto ad un interesse molto più ampio. L’esperienza della ZAD non si può ridurre semplicemente all’esempio di un vivere più sostenibile, ma sicuramente questo lato della loro esperienza è quello che oggi risuona di più e che molto probabilmente ha portato la televisione francese a raccontarla in questo modo.
Sinossi del documentario
Situata a circa 30 km dalla città francese di Nantes, la ZAD (Zone to Defend) di Notre-Dame-des-Landes è uno dei più grandi spazi autonomi d’Europa. Occupando quasi 2000 ettari di foresta, questo movimento ha riunito una moltitudine di persone alla ricerca di un modo di vivere alternativo. Mettendo in discussione molte delle regole della nostra società, sia dal punto di vista abitativo che economico e decisionale, i residenti della ZAD esplorano le possibilità di un diverso modo di vivere. Questo luogo è diventato un crocevia per diversi movimenti contestatari da tutto il mondo. Il 2019 è stato un anno difficile per la ZAD di Notre-Dame-des-Landes: il governo Macron ha deciso di abbandonare il progetto d’aeroporto che era previsto su quelle terre e ha predisposto lo sgombro degli occupanti con l’intervento di 2500 poliziotti. The Spark (L’Étincelle in francese) segue la quotidianità di alcuni di questi residenti durante questo anno critico e si interroga sulle possibilità di cambiare il modo in cui viviamo come società.
Qui il trailer: https://vimeo.com/529206738
Autori del documentario
VALERIA MAZZUCCHI
Valeria (1990) dopo aver studiato relazioni internazionali e diritto internazionale all’Università di Ginevra, ha seguito una formazione in documentario agli Ateliers Varan (Francia). Ha vissuto in Svizzera, Turchia e Sicilia. I suoi documentari sono stati presentati in diversi festival internazionali e sulla televisione svizzera e francese. Nel 2020 ha co-fondato la casa di produzione Futur Proche.
Filmografia:
Lost Cells, in sviluppo
Dönüs-Retour, 50 min, documentario, Italia, 2017
Motel Hasankeyf, 27 min, documentario, Kurdistan, 2015
ANTOINE HARARI
Antoine Harari (1987) è un giornalista investigativo freelance che divide il suo tempo tra la Svizzera e la Sicilia. Ha prodotto numerosi reportage e inchieste per i media svizzeri principalmente a Malta, Cipro del Nord in Lussemburgo e in Sicilia. Nel 2020 ha co-fondato la casa di produzione Futur Proche.
Esperienza professionale recente:
2021 Produzione di un Temps Present a Ginevra
2020 Produzione di un’esplorazione in undici parti sull’affare Rybolovlev- Bouvier per il media Heidi.news
2020. Pubblicazione di un rapporto investigativo sul ruolo svolto da una società svizzera nel traffico di petrolio in Libia per l’ONG Public Eye.
Devi fare login per commentare
Accedi