Ambiente

Terre pubbliche, modello Roma vs Governo Renzi

5 Novembre 2014

Ci sono voluti tre anni di rivendicazioni per mettere al centro dell’agenda politica di Roma la valorizzazione delle terre pubbliche. Un periodo “breve” per la Capitale che poco più di un anno fa era alle urne e che ieri ha visto il sindaco Ignazio Marino assegnare le prime tre aree, comprensive di casali da ristrutturare, ad alcuni giovani agricoltori, mentre gli uffici del Patrimonio e dell’Ambiente lavorano già al prossimo bando. Tempi decisamente accettabili anche se paragonati a quelli di altre vertenze che nascono dal basso e lì rimangono impantanate.

Non è l’epilogo per il secondo comune agricolo più grande d’Europa, certo, ma quello che tre anni fa si è dato come slogan “Terre pubbliche ai giovani agricoltori” è un percorso che raccoglie i primi frutti buoni, ed è senza dubbio un nuovo modello di “movimentismo”, originale nell’analisi dei contenuti e nella struttura delle mobilitazioni. Perché la vertenza non si è irrigidita sui linguaggi né sulle rappresentanze, si è aperta alla partecipazione di un pezzo sostanziale della società civile e ha dialogato senza subalternità con la politica, affascinando categorie di settore, sindacati e associazioni. Soprattutto ha tenuto in equilibrio le proteste con le proposte, cogliendo le debolezze dei romani cresciuti all’ombra delle cementificazioni, tenendo insieme l’interesse pubblico e quello intimo di un pugno di ragazze e ragazzi – perlopiù disoccupati – che manifestavano il bisogno di lavorare la terra come era accaduto in città negli anni ’70 (e come avviene ciclicamente nella storia del lavoro agricolo di questo Paese), teatro di occupazioni agricole importanti che resistono sul mercato ancora oggi. Braccianti e agronomi, cuochi e architetti, educatori e antropologi che due anni fa si sono costituiti nella Cooperativa Agricola Coraggio e che sono stati capofila del movimento romano per l’accesso alla terra. Gli stessi che ieri si sono aggiudicati con un progetto di agricoltura multifunzionale una delle tre aree messe a bando nel quadrante nord di Roma. L’altra, sempre a nord, sarà gestita dal più giovane tra i vincitori, il 21enne Daniel Burrai e infine in una delle aree di pregio a sud dell’Agro romano il 33enne Mario Sonno svilupperà agricoltura sociale.

Il Comune di Roma insomma, e qualche mese prima l’Arsial (l’Agenzia della Regione Lazio che si occupa di agricoltura) hanno segnato uno spartiacque sensibile – nonostante la proposta di legge del Lazio che va nella direzione di affidare le terre pubbliche ai giovani in affitto sia ferma – con il modello proposto dal Governo Renzi nel decreto “Terrevive” (suggestivo il nome, bisogna riconoscerne il merito): vendere il patrimonio pubblico, all’asta e al migliore offerente. Con un decreto datato 20 maggio 2014 che reinterpreta la legge n.44/1978 (‘Norme per l’utilizzazione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate’) nata invece non solo per il recupero produttivo ma anche per la “salvaguardia degli equilibri idrogeologici e della protezione dell’ambiente”. Così tra qualche anno “se il paesaggio non funzionasse più”, per dirla come l’architetto e collega Marco Ragonese, sapremo dove andare a ricercare qualche radice: ad esempio in quel’80% del patrimonio agricolo finora censito tra i beni del Demanio e degli Enti pubblici a cui il Governo ha posto un un vincolo d’uso di soli 20 anni. I primi avvisi di ‘Terrevive’ sono già online, riguardano la Lombardia, l’Emilia Romagna, la Toscana, le Marche, la Basilicata, la Puglia e la Sicilia. Altri arriveranno nel giro di poco.

Il ministro del Mipaaf Maurizio Martina invece non ha ancora risposto a chi si è fatto venire qualche dubbio: siamo proprio sicuri che i giovani agricoltori potranno competere all’asta e che invece non si solletichino altri appetiti? La base d’asta è di 100mila euro, il corrispondente di circa vent’anni d’affitto per i nuovi agricoltori romani. Solo che nessuna vertenza dopo potrà rivendicare alcun diritto sull’ambiente, sulla salute e sul paesaggio. Perfino il Governo perderà un fondo di garanzia prezioso per gli investimenti. Gli Enti di prossimità iniziano a capirlo. Il futuro delle terre pubbliche è un braccio di ferro ancora più interessante.

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