Ambiente
Su Bears Ears si abbatte Trump, che ha rifiutato di ascoltare i cittadini
Articolo di Fabrizio Goria, tratto da Alpinismi.
Alla fine, dopo tanto timore, l´annuncio definitivo è quasi arrivato. Nel senso che il presidente statunitense Donald Trump non ha ancora confermato le indiscrezioni del senatore repubblicano dello Utah, Orrin Hatch, ma tutti gli indizi portano a quello che potrebbe essere uno dei danni più grandi, sotto il profilo ambientale, dell´amministrazione corrente. Hatch infatti ha spiegato alle agenzie di stampa americane che il presidente Trump è intenzionato a ridurre due fra i più grandi National monument statunitensi, Grand Staircase-Escalante e Bear Ears. Dopo una mossa del genere, se confermata da Trump, è lecito attendersi che saranno altri i parchi naturali a rischio. E così, una delle peculiarità degli Stati Uniti, la wilderness, subirebbe un colpo durissimo.
La notizia era nell’aria, e infatti è giunta. Bears Ears e Grand Staircase-Escalante saranno ridotti. E tutto, secondo le indiscrezioni che emergono dalle comunità locali, verte sulla possibilità di utilizzare le aree dove sono presenti i due National monument per lo sviluppo di attività economiche. Per la precisione, drilling e mining. In italiano, perforazione ed estrazione. Di cosa? Carbone e idrocarburi, ma anche di altre risorse naturali, come vedremo fra poco. Per esempio, secondo i calcoli del sito EcoWatch, confermati anche dal senatore Hatch, nell’area di Grand Staircase-Escalante sarebbe possibile estrarre circa 60 miliardi di tonnellate di carbone. E dato che uno dei capisaldi della campagna elettorale di Trump è stato un progressivo ritorno all’uso del carbone, invece che delle fonti energetiche sostenibili, è facile immaginare che la decisione finale sia stata influenzata da questa promessa.
Nonostante la scelta, rivelata da Hatch, la popolazione dello Utah non sembra essere d’accordo. Gli analisti di Key-Log Economics hanno infatti setacciato, per conto della Wilderness Society di Washington, DC, gli oltre 1,3 milioni di commenti giunti al dipartimento dell’Interno guidato da Ryan Zinke. Ma per mettere in contesto il tutto, bisogna però tornare indietro di qualche mese. tutto nasce dalla decisione del presidente americano Barack Obama, predecessore di Trump, di istituire Bears Ears come National monument. Era il 28 dicembre scorso, ed è stata una delle ultime decisioni di Obama. Trump, che ha prestato giuramento il 20 gennaio di quest’anno, la prese come una offesa personale, come confermato da diverse fonti a lui vicine. Al punto che, una volta confermato Zinke come numero uno del dipartimento dell’Interno, ha chiesto una revisione degli ultimi 27 monumenti nazionali creati nella storia statunitense. Questo processo però deve passare per una consultazione pubblica, al fine di dare la possibilità ai cittadini americani di poter esprimere la propria opinione a riguardo. Nel caso di Bears Ears e degli altri National monument la consultazione è iniziata dunque con la pubblicazione del primo rapporto di Zinke. Questo ha fatto seguito all’Executive order (Eo) del presidente Trump del 26 aprile scorso, intitolato “Review of Designations Under the Antiquities Act”. Infatti, è l’Antiquities Act del 1906, promosso da Teddy Roosevelt, che stabilisce cosa possa essere un National monument e cosa no. Per la precisione, Roosevelt decise di stabilire che un monumento nazionale può essere istituito se esistono le condizioni per la salvaguardia dell’«interesse scientifico» della zona in questione. E questo interesse può essere geologico, biologico, o botanico. Ecco perché Roosevelt cercò di creare una norma capace di essere intoccabile, dando il via alla creazione di aree preservate come la Devils Tower, o il Grand Canyon, o ancora la Muir Woods.
E quello che è emerso dall’analisi di Key-Log Economics è che il 99,2% dei commenti arrivati nel periodo di consultazione pubblica erano contrari alla riduzione dell’area di preservazione dei monumenti nazionali esistenti negli Stati Uniti. Di questi, oltre 700mila sono stati analizzati da un sistema di machine learning. Inoltre, particolare non irrilevante, l’analisi ha incluso solo i singoli commenti avvenuti da un singolo individuo, sia sotto forma telematica sia sotto forma tradizionale, più le petizioni, ovvero i gruppi di soggetti uniti sotto un’unica campana. Questo per neutralizzare i duplicati dei commenti, e per normalizzare l’analisi finale. L’algoritmo utilizzato ha quindi diviso i commenti, e le lettere, e le petizioni, in due grosse macroaree – pro-Eo/anti-Eo – e poi ha passato in rassegna i dati sensibili di chi li ha inviati, dividendoli per Stato e per gli altri dati anagrafici. Il risultato è stato, come spiegato poco sopra, sorprendente: il 99,2% degli americani si è detto contrario all’Executive order di Trump per la riduzione dei National monument. Eppure, questo non ha mutato le idee del presidente. E non le ha cambiate nemmeno l’intervento del più moderato Zinke, il quale si era detto pronto a una parziale apertura verso la società civile, soprattutto dello Utah, che per decenni ha invocato la nomina di Bears Ears a monumento nazionale.
Le comunità che più stanno combattendo non sono solo quelle dei nativi americani, cioè Navajo Nation, Hopi, Ute Mountain Ute, Ute Indian Tribe of the Uintah, Ouray Reservation e Pueblo of Zuni. Ci sono anche l’industria dell’outdoor, così come l’American Alpine Club (AAC), l’equivalente del Club Alpino Italiano, e l’Access Fund, che invece punta alla preservazione della wilderness statunitense. Ma ci sono anche persone comuni, che hanno abbastanza sensibilità da comprendere che i National monument sono un patrimonio da preservare. Sono infatti previsti, nelle prossime settimane, rally di protesta alla Casa Bianca. Non solo per via della cancellazione di parte di Bears Ears e Grand Staircase-Escalante, ma anche e soprattutto per il mancato rispetto della volontà popolare. Il motivo per il quale esistono le consultazioni pubbliche è proprio quello che è stato disatteso in questo caso: la percezione di qual è il sentiment della cittadinanza.
In questo caso, emerge in modo distinto il totale distaccamento dalla realtà dell’amministrazione Trump. Per dirla come l’ha definita una fonte governativa dietro richiesta di anonimato, «è come se si fosse rotto qualcosa». Secondo la fonte «non è solo un problema di interferenze della Russia nella campagna elettorale statunitense, è un problema più ampio, che va a toccare diversi aspetti, fra cui il patto sociale fra cittadino e governante eletto». In altre parole, sebbene non venga citato dalla nostra fonte, è come se si fosse rotto il contratto sociale trattato da Jean-Jacques Rousseau. «Non è mai piacevole quando la volontà popolare non viene rispettata. E questo è uno di quei casi», chiosa la fonte, con evidente malinconia. E se c’è il senatore dello Utah, Hatch, che fa buon viso a cattivo gioco, dicendo che le comunità locali sapevano ed erano d’accordo alla rimodulazione di Bears Ears, c’è anche il dato degli analisti di Key-Log Economics, secondo cui l’88% dei residenti in Utah ha espresso un commento contrario all’applicazione dell’Executive order di Trump dello scorso aprile.
Delle due l’una. O si avvia una consultazione pubblica con l’intento di sentire e tastare l’umore dei cittadini, al fine anche di rispettare l’opinione della maggioranza, oppure si agisce in modo unilaterale. E questo sembra essere il secondo caso, anche per via di diversi indizi che sono passati sottotraccia negli ultimi – convulsi – mesi. Il 22 febbraio scorso, il Grand Canyon Trust ha pubblicato la notizia, confermata dalle autorità governative statunitensi, che il Bureau of land management (Blm), uno dei gestori del patrimonio dei National monument, stava considerando di rilasciare il nullaosta all’espansione della miniera di uranio di Daneros, situata a circa tre miglia (poco meno di 5km) da Bears Ears. E dato che, come confermato dal portavoce di Energy Fuels, gestore della miniera, Curtis Moore, parte dell’autostrada da Daneros verso White Mesa, ove si lavora il materiale, passa per Bears Ears, il timore è che la proposta di espansione della miniera sia stata oggetto di lobbying per la scelta finale di Trump. Sono soltanto supposizioni, sia chiaro, ma a pensar male degli altri si fa peccato ma spesso ci si indovina. E nel caso di Bears Ears, i troppi indizi lasciano intendere che dietro alla decisione di Trump ci siano solo motivazioni economiche, ed elettorali. Il tutto a discapito della volontà popolare, di cui v’è certezza, e della comunità che vive i paradisi della wilderness tutti i giorni.
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