Ambiente

Stefano Rodotà e la rivoluzione soft dell’ordinamento giuridico sui Beni Comuni

16 Novembre 2019

Approda in Parlamento il Disegno di Legge n.1744 per la modifica del Codice Civile nella regolamentazione dei Beni Comuni  http://(http://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/51598.htm). Contestualmente sono state presentate 51.053 firme per la Legge d’Iniziativa Popolare. Inizia un iter parlamentare su quella che potrebbe essere la Madre di tutte le Riforme.

Correva l’anno 1992 quando, eletto O.L.Scalfaro alla Presidenza della Repubblica, Stefano Rodotà, Vicepresidente della Camera, veniva dato Terza Carica dello Stato. Invece ci fu chi, in nome dell’Agenda Politica squassata da Tangentopoli, gli impose di mettersi da parte. Giurista di Prima Fascia, prestato alla politica non partitica nelle file della Sinistra Indipendente, Rodotà prima che politico fu analista, conoscitore intimo dei meccanismi legislativi, giurisprudenziali che aveva cuciti sulla pelle. Cosa ricordiamo di Rodotà se non l’aver promosso la Legge sulla Privacy e la Commissione per i Beni Comuni, la sua vera eredità politica?

Lo spirito Rodotà insegna che i Beni Comuni, declinati nel modo più corretto ossia Beni Pubblici, Beni Sociali e Beni fruttiferi vadano complementati con i Beni Immateriali quali Istruzione, Salute, Diritto ai Diritti Civili, Lavoro, Energia (che rinnovata rientra nella tutela ambientale).

Il Comitato Rodotà, con i suoi promotori Ugo Mattei, Alberto Lucarelli e Luigi Di Giacomo, ha sposato questa filosofia apartitica, si badi bene non antipartitica o antipolitica, e ha dato vita ad una caratterizzazione aggregativa spalmata sul territorio e interpretata da personalità e semplici persone che ne conoscono il polso e le tendenze. Un esempio di lungimiranza anche politica, quella di esercitare tramite la LIP una rivoluzione neanche soft, agendo sul Codice Civile e shuntando le possibili pastoie delle modifiche costituzionali, leggi parlamentari etc,

Il degrado della politica, etico e pragmatico – giacchè il Legislatore e il Parlamento sono ostaggi della maggioranza governativa che opera per decretazione – obbliga a evitare accuratamente ogni possibile infiltrazione politica atta a snaturare una legge (LIP) che per sé costituisce la rivoluzione politica di questi anni, de facto e de iure, l’inversione delle tendenze perverse alla privatizzazione, ed ai suoi derivati, radioattivi direbbe Tremonti, quali cartolarizzazione, sussidarietà di Beni Comuni in gestione ai privati e quanto discende invece a cascata dalla LIP.

Il teorema giuridico e le sue contraddizioni

Il nostro ordinamento giuridico, espresso dal Codice Civile, demarca la proprietà pubblica da quella privata con una certa confusione tecnico-giuridica sulle attribuzioni di poteri esecutivi e gestionali e soprattutto sul concetto di demanio e di beni pubblici, da un lato, e quello di proprietà privata. Osservava, infatti, Massimo Severo Giannini che se si vuole davvero comprendere a fondo la materia occorre «quasi dimenticare ciò che si è detto e si è scritto sul demanio, e riprenderlo da capo» . Riprendere da capo la materia significava appunto che non fosse assolutamente necessario introdurre nulla di nuovo ma, molto più semplicemente, «tornare alle origini», cioè rivolgere l’attenzione ai dati, di carattere storico e sociale, che hanno determinato la nascita stessa dell’istituto demaniale, che affonda le proprie radici nei fenomeni di appartenenza collettiva dei beni che servono a una data comunità per soddisfare le proprie vitali esigenze (allo stesso tempo, comunitarie e legate alla sopravvivenza dei singoli). Il demanio, infatti, rileva Giannini, è stato all’origine «una proprietà collettiva, cioè una proprietà da cui ogni membro della collettività poteva trarre delle utilizzazioni»«Il principale bersaglio critico di questo Manifesto per i beni comuni – scrive Mattei – è costituito dall’assetto istituzionale fondamentale del potere globale oggi dominante: la tenaglia fra la proprietà privata, che legittima i comportamenti più brutali della moderna corporation, e la sovranità statuale, che instancabilmente collabora con la prima per creare sempre nuove occasioni di mercificazione e privatizzazione dei beni comuni».

La nuova disciplina sui Beni Comuni indica invece la strada per le riattribuzioni, non solo proprietarie, ma gestionali dei beni materiali e immateriali.

Beni Comuni Immateriali

Ecco che ne derivano dei concetti a cascata. Se, in accordo con la Commissione Rodotà, i beni comuni si distinguono in beni ad appartenenza pubblica necessaria, beni fruttiferi, beni pubblici sociali, è da questi ultimi che nasce l’ulteriore classificazione dei Beni Comuni Immateriali. Quelli cioè deputati alla realizzazione piena dei diritti civili e sociali. Quali ad esempio, il diritto alla salute, alla istruzione, alla comunicazione e libertà di stampa, quest’ultimo tutelato sì dall’art. 21 della Costituzione che, purtroppo nel 1948, non poteva prevedere l’accesso alla comunicazione digitale, l’uso del web e della proprietà digitale. Ma tra tutti spicca l’esempio, oggi più che mai attuale, della Tutela ambientale, non prevista dalla Costituzione che accenna solo nell’art. 9, comma secondo, alla « tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione” o nell’art. 44, riguardante il razionale sfruttamento del sottosuolo, con un generico riferimento a «orientamenti volti a promuovere e imporre la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo”  senza incidere su temi, ora preminenti, come la sostenibilità ambientale e la tutela della salute.

La rivoluzione soft della nuova concezione dei Beni Comuni porta ad una nuova identificazione della partecipazione cittadina alla gestione collettiva non solo di beni e servizi essenziali ma soprattutto in tema di collocazione strategica di questi. L’azionariato diffuso che si propone di mantenere un assetto collettivo in termini di proprietà non esclude il diritto dei soggetti concorrenti alla decisione strategica dell’utilizzo del bene.

a)      La recente polemica sullo stadio di S. Siro, destinato ad essere sostituito da un nuovo Stadio, di proprietà fifty-fifty Società di Calcio Milanesi e Comune di Milano, costituisce un esempio di quanta confusione ci sia in termini di proprietà e gestione di un bene di appartenenza pubblica. E soprattutto non viene considerata affatto la possibilità di una Pubblic Company ad azionariato diffuso tra i cittadini che vi concorrono.

b)      Per converso, la gestione delle Aziende Ospedaliere, nate dall’accentramento della gestione della salute nelle mani dell’assessorato regionale competente, in virtù dell’attribuzioni dei poteri locali, in ossequio all’art. 117 della Costituzione, titolo V, la dice lunga sull’appropriazione da parte di Corpi dello Stato ( sia pure legittimi quali gli Enti Locali) di un Bene Comune Immateriale, la salute, che però si veste di Bene Comune Fruttifero nella gestione, parziale ovviamente, di un capitolo di spesa del Bilancio Statale che, con i suoi 113 mld, è il più alto tra tutti i Dicasteri.

c)      Non ultima la necessità di rendere le fonti energetiche e con esse tutta la Materia Ambientale degna di altissima considerazione quale bene Comune e Condiviso, tra i più necessari per salvaguardare con l’ambiente, posti di lavoro e funzionalità della collettività intera.

d)     Ed ancora la deforma costituzionale della riduzione dei parlamentari, si inscrive in questo contesto di cassazione dei Beni Comuni, mortificando il Massimo Bene Comune che è la Rappresentanza Parlamentare, quale diritto ineludibile alla partecipazione collettiva della Democrazia.

L’azionariato diffuso e lo sviluppo del Bilancio Partecipativo

Ne consegue che Azionariato Diffuso e Pubblic Companies possono essere incluse nella strategia politica del New Deal Giuridico sui Beni Comuni.

A cascata ne discende che attraverso questo nuovo ordinamento di correzione del Codice, la Legge d’Iniziativa Popolare è legittima arma di scardinamento della vecchia politica secondo la quale le strategie di gestione dei Beni Comuni ( ed un tempo solo Pubblici) dovevano essere gestite  da Enti Privati (Banche, Assicurazioni entrate nelle cartolarizzazioni e vendite dirette del patrimonio pubblico) e Stato, rappresentato dal Gestore Politico, ostico a fare gli interessi collettivi.

L’azionariato diffuso e lo sviluppo del Bilancio Partecipativo possono invece essere strumenti cittadini di riallocazione dei Beni Comuni e del loro utilizzo. Basti pensare al ruolo delle Municipalizzate nella gestione dei Servizi Pubblici Locali.

In conclusione riabilitare gli strumenti anzi detti, Azionariato Diffuso e Bilancio Partecipativo per rendere davvero di pubblica utilità i Servizi che, sia pure definiti Pubblici, sono nella gestione politica e quindi di parte e non di tutti.

Ne deriva per transitività che tali negazioni esistenti che hanno reso di necessità la riesumazione dello Spirito Rodotiano, non possono che essere attribuite all’Agenda Politica, responsabile del degrado attuale, materiale e morale del Paese. Ma ne deriva ancora che- ancora pochi se ne sono accorti- è nata un’Isola Felice del vero Riformismo nei fatti, laddove molte parti politiche ci hanno riservato solo chiacchiere.

Essa costituisce per contro l’interlocuzione Costituzionale d’obbligo nell’iter della LIP. Ma per converso ancora cercherà di destrutturarla perché non conveniente a Banche, Assicurazioni, Imprenditoria, Industria Petrolifera e della Salute (dai Farmaceutici alle Aziende destinatarie di appalti).

Ne deriva ancora un corto circuito per cui si rende indispensabile il colloquio con chi potrebbe, con emendamenti, stralci, rinvii di calendarizzazione, sterilizzare la legge in itinere e attribuire la colpa altrui.

Da qui la necessità di:

–          Rendere le Assemblee dei Soci e di coloro che si sono battuti nei territori davvero sovrane ed in grado da opporre un perfetto contraltare alla Politica tendente a strumentalizzare;

–          Ridare cioè il senso di sovranità popolare, finora, da altri, declinato nel senso del più becero sovranismo opportunista;

–          Costituire da subito un Comitato Esecutivo per sviluppare ogni forma di declinazione possibile del Bene Comune (Salute, Istruzione, Lavoro, Energia, Vivibilità Urbana). Il Comitato dovrebbe poi dare luogo alla realizzazione del processo di Azionariato diffuso, dando luogo a comitati locali sul Bilancio Partecipato.

–          Costituire da subito un Comitato Etico che incarni lo spirito Rodotiano, una sorta di Corte della Costituzione Rodotiana al fine di evitare ogni possibile deriva, anche involontaria, verso forme altre di legislazione che potrebbero rivelarsi alternative o in contrapposizione allo spirito che ci anima; e con il compito di sorveglianza e monitoraggio non solo della Legge, che è un epifenomeno, ma dell’intero processo di sviluppo del Comitato.

In conclusione, la vera novità del Comitato sta nella sua essenza, apartitica ma non apolitica, capace di inserire nella stanza dei bottoni l’asset Istituzionale che da anni aspettiamo ma che deve assolutamente mantenere lo spirito che la anima.

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