Ambiente
‘Neogeografia’, Meschiari: «Il paesaggio italiano ci salverà dal collasso»
Ripensare lo spazio e le funzioni dell’immaginario partendo dai paesaggi. È ciò che propone Matteo Meschiari in ‘Neogeografia‘ (Milieu edizioni), in libreria dal 28 novembre. Sei doppie esplorazioni. Quelle dei luoghi: l’Atlantico settentrionale, l’Europa medievale, il Nuovo Mondo, la Liguria, l’India, la Bretagna; e quelle dei modi che hai il nostro cervello per addomesticare lo spazio conosciuto. Cosa accomuna l’India di Pasolini, il Nord America di Vollmann, la Martinica di Chamoiseau o le Antille di Walcott? Nonostante siano paesaggi completamente differenti tra loro, hanno in comune lo spostamento “riaddomesticante” dello sguardo sui paesaggi naturali e umani.
Meschiari, nel suo libro, parla di Antropocene e di ‘Landscape Studies‘. E di come riportare la geografia alla sua vocazione essenziale: studiando l’immaginario spaziale secondo il dualismo espressione-cognizione. E se qualcuno è alla ricerca di ottimismo, lo scrittore sostiene che il paesaggio italiano, in particolare, ci impedisce di pensare il collasso. Gli studi sul paesaggio in Italia sono stati prerogativa di filosofi, estetici e architetti per un largo periodo.
Meschiari solleva una questione di fondo: l’opinione che il paesaggio sia un’invenzione moderna è sbagliata. O meglio: è esclusivista ed eurocentrica. L’uomo, secondo lo scrittore ha guardato culturalmente la Terra che abitava fin da quando è stato un essere culturale, dunque da almeno 150.000 anni. Il paesaggio, dunque, non è il parto intellettuale di qualche pensatore recente, ma esiste da quando la nostra specie si sposta sulla Terra.
Ma che ruolo hanno la geografia e l’antropologia oggi? Restituire al termine paesaggio la giusta valenza: paesaggi del collasso, sopravvivenza dei paesaggi, paesaggi della migrazione e così via. Mappare queste nuove aree tematiche e farle interagire con le riflessioni sociali e politiche attuali è diventato la grande e ineludibile urgenza
del nostro tempo.
L’intervista all’autore
-Mappare le aree tematiche (paesaggi del collasso, paesaggi della migrazione, ecc.) e far sì che tornino al centro del dibattito politico/sociale. In che modo sarebbe possibile?
-Cominciando a chiedere alle persone che cosa sentono e immaginano. Fare geografia e antropologia sul campo dove il campo è l’immaginario collettivo. Ormai il collasso ambientale è sotto gli occhi di tutti, la fase di sensibilizzazione è abbondantemente superata dalla cronaca. Bisogna pensare alla fase due, la ricerca di soluzioni, e qui una mappatura dell’immaginario collettivo sarà utile per capire dove vanno le speranze e le derive ideologiche della gente. A quel punto le soluzioni potranno essere calibrate su ciò che sentono le persone e non ex machina da parte di un qualche potere “illuminato”. Bisogna insomma tenere aperto il dialogo con chi poi il futuro dovrà viverselo. Penso ovviamente a bambini, studenti, giovani donne e giovani uomini.
-Pensi che rivalorizzare il paesaggio italiano possa aiutare ad arginare il fenomeno del cambiamento climatico ed evitare il collasso?
-No. La rivalorizzazione del paesaggio italiano è cominciata in modo sistematico negli anni Novanta. Da allora non vedo nessi tra questo pur necessario progetto culturale e un macrofenomeno globale come la crisi climatica. Avere bei paesaggi non ha sensibilizzato gli Italiani, che sono anzi uno dei popoli più indifferenti e negazionisti d’Europa.
-Sensibilizzare le amministrazioni comunali sui ‘Landscape studies‘ potrebbe aiutare a tutelare il paesaggio?
-Sì. Certo. Ma come dicevo la sensibilizzazione doveva essere fatta trent’anni fa. Ora è troppo tardi. Allora la parola chiave era bellezza. Oggi è sopravvivenza.
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