Ambiente

Le cooperative di Cavalieri e Briganti che tengono vivo l’Appennino Reggiano

15 Aprile 2023

In queste nuove pagine, il nostro racconto delle cooperative di comunità, volge lo sguardo al versante nord-ovest dell’Appennino Emiliano-Romagnolo, ma sarebbe meglio dire Tosco-Emiliano. Parliamo di due piccoli borghi adagiati sui monti a ovest della provincia di Reggio Emilia, entrambi in odore di Toscana e di Lunigiana. Siamo ai margini del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano, dentro una storia che ci porterà a conoscere due comunità, sorelle diverse, ciascuna con la sua genesi faticosa, le sue persone eccellenti: Valle dei Cavalieri e I Briganti di Cerreto, una a Succiso e l’altra a Cerreto Alpi, in queste terre di gente forgiata dal lavoro e dalla tradizione, ben salda al proprio territorio, decisa a resistere.

Questo racconto parte dal tramonto di una giornata rocambolesca dove i piani si sono scombinati per l’incontro di un cavallo bianco sulle contrade di Cerreto Alpi, a inizio pomeriggio. Entriamo nel controfattuale, diamo a questo cavallo un significato non solo simbolico ma anche fenomenologico. Se non avessi fatto quell’incontro proprio a quell’ora, questo articolo avrebbe avuto (forse) una forma differente. Nel prosieguo, (quasi) tutto sarà svelato.

Sono le 18 quando, scusandomi per l’ampio ritardo, incontro Oreste Torri, il vicepresidente della cooperativa di comunità Valle dei Cavalieri. E’ un signore elegante, dall’aria severa, in buona forma per l’età che mi rivela poco dopo; ha il volto ombrato dal disappunto per il mancato incontro tra i monti verdi di Succiso: ci dobbiamo infatti accontentare di parlare fuori dalla sede di Confocooperative di Castelnovo  ne’ Monti; l’incontro previsto nel primo pomeriggio, è scivolato lungo le ore fino a qui. Cominciamo a chiacchierare seduti a un tavolino esterno, davanti a noi si staglia in una porzione d’alto orizzonte un lembo della Pietra di Bismantova, caratteristico altopiano isolato tra le vette intorno a Castelnovo.

Iniziando a raccontarmi come è nata la cooperativa, Torri lentamente si acquieta, si fa quasi sorridente. “Siamo di sicuro la prima, per non dire l’unica vera cooperativa di comunità in Italia, dal momento che tutti i soci fondatori nel 1991, hanno investito tempo e risorse proprie per dare servizi essenziali a tutta la comunità che cominciava visibilmente a soffrire di diverse mancanze. Io era tra loro, noi fondatori avevamo già tutti un lavoro, l’obiettivo primario era di fare qualcosa non per noi – all’epoca giovani senza grossi problemi – ma per l’intera comunità di Succiso. E così negli anni è stato.”

Dalle parole calme e sentite del vicepresidente, si tratteggia una storia davvero da primato, se pensiamo che ancora oggi una vera e propria legge nazionale sulle cooperative di comunità non esiste e allora (nel 1991) si era ben lontani da quella che in questi anni è diventata una vera e propria politica di incentivi che incoraggiano ecologia, salvaguardia dei borghi montani, la loro stessa sopravvivenza attraverso programmi del Ministero economico. Torri mi racconta che quel gennaio del ‘91, esattamente il 26 gennaio, 25 persone si unirono in cooperativa investendo un milione di lire ciascuna per affrontare l’acquisto di attrezzature minime per il paese, avviare i lavori di riapertura del bar e del ristorante oltre che della scuola che aveva chiuso; iniziare così a sviluppare le prime strutture comunitarie, che hanno portato in un trentennio un borgo ormai spopolato, non solo a sopravvivere ma a svilupparsi dal proprio interno. Oggi, quasi tutti i suoi abitanti – una sessantina – sono anche soci della cooperativa e partecipano attivamente alla vita comunitaria. Non si può negare che sia un caso esemplare di buon esito della politica comunitaria reggiana e nazionale, e di questo hanno ampiamente parlato anche i principali media negli ultimi anni, esaltando la storia del piccolo borgo appenninico.

Va ricordato che il paese subì una prima grossa crisi nel 1955 per una frana che portò molti dei suoi abitanti (all’epoca circa 1000) ad abbandonare le proprie case verso la provincia e anche verso la Liguria. Fu l’inizio dello spopolamento del borgo, costretto a ricostruirsi in buona misura a pochi passi dal nucleo antico, generando Succiso Nuovo che oggi ospita qualche decina di abitanti residenti, in tutto 58 persone, molte delle quali over 70. Risuonano in testa le parole di un brano storico dei Cccp: “No, non ora, non qui in questa pingue immane frana (…)”. Sinestesie da queste terre disseminate anche di musica.

Mi racconta Oreste Torri che dal 1991 (anno dello statuto della cooperativa) al 1995, la comunità di Succiso si è come riunita attorno alla cooperativa Valle dei Cavalieri, dando sempre più senso all’espressione paese-comunità riferita a queste realtà. “In quegli anni – racconta Torri – la cooperativa assieme a quasi l’intera popolazione residua, avvalendosi dell’appoggio e della consulenza di Confcooperative e di alcuni sostegni al finanziamento, è riuscita a mettere in piedi come dicevo, un bar, un ristorante e un piccolo market polifunzionale. “Quelli – continua Torri – sono stati gli anni della stabilizzazione della cooperativa, e quindi della nostra comunità. Siamo così arrivati ad avere il primo dipendente nel 1994, iniziando così un percorso che ci ha condotti verso la forma di cooperativa sociale nel 2001 che oggi accoglie al suo interno anche alcuni lavoratori disabili. Negli anni duemila è stata la volta della struttura principale della cooperativa, l’agriturismo omonimo sorto nel 2004. Con un investimento di 200.000 euro, l’agriturismo è stata realizzato anche grazie al contributo del Comune di Ramiseto e della Provincia di Reggio Emilia. La nuova struttura oggi si collega al ristorante preesistente, che a sua volta è adiacente al Centro visita del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano, gestito dalla stessa cooperativa. Diciamo che il cuore della nostra comunità oggi è proprio l’agriturismo”.

Nel 2007 è  partito anche un forno artigianale che consente al paese di avere il suo pane tutto l’anno e nel periodo estivo produrne e venderne tra i 60 e i 70 chilogrammi al giorno, per il ristorante e per il flusso di turisti che raggiungono Succiso per goderne le bellezze naturali e la tranquillità ambientale. Per tutto quello che offre la cooperativa ai turisti di ogni genere basta visitarne il sito, chiaro e invitante.

Torno alle parole del vicepresidente: “Per ricapitolare, siamo partiti dal recupero dei locali della scuola elementare, che era stata chiusa perché aveva solo 4 bambini; abbiamo costruito prima la bottega di alimentari poi il grande bar, una sala convegni che in inverno diventa la piazza del paese. Infine ci siamo dedicati all’agriturismo che dispone di 11 stanze tutte con servizi ed è collegato al ristorante avviato nel 1994. Nel tempo abbiamo realizzato che oltre ai servizi indispensabili, bisognava offrire a tutti anche la qualità dei nostri prodotti d’eccellenza, così abbiamo avviato la produzione di pecorino e la ricotta dell’ Appennino reggiano (prodotti veramente locali, se pensiamo che queste erano essenzialmente terre di pascolo).

 

Abbiamo dato poi vita a un progetto che coinvolgesse le scuole del territorio, per insegnare ai giovani che i monti non sono solo per gli impianti da sci e le baite attrezzate, ma sono soprattutto boschi, alpeggi, rifugi e camminate con le ciaspole, e tante attività fisiche alla scoperta di animali che spesso i ragazzi non hanno nemmeno mai visto, i caprioli, le pernici.

Il fatturato della Valle dei Cavalieri – oggi socia sia di Legacoop che di Confcooperative – è di 700.000 euro all’ anno, il ristorante richiama migliaia di clienti, così come i pernottamenti annui si aggirano attorno ai 3000: direi che possiamo considerarci soddisfatti del lavoro svolto”.

Un paese che doveva scomparire dalla vita sociale è diventato una comunità operosa che riesce a procurare soprattutto ai più anziani medicine e assistenza continua, a fare cene e pranzi  – negli anni prima del Covid – per oltre 15.000 persone tra turisti e locali. “Abbiamo poi guide per le escursioni nel Parco Nazionale dell’ Appennino Tosco-Emiliano cui siamo ovviamente legati – prosegue Torri – e un progetto rivolto ai giovani studenti che oggi si chiama “neve natura” e che mette le scuole e il Parco Nazionale in contatto diretto con i boschi, i pendii del territorio, per soggiorni di 3-5 giorni durante i quali i ragazzi – e ne abbiamo ospitati già oltre 2000 dall’inizio – si fermano presso la nostra struttura per una sorta di campus ecologico che include non solo una parte teorica e pedagogica ma anche un’esperienza empirica, fatta di camminate, escursioni, scoperta della flora e della fauna, ben al di là delle retoriche ecologiste. Questo è stato possibile anche battraverso l’Unione dei Comuni montani che oggi fa capo a Ventasso.

Per avviarmi alla conclusione, gli chiedo quali sono gli ultimi sviluppi o i progetti in corso all’interno della cooperativa. “Nel 2016 abbiamo lanciato – qui Torri si fa entusiasta – una proposta di sottoscrizione con una quota di 500 euro, per incentivare proprio i più giovani a farsi soci e quindi a immettere nuova linfa all’interno della cooperativa, che come si può immaginare in questi oltre trent’anni è invecchiata. Abbiamo bisogno di nuove energie e credo che questa recente apertura associativa sia un’ottima idea da parte del consiglio. Andiamo progressivamente verso un cambio generazionale, l’età media dei consiglieri non è certo più così verde come un tempo. Sempre di recente abbiamo poi installato pannelli fotovoltaici nella struttura e proprio da quest’anno dotato l’agriturismo di una piccola spa, per il benessere dei clienti che alloggiano a Succiso ad esempio dopo un weekend di escursioni. Ma come ripeto, nell’ultimo periodo siamo soprattutto riusciti a coprire per intero e in autonomia la “gestione pubblica” del paese; mi riferisco – come dicevo prima – alla pulizia delle strade, alla cura delle fontane, dei parchi gioco, lo sfalcio dell’erba, tutte attività non così scontate in un piccolo borgo che non può avvalersi – se non con tempi eccessivamente lunghi – dell’amministrazione pubblica. Questa copertura di servizi ha fatto sì che dal 2016 siamo diventati un paese autonomo sotto quasi ogni aspetto della gestione e della cura del territorio”.

In ultimo, gli chiedo se è vero, come ho letto, che Succiso è stata citata da un saggio universitario giapponese come modello pressoché unico di comunità autogestita assieme a un altro caso in Australia.

“E’ vero, i giapponesi sono venuti qui da noi diverse volte, e l’Università St. Andrew’s di Osaka che studia proprio questo tipo di cooperative di comunità nel mondo, ci ha segnalato come un’eccellenza unica assieme a un caso australiano, consigliandoci tra l’altro di considerare anche la gestione di un ufficio postale per la riscossione delle pensioni dei più anziani. Per il momento siamo comunque molto soddisfatti così, ci muoviamo su nuovi investimenti con la dovuta cautela, a piccoli passi, dando prima di tutto spazio alle esigenze della comunità di Succiso, dandole risposte concrete, migliorandone il più possibile la qualità della vita, specialmente dei più fragili.”

Sorrido e chiudo la conversazione ripromettendomi di visitare presto la Valle dei Cavalieri, magari già durante l’estate, in occasione di uno dei tanti eventi che Succiso propone, come la festa del fungo, ormai storica, giunta alla trentaseiesima edizione.

Mentre rientro – la pietra di Bismantova piano risorge dietro al lunotto dell’auto – diretto all’autostrada e alla pianura, ritorno all’intensa giornata e mentalmente ne scrivo il racconto, dall’inizio.

Mi sono svegliato a Collagna, nel comune di Ventasso, già accolto dentro i monti rigogliosi dell’Appennino reggiano, a circa 7 chilometri dalla cooperativa di comunità I Briganti di Cerreto, con cui ho appuntamento alle 11.30. La mattina di sole fa brillare coltri di neve sulle cime più alte che vedo dalla piccola piazza del paese. Nonostante le dimensioni fiabesche, attorno a me c’è un’edicola e addirittura due bar, in uno dei quali entro assieme alla mia compagna giunta da Grosseto per accompagnarmi in questo viaggio tra le comunità di cooperative. Lei, che tra poco saprà che molti di questi reggiani di montagna sono emigrati proprio in Maremma negli anni ’50, mi aiuterà ad allargare lo sguardo su queste terre di pastorizia, di cacciagione e di formaggi ormai famosi nel mondo, latte e transumanza che ha portato molti dei suoi pastori ad emigrare proprio in Toscana, nella Maremma di Campiglia Marittima, Suvereto e Cecina.

Nel bar dove prendo qualche appunto per la visita a Cerreto Alpi, un gruppo di donne sta giocando a carte attorno a un grande tavolo. Sono quasi le 9.30, la cordialità delle giocatrici ci viene incontro in un momento in cui una bambina con loro fa “scuola di parolacce, però piccole”. Le avventrici di età varia – ad occhio almeno fino ai 90 – raccontano tutte assieme che lì, in quel bar, le donne giocano sempre  “alle carte”, ma “proprio solo lì”. E’ un po’ il loro rifugio di conforto, mi pare di capire. Sono allegre e pimpanti, mi danno le semplici indicazioni per salire verso il famoso passo, poco prima del quale incontrerò il borgo che ci attende. Lì, appena fuori dal paese, Erika Farina socia e dipendente della cooperativa, mi aspetta per una chiacchierata su I Briganti, la comunità cerretana.

La strada subito fuori da Collagna s’inerpica verso i monti; saliamo attorno ai mille metri d’altezza, l’aria è frizzante e una luce forte si diffonde accendendo una scala di verdi che ricoprono le profonde vallate sotto Cerreto Alpi, da anni dimora di Giovanni Lindo Ferretti, voce e anima dello storico gruppo emiliano-punk Cccp.

Eccoci arrivati alla base operativa dei Briganti.  

 

Sembra un rifugio alpino questa struttura di legno dal tetto imponente; ci accoglie Alessio, il padre di Erika, gentilissimo e sorridente. Osservo il posto in attesa di lei, scatto qualche foto al brigante che presidia austero l’ingresso al piazzale: questa comunità – penso – ha degli antichi briganti che imperversavano sulla rotta toscana, oltre che il nome, il coraggio e la tempra, a voler immaginare l’inverno quassù, tra i monti, senza nient’altro che il bosco e le proprie forze.

 

Ecco Erika Farina, una giovane donna sprizzante energia. Entriamo assieme a lei – portavoce della squadra – dentro questo ex-circolo tennis trasformato. Siamo in vetta al paese, lungo una stretta cintura che circonda il caseggiato più in basso, a sua volta attraversato da un piccolo fiume e da stradine chiare. Tre teschi di cervo incombono su di noi appese al muro, quando Erika introduce il racconto,

 

(foto di Maria Francesca Lazzi)

Anche qui – scopriamo alle prime battute – le prime reazioni alla fuga dal paese partono dai giovanissimi. “Siamo nel 1992 – comincia Erika – quando chiude l’unico bar del paese e alcuni cerretani tra cui anche io, allora nemmeno maggiorenne, cominciano ad alternarsi nella gestione collettiva del locale, facendone poi un circolo ricreativo e sportivo. Questi – continua Erika che va carburando le energie  – sono davvero solo i primissimi passi di quanto sarebbe accaduto nel 2003, quando nasce formalmente la cooperativa dei Briganti di Cerreto, in un momento in cui il paese stava per perdere quasi tutti gli abitanti, assorbiti dalle grandi aziende della provincia di Reggio Emilia, ma anche di Modena, Parma e dalla Liguria stessa. Si parla di aziende enormi serbatoi di lavoro come Enel, Iren ad esempio… Noi giovani non volevamo andarcene, questo è il punto. All’inizio, è stato proprio mio fratello Luca (oggi presidente della cooperativa) a dare il via ai primi lavori, facendo dei briganti una cooperativa agricola forestale. Grazie a un bando PSR (programma di sviluppo rurale) per il recupero di boschi e castagneti, la cooperativa si è inizialmente dedicata ai primi due ettari di castagneto messi a disposizione dalla comunità. Ricordiamoci che in questa zona il bosco, la legna e soprattutto le castagne sono state e sono ancora le risorse di sempre e anche i giovani, generazione dopo generazione, sono rimasti legati a questi elementi della terra, assieme alla pesca, la caccia, senza dimenticare la raccolta di funghi di cui parleremo dopo (e qui sorride).”

Luca Farina, il fratello di Erika, è quindi il primo assunto dalla cooperativa che parte proprio dalla pulizia e il riassestamento di un castagneto. “Siamo partiti così – prosegue Erika – dal bosco, origine e nutrimento, casa e mistero assieme. Oggi, tra le varie attività dei Briganti c’è infatti anche la produzione di farina di castagno, un albero chiamato dai nostri nonni proprio “l’albero del pane”.

Oggi i dipendenti sono 9, Erika è stata la terza nel 2005 e si divide tra tantissimi impegni, oltre a quello di madre di due ragazzi; mi racconta che era dipendente pubblica del Parco Regionale ma poi ha trovato la forza e il coraggio (dice la follia) di lasciare il lavoro e cominciare qui, coi suoi amici Briganti. “D’altronde – continua – la cooperativa stava crescendo, io volevo che il mio primo figlio crescesse a Cerreto, e una prospettiva di lavoro amministrativo per me era già piuttosto chiara. Così mi sono buttata e oggi, a distanza di oltre 15 anni e nonostante le enormi difficoltà, sono contenta della mia scelta”.

Un eloquio fluido e ritmato da cadenze emiliane miste liguri, Erika prosegue nel suo racconto, interrotto qua e là dai saluti degli altri soci che alla spicciolata entrano nella “tana” per la pausa pranzo. Presto un profumo di pesto alla genovese si diffonderà nell’aria…

La scelta di farsi dipendente della cooperativa è stata azzeccata; il parco (ente Parco) da regionale è divenuto nazionale e oggi i briganti sono in convenzione con l’ente che assegna alle cooperative la cura di alcune sue aeree e la conduzione di centri visita all’interno di strutture ricettive, sempre aperte e funzionanti, che possano dare informazioni al turista tutto l’anno in modo continuativo. “A noi – racconta – l’ente ha affidato Il Mulino, che oggi è la principale struttura che gestiamo; è un posto meraviglioso, attivo fino al 1955 con la sua macinazione ad acqua. Al suo interno assieme all’ente Parco, siamo riusciti a ricavare 10 posti letto, permettendoci di arrivare fino a 1500 pernottamenti l’anno. E’ molto richiesto, pensa che il mese di agosto è già tutto prenotato! Lo abbiamo in gestione attraverso una buona convenzione che ci permette di affittarlo a prezzi modici. Grazie a questo, è iniziato il nostro turismo di comunità, ma i 9 stipendi che oggi riusciamo a darci  – ricorda Erika – arrivano primariamente dai servizi forestali ed edili che offriamo, seppure è vero che grazie al Mulino possiamo ospitare anno dopo anno centinaia di persone che poi si affezionano, tornano e magari prima o poi qualcuno si ferma qui per sempre. Il grosso del nostro lavoro è comunque  legato ai servizi derivanti da bandi delle comunità montane, dei comuni, e dello stesso parco nazionale; mi riferisco a lavori sul verde, per la raccolta di legna e recentemente anche lavori edili, che svolgiamo in diverse aree, fino alla Lunigiana.”

(Il Mulino di Cerreto – foto dei Briganti)

Chiedo se in 20 anni di cooperativa qualcuno sia tornato a Cerreto. “Sì, qualcuno è tornato, ma pochi, l’ultima bimba è nata 5 anni fa qua vicino, da una nostra socia che prima abitava in Liguria, però ricordiamoci che se una donna deve partorire le tocca necessariamente andare a Reggio Emilia; tante cose sono davvero lontane, non è semplice mettere su famiglia qui. A Cerreto non c’è né una farmacia, né scuole, e i mezzi pubblici come s’immagina sono molto rarefatti.”

Proseguendo la cronistoria della cooperativa, Erika mi racconta che i soci si sono dati anche a specializzazioni e patentini vari per fare davvero un po’ di tutto, incentivando così anche una posizione edile oltre ai contratti forestali che lei stessa oggi segue primariamente, specie dopo la tragica scomparsa in un incidente stradale di uno dei soci fondatori, Davide Tronconi, nel 2017. Lei si definisce una figura forestale oltre che turistica dentro il gruppo. Ma poi è anche ufficio-stampa, collabora col Parco e col servizio di accudimento degli anziani, insomma fa mille cose. “Dall’anno scorso – continua – si è poi attivato (finalmente!) un progetto pilota sulle aree interne promosso dall’allora Ministro Barca e mai partito. Si tratta dell’accudimento socio-sanitario degli abitanti di Cerreto, un progetto lanciato attraverso una delegazione ministeriale e altri studiosi proprio sulle due frazioni di Succiso e Cerreto. Unitamente a Confcooperative e Legacoop si è creata anni fa una rete di cooperative di comunità costituita in una “scuola” per studiare strategie d’avanzamento e sviluppo congiunti. Cerreto e Succiso sono stati i primi esempi di questo tipo di cooperative: rappresentano simboli importanti di un progetto pilota che solo oggi è conosciuto e promosso, anche grazie alla recente legge regionale che va meglio a definire queste realtà. Non è stato per niente facile il viaggio fino a qui – fa una pausa riflessiva Erika – credo che molto sia stato merito del gruppo affiatato degli uomini, tutti amici uniti dalla comune passione per la propria terra e le sue vocazioni, la caccia, la pesca, le raccolte di legna e di funghi. Non sono sicura che se fossimo state tutte donne sarebbe stato lo stesso…”– conclude sorridendo Erika.

Dunque oggi i Briganti sono forestali, turistici, e sociali, riassumo. “Sì – riprende Erika – da un anno abbiamo attivato grazie al progetto dell’allora MISE (Ministero Sviluppo Economico) di cui parlavo prima, l’accudimento sociale con cui facciamo diverse attività. Oggi ad esempio, per l’arrivo della Pasqua, coloriamo le uova pasquali con un gruppo di anziani, ma sono tantissime le attività che si condividono. Questo accudimento assolve diversi compiti, specie da quando abbiamo potuto acquistare un pulmino a 9 posti che può anche portare le signore più anziane dalla parrucchiera ad esempio a Castelnovo ne Monti, a 31 chilometri da Cerreto. Ci prendiamo cura degli abitanti più isolati, tra cui lo stesso zio di Giovanni Lindo Ferretti, si chiama Francesco, ha ben 97 anni ed è un omone enorme!”

Si tratta insomma di un progetto pilota sulla aree interne montane previsto con una scheda dedicata alle cooperative di comunità e voluta dal MISE. Grazie a questo progetto, dall’anno scorso i Briganti portano anche le medicine a casa di chi ne abbia bisogno e non possa spostarsi per diversi motivi. Un servizio gratuito finanziato dal Ministero, rivolto soprattutto ai più anziani; per loro sono previste diverse attività convenzionate, dalla ginnastica di mantenimento al movimento consapevole, dall’accompagnamento a Castelnovo o Reggio Emilia per una visita medica specialistica, a momenti di convivialità e gioco. Il servizio include anche le cosiddette infermiere di comunità, che seguono casa per casa le emergenze tenendole poi monitorate nel tempo. Non mi sembra poco per un paese di un centinaio di anime per lo più anziane.

Chiedo poi ad Erika se su un piano turistico si può dire ci sia stato un incremento in questi anni dovuto al trend positivo verso l’eco-turismo. “In generale una crescita sensibile c’è – mi risponde – in parte dovuta paradossalmente anche al periodo Covid che ha fatto riscoprire a tanti reggiani la loro montagna che non ha molto da invidiare alla classica meta del Trentino. Molte seconde case hanno ripreso ad aprirsi durante l’estate, diciamo pure con un turismo di ritorno. Poi certo, siamo vicini alla stazione sciistica di Cerreto Laghi con  suoi grandi alberghi e un alto flusso di clienti in inverno, che magari fanno poi una tappa anche qui. Ma ripeto, abbiamo ancora un ridotto potenziale ricettivo disponendo in tutto di 14 posti letto,  tra Il Mulino e un appartamento che gestiamo. E’ difficile oggi immaginare altri investimenti – continua Erika – anzi ti dirò che spesso sono preoccupata per quelli già effettuati, ad esempio per un nuovo cantiere, se pensi che spesso lavoriamo con enti pubblici e non è semplice gestire uscite ed entrate… gli stessi bandi non coprono mai il 100% e quindi noi soci dobbiamo garantire di nostro, con fideiussioni, firme di garanzia eccetera. Ti confesso che se qualche notte non dormo è perché il pensiero mi corre agli stipendi dei dipendenti della cooperativa, che giustamente sono da pagare tutti i mesi, per tutti noi.”

Arriviamo finalmente al tema che più ci allieta e che son certo ci condurrà a Giovanni Lindo Ferretti: gli eventi della cooperativa. Domanda prosaica: so che organizzate periodicamente degli eventi particolari, ci racconti qualcosa?

“Innanzitutto, come sicuramente immagini, noi qui abbiamo un cerretano illustre e molto agognato dai fan, cioè Giovanni Lindo Ferretti. Premetto che la sua persona qui è già in sé una grande risorsa per il paese; proprio lui ha promosso e realizzato assieme alla comunità di Cerreto, la “festa della transumanza” per rievocare quello che facevano i nostri padri pastori che attraversavano i percorsi appenninici verso i pascoli toscani, in transumanza fino alla Maremma. Pensa che Giovanni ha cantato in una di queste occasioni proprio davanti alla porta di casa sua: fu una cerimonia oltre che una festa per tutto il paese e i dintorni. Poi c’è stata la “festa della perdonanza” tra Cerreto e Sassalbo, due paesi storicamente in lotta tra loro per le risorse del bosco; due borghi divisi dal passo del Cerreto, che sono arrivati a spararsi contro nel corso dei secoli; ecco, con questa festa, proprio grazie all’apporto di Giovanni, cerretani e sassalbesi hanno fatto pace dopo secoli, portando i loro patroni – San Michele Arcangelo e San Giovanni Battista – in processione per ben due anni, a giugno e settembre, festeggiando e poi mangiando assieme nelle rispettive piazze. E’ arrivato poi a Cerreto, sempre grazie a Giovanni, un monaco ortodosso kosowaro, padre Benedikt, oggi amico delle nostra comunità. Ha dipinto – in occasione della festa – le icone di San Giovanni e San Michele; abbiamo organizzato addirittura una scuola di icone per due giorni, con mostra di quelle realizzate all’interno del monastero ortodosso di Decani in Kosowo ed è stato un evento che ha saputo unire sacralità e festa di paese con una spontaneità davvero rara.” Annuisco, perché ricordo di una bella intervista di Giovanni Lindo Ferretti in cui ricordava proprio quella festa.

 

Poi – continua Erika – oltre alle proposte più classiche al Mulino (camminate, trekking e pic-nic) – un evento peculiare – e che ci è un po’ sfuggito un po’ di mano nelle ultime edizioni, è sicuramente il “Campionato mondiale del fungo” che torna quest’anno alla sua undicesima edizione dopo la sospensione causa Covid.

“Un campionato mondiale hai detto?”

“Sì sì mondiale, perché abbiamo avuto adesioni e richieste da tutto il mondo, Lituania, Polonia, e poi un gruppo di giapponesi con tanto di troupe televisiva per una trasmissione tipo  “Non dire banzai”, e conseguente richiesta da un’agenzia di viaggi di un pacchetto Venezia-Cerreto Alpi proprio in vista dell’evento. Da non crederci. Diciamo pure che l’evento c’è un po’ sfuggito di mano a partire da questo aggancio in rete da parte di un gruppo di giapponesi appassionati micologi che per due anni ha trasmesso la gara nel loro broadcasting nazionale. Partiti da 80 iscrizioni nel 2012, siamo arrivati a oltre 750 iscritti: fa impressione, immagina oltre 2000 persone in un weekend in cerca di funghi nei boschi attorno a Cerreto! Ecco, lì abbiamo capito che trovarsi con centinaia di iscritti poteva diventare un problema, oltre che per alloggiarli – pensa che molti pernottavano addirittura in Liguria – anche in senso ecologico e di sostenibilità. Dopo il periodo Covid, abbiamo iniziato ad arginare la “corsa alla gara”, a rendere obbligatoria la raccolta combinata di funghi e rifiuti (e non si può immaginare che varietà impensabile di rifiuti si possa annidare tra i monti!). Oggi, le 50 squadre (tra singoli e gruppi) stanno già fremendo per la nuova edizione del prossimo ottobre, quando tra i partecipanti verranno decretati i funghi top per bellezza, rarità, grandezza. E pensare che tutto partiva ironicamente, quasi per gioco, con questo nostro amico mezzo prete e mezzo architetto che ci tentò nell’impresa seguendo una sua  ricerca degli “eventi più strani del mondo”. Per il primo weekend di ottobre 2023, abbiamo studiato un modo per moderare le partecipazioni, rendendo un po’ più severe le iscrizioni, prevedendo due sole giornate di cui una di teoria, così da riuscire meglio a gestire gli stessi pernottamenti, che cerchiamo di distribuire sul territorio reggiano. Ma te la immagini mia madre doppiata in giapponese per un programma comico-demenziale, mentre racconta come si fanno le tagliatelle ai porcini? Beh, è successo anche questo”, conclude ridendo Erika.

La campana del paese ha suonato da un po’ il mezzogiorno, lo stomaco reclama e il profumo che viene di là da una porta racconta che ci uniremo tutti alla mensa dei Briganti, messi a tavola dal cuoco Alessio che ci sta tentando già da un po’. 

(foto di Maria Francesca Lazzi)

Durante il pranzo a base di pasta al pesto e salame nostrano, vengono fuori altre storie di lupi e di inverni rigidi, di fatiche e di belle avventure che a noi gente di città fanno un po’ rimpiangere una vita solo sfiorata (forse) da bambini. Non può non uscire fuori da uno dei racconti anche Giovanni Lindo Ferretti; una voce mormora che lo si potrebbe anche incontrare, perché una parte dei Briganti sta lavorando proprio in un piccolo cantiere dentro casa sua. “Magari – faccio io – ma ho un appuntamento a Succiso con Torri tra poco, oggi non credo ce la faremo a fermarci”, ma chiudendo la frase colgo il dispiacere di Alessio, della mia compagna e dei commensali, e mi dispongo a un incontro che ho immaginato tante e tante volte.

Caffè per tutti e poi fuori sull’ampio piazzale dove sostano fuoristrada e mezzi da lavoro, in un bagno di sole caldo e primaverile, pronto a riprendere la strada prima per Collagna e Succiso poi.

Erika deve correre al lavoro, la salutiamo con un arrivederci a settembre per la festa dei 20 anni della cooperativa; suo padre ci invoglia a fare “solo due passi sotto”, per vedere il paese. Ci incamminiamo scendendo verso il corso d’acqua che attraversa il borgo e dopo pochi metri, dopo aver trovato una targa che commemora Cesare Zavattini, sostando sulla via che fiancheggia il fiume, sentiamo un forte nitrito, poi lo schiocco degli zoccoli sull’asfalto, che annuncia l’arrivo in corsa, proprio di fronte a noi, di un cavallo bianco. Si ferma a pochi metri, sale e scende la strada, attraversa il breve ponte sul fiume, poi ritorna e si ferma ancora nitrendo e scrollandosi tutto davanti a una casa in pietra dalle persiane color vinaccia. “E’ la cavalla di Giovanni, sta chiamando l’altro cavallo vedrai…”, dice Alessio mentre resto nell’incanto dell’animale.E questa – siamo proprio fermi lì davanti – è la casa di Ferretti. Chissà se scende…” sorride Alessio sornione. Mi balza addosso tutto assieme un cumulo di ricordi dei tanti concerti visti coi miei più cari amici, le interviste lette parola per parola, i libri, è troppo tutto assieme, comincio a dire a voce alta “andiamo, ho un appuntamento tra poco a Succiso…” ma proprio in quel momento lo vedo uscire sulla strada e urlare forte il nome della sua cavalla, con quel timbro distinto, che non è urlo né solo canto, ma quasi sempre voce d’anima. Lo guardo e sorrido, la mano tesa al saluto. “Siamo pellegrini in visita a Cerreto” scherzo. E lui: “Se mi date qualche minuto, sistemo un paio di cose, poi vi offro un caffè.” Siamo entrati in casa sua come si entra in una chiesa, con garbo, un’insolita quiete. C’è profumo buono e ombre vivaci intorno a infiniti colori. Ma qui, si apre un’altra storia, che ci racconteremo poi, non ne dubito.

Ora, rientrato a Lugo di Romagna, con la testa piena di immagini, di voci e di forme, riascolto la voce di Oreste Torri, il suo pacato racconto, inizio a scrivere; di nuovo penso alle scelte di vita, alle radici del vivere assieme nel poco e nel piccolo, al coraggio e alla lucidità che questo richiede, per restituire poi qualcosa che somiglia così tanto alla pace, la giusta pace.

 

 

 

 

 

 

 

 

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