Ambiente
L’Artico è vicino, il suo futuro è il nostro futuro
A 3.725,71 km da Milano, incontriamo un remoto arcipelago in quella fredda e bianchissima distesa di mare e ghiaccio che è l’Artico: le isole Svalbard, ultimo baluardo settentrionale di terre abitate. Nel villaggio di Ny-Alesund, gli scienziati di diversi paesi del mondo, Italia compresa, studiano il cambiamento climatico in Artico.
Ma perché, nell’Italia di oggi, sferzata da nubifragi al Nord ed incendi che devastano il Mezzogiorno, dovrebbe interessarci un’area così remota? Rispondere a questa domanda è complesso, insidioso e sicuramente non esaustivo. Alcune premesse, squisitamente scientifiche, sono doverose.
Cos’è l’Artico?
L’Artico è la più settentrionale delle regioni della Terra, situata oltre il Circolo Polare Artico a circa 66° 34’ N. La regione è per la maggior parte occupata dal bacino dell’Oceano Artico, che per gran parte dell’anno, almeno fino ad oggi, è ricoperto da ghiaccio marino.
Se è difficile immaginare gli effetti che un territorio, prevalentemente ghiacciato a più di 3000 km di distanza, possa avere sulle medie latitudini, dovremmo tenere conto che l’Artico, con i suoi ghiacciai che costituiscono circa il 20% della fornitura di acqua dolce globale, rappresenta una fondamentale riserva. Il più famoso e maggiormente citato ghiaccio marino, ha poi un ruolo chiave per il bilancio energetico terrestre, per il clima e quindi per la vita sulla Terra. Infine, il Mare Artico lambisce i territori di Alaska (USA), Canada, Russia e le aree settentrionali dei paesi scandinavi; pertanto, ha ed avrà, sempre di più, un ruolo chiave nei rapporti geopolitici di alcuni tra i più influenti stati mondiali.
Ma andiamo con ordine.
La circolazione atmosferica, il Vortice Polare e l’effetto sulle nostre regioni.
L’atmosfera terrestre è regolata da leggi chimico-fisiche che agiscono ed hanno effetti a livello globale, ed il cui motore energetico è il Sole. I raggi solari però non arrivano alla superficie terrestre in maniera omogenea. Le aree equatoriali ricevono i raggi solari perpendicolarmente, e quindi una quota maggiore di energia radiante; le aree polari, d’altra parte, in virtù dell’inclinazione terrestre, li ricevono in maniera fortemente obliqua e solo per metà dell’anno. Il risultato è uno squilibrio energetico tra equatore e poli. Qui entra in gioco la circolazione atmosferica: il meccanismo di spostamento delle masse d’aria generato per riequilibrare gli squilibri energetici, termici e barici tra aree della Terra poste a diverse latitudini. Spiegarne i meccanismi è molto complesso ma è sufficiente sapere che esistono relazioni fisiche che legano Temperatura, Umidità, Pressione, ed Energia.
La Temperatura dipende da vari fattori: latitudine, stagione, ora del giorno e distribuzione delle terre emerse. Accanto al parametro Temperatura, la famigerata Umidità che ammorba l’abitante della pianura padana, è la quantità di vapore acqueo presente in un volume di aria. La quantità di vapore acqueo che l’aria può contenere è limitata; raggiunto il limite (limite di saturazione) inizia a condensare, formando minuscole goccioline di acqua allo stato liquido (l’embrione delle precipitazioni). È indispensabile sapere che questo limite dipende dalla temperatura: più essa è alta, più vapore può essere contenuto in uno stesso volume d’aria.
Parlando di atmosfera, le masse d’aria calde, con minor peso e densità, si espandono verso l’alto. Quando incontrano masse d’aria più fredde (dense e pensanti) provenienti dalle alte latitudini, vengono spinte ulteriormente in quota, dove le basse temperature, forzano il grande quantitativo di vapore acqueo a condensare. Da qualche parte, ad un certo punto, queste goccioline di acqua o cristalli di ghiaccio devono andare… e così inevitabilmente precipitano.
Dove sarebbe il problema quindi? Non ci sarebbe, se non fosse che aria più calda vuol dire aumentato potenziale di forti precipitazioni, dovute all’enorme contenuto di vapore acqueo delle masse d’aria surriscaldate. Gli effetti sono quelli che abbiamo visto a luglio 2023 a Milano e provincia, ed in Emilia-Romagna questa primavera.
La questione non è finita qui.
I moti d’aria come gli anticicloni e cicloni, si originano da differenze bariche tra aree a diverse latitudini (poli ed equatore) caratterizzate da una differenza di irraggiamento. Le masse d’aria tendono a spostarsi dalle zone a più alta pressione (alte latitudini, poli) alle aree a pressione minore (basse latitudini, equatore), per riequilibrare il gradiente barico.
Ed ecco ancora una volta che entra in azione l’aumento della temperatura globale. L’innalzamento delle temperature ha effetti, non solo sulla quantità di umidità contenuta nelle masse d’aria, ma anche sulla distribuzione delle aree di alta e bassa pressione e quindi sulla circolazione atmosferica.
E l’Artico? Ebbene, la troposfera artica è caratterizzata da un’area di alta pressione, sopra la quale, in stratosfera, staziona in modo semi-permanente un’estesa zona di bassa pressione. Quest’ultima struttura barica è nota come Vortice Polare. Il vortice polare si origina ed interagisce con le correnti d’aria che spirano da ovest alle medie-basse latitudini ed è il frutto, ça va sans dire, del disequilibrio energetico e termico tra poli ed equatore.
Cosa c’entra il Cambiamento Climatico?
Premettendo che mettere in relazione eventi meteorologici estremi e cambiamenti climatici è
un’operazione delicata e per nulla banale, è purtuttavia vero che ad oggi i dati disponibili forniscono chiare evidenze, sulla cui interpretazione la comunità scientifica è ampiamente concorde. L’Artico si sta scaldando velocemente! È un fatto provato, e con un tasso di accelerazione fino a quattro volte maggiore rispetto alle altre aree del pianeta. Il rapido riscaldamento Artico viene definito dagli scienziati Amplificazione Artica.
Le conseguenze sono molteplici, spesso non ovvie ed insidiose: temperature insolitamente alte, accelerato scioglimento dei ghiacci polari, l’inarrestabile assottigliamento del ghiaccio marino. Altri meccanismi, meno evidenti, sono in atto e le conseguenze complesse: parliamo di ciò che gli scienziati chiamano ice-albedo feedback mechanism, il complesso di effetti di retroazione associati al cambio di copertura superficiale in Artico, da ghiaccio a mare. La superficie bianca del ghiaccio riflette buona parte della luce solare incidente (albedo), ritirandosi il ghiaccio marino lascia scoperte aree, sempre più vaste, di superficie oceanica, di un profondo blu. Il colore scuro del mare assorbe maggiormente la radiazione solare e la immagazzina. Il mare si scalda e subisce un effetto di espansione termica. L’effetto evidente? L’aumento del livello del mare. E poi aumenta l’evaporazione degli strati superficiali del mare. In atmosfera arriva un maggior quantitativo di vapore acqueo, accolto da masse d’aria calde (o forse dovremmo dire surriscaldate) che avranno un maggior potenziale per precipitazioni più intense.
Secondo diversi studi le acque oceaniche particolarmente calde, poi, favorirebbero il riscaldamento
stratosferico (stratwarming), anch’esso responsabile dell’indebolimento del Vortice Polare. Ed infine come ultimo ingrediente di questa complessa ricetta: l’Amplificazione Artica. Il trend di aumento delle temperature in Artico è ben documentato in tutta la letteratura scientifica. Ad esempio, uno studio condotto dall’Alfred Wegener Institut presso Ny-Alesund tra il 1993 e il 2001, ha evidenziato un aumento delle temperature di +1.35°C per decade.“Maturilli, M., Herber, A., and König-Langlo, G.: Climatology and time series of surface meteorology in Ny-Ålesund, Svalbard, Earth Syst. Sci. Data, 5, 155–163, https://doi.org/10.5194/essd-5-155-2013, 2013.”
Le temperature sempre più alte in Artico riducono il gradiente termico con le medie latitudini, indebolendo a loro volta il Vortice Polare. Esiste però un effetto paradosso: l’indebolimento del vortice polare, dovuto all’Amplificazione Artica, porta ad irruzioni di aria gelida alle medie latitudini. Chi non ricorda la disastrosa ondata di gelo che ha investito gli USA nel Dicembre 2022, mietendo anche diverse vittime? Un esempio ancora fresco nella memoria che ci ricorda come il Cambiamento Climatico si manifesti con molteplici volti.
Meglio freddo che caldo, potrebbe dire qualcuno. Non è così semplice! Se da un lato le anse dell’indebolito Vortice Polare si spingono verso le medie latitudini portando aria gelida; dall’altro lato favoriscono l’insinuarsi di masse d’aria calda subtropicale e caldo anomalo alle nostre latitudini. Due facce di una stessa medaglia, due “personalità” di quel complesso meccanismo che è il cambiamento (e non riscaldamento) climatico globale. Caldo e freddo estremo sono i sintomi dell’anomalo e accelerato riscaldamento in Artico; espressione non banale di quei complessi meccanismi che gli scienziati chiamano Feedbacks. È difficile comprendere e ancor più accettare che siano dovuti, per gran parte, all’azione antropica.
La corsa all’Artico: nuove risorse, nuove rotte commerciali in un Artico senza ghiaccio. Se gli effetti climatici non dovessero essere sufficientemente toccanti, potrebbe solleticare la miopia umana la questione delle immense, ed ancora vergini, risorse energetiche fossili ed elementi rari custodite sotto i ghiacci artici. La questione è, per priorità, ancora sottovalutata in Italia, ma altri stati del Nord Europa e non solo, la considerano già centrale.
La copertura di ghiaccio marino in Artico si è ridotta del 50% circa nelle ultime decadi. La questione non è solo di impatto ecologico ed ambientale. Si tratta di prendere in considerazione le implicazioni economiche e politiche legate ai nuovi scenari ambientali che interessano questa vasta area del pianeta.
L’Artico non è “proprietà” di nessuno Stato, tuttavia mancano, a differenza dell’Antartide, trattati e
regolamentazioni a livello internazionale. Un tema che si farà sempre più stringente se il trend di ritiro dei ghiacci marini proseguirà con il ritmo attuale. L’American Geological Survey ha stimato che il fondo dell’Oceano Artico conservi petrolio e gas naturale pari al 25% delle attuali riserve mondiali, metalli e minerali rari. Risorse di estremo interesse per le grandi multinazionali.
Nel 2008, il Passaggio a Nord Ovest, dopo secoli, fu completamente libero da ghiaccio, consentendo così l’apertura delle prime rotte commerciali. L’apertura definitiva, in estate, del passaggio che collega Europa ed Asia, attraverso Artico, consentirebbe di risparmiare circa 4000 km rispetto alle attuali rotte che sfruttano il Canale di Panama. Oltre a rendere percorribili nuove rotte commerciali strategiche, l’Oceano Artico sgombro dal ghiaccio marino, renderebbe raggiungibili le immense risorse fossili in Artico. In un clima politico-economico nel quale la sicurezza energetica è quanto mai pressante, l’appeal è evidente, e non solo per gli stati che sull’Artico si affacciano. Di contro, la tentazione di sfruttare le riserve fossili in Artico rischia di distogliere l’attenzione dagli obbiettivi, ben più importanti, di transizione energica.
Se i trend resteranno questi, sarà l’Artico, il campo su cui si giocheranno le partite delle politiche economiche, energetiche ed ambientali, dell’Occidente? Vincere la partita dipenderà da noi e dalla capacità dei decisori politici di guardare oltre il proprio naso. Dovremmo aver compreso che gli elementi naturali non si curano di confini e screzi politici, così cari all’umanità. Rispondono alle leggi chimico-fisiche senza intenzionalità, limitandosi semplicemente ad esistere senza far differenza tra economie, politiche, classi e paesi. D’altra parte, la differenza la potranno fare i policy makers dei Paesi industrializzati, perché le emissioni alle medie latitudini hanno effetti in Artico e tornano a presentare i conti, con mora.
I detrattori diranno che il clima è sempre cambiato, verissimo; ma la questione non è questa. Nel tempo geologico, a causa anche dei cambiamenti climatici, moltissime specie si sono estinte. La domanda da porsi è se il clima che verrà sarà adatto alla nostra società con i suoi attuali 8 miliardi di esemplari. Saremo capaci di adattarci a mutazioni innaturalmente così veloci e la cui accelerazione è, ormai ampiamente considerata dalla comunità scientifica, opera nostra?
Se come Specie finiremo per essere i prossimi fossili, dipenderà dalle decisioni politiche, energetiche,
ambientali e sociali di oggi.
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