Ambiente

L’aria che respiri è pulita? Chiedilo alle api

31 Luglio 2015

Come donnine dopo una giornata di shopping compulsivo, le api tornano a casa con due valigie bianche,  arancioni,  gialle di polline. Ogni santo giorno, quelle donnine bussano alle porte di mille fiori, accarezzandoli alla ricerca della dolce intimità racchiusa: se il bottino è buono, l’ape inebriata torna a casa e, ballando, comunica alle sorelle dove trovare quelle delizie. I ricercatori hanno decifrato, con pazienza certosina, l’incredibile linguaggio delle api e hanno scoperto che la loro fatica è davvero tanta: questi insetti possono percorrere, avanti e indietro, più di 2Km di distanza dalla loro casetta, coprendo un’area di oltre 15 Km2. Forse nemmeno i saldi più spinti potrebbero attirarci, a piedi, a una distanza così lontana, per poi tornare indietro con sacchi pesanti anche la metà di noi: le api, invece, lo fanno senza sosta, ogni giorno per ventuno giorni, e poi cessano di vivere sfinite.

Ma, se questo insetto è una formidabile macchina per la raccolta del polline, perché non dovrebbe raccogliere anche polvere e sporcizia, e dunque anche le sostanze nocive di cui l’aria è troppo spesso satura, a causa delle attività dissennate di alcuni uomini?

Che le api “raccolgano” Cadmio, Piombo, Nichel e altri metalli pesanti, sostanze radioattive (si ricordi il cesio radioattivo dell’incidente di Chernobyl), pesticidi, diossine e molto altro ancora, e le “convoglino” poi nei loro prodotti come il miele e la cera, è noto già da tempo. E ora si può aggiungere alla lista degli inquinanti ambientali anche il particolato atmosferico tossico di cui sono ricche le nostre città, come troppo spesso avvertono i dati dell’ARPA.

C’è un’isola bellissima, sdraiata in mezzo al Tirreno, dove i profumi della macchia e la luce del sole giocano con il blu del mare. Alcuni umanisti la chiamano Atlantide, spostando le Colonne d’Ercole nel Canale di Sicilia, o Ichnusa, nome ora celebrato da una bionda bevanda alcolica, ma in tutto il mondo è più nota come Sardegna. Purtroppo la Sardegna non è solo un girotondo tra le acque cristalline, la macchia bruciata, i suoli e le rocce rosso mattone. Non è solo un territorio dove preistoria e storia spuntano in mezzo al nulla e alle cicale, dove greggi di capre e pecore muovono il paesaggio, dove i profumi e i sapori forti del cibo restano impressi nella memoria di chi li ha assaggiati (conosco un agriturismo, lambito dal silenzio delle foreste del Marganai, dove diventa commovente persino mangiare l’insalata). La Sardegna è soprattutto questo, ma non solo. Nel Sud Ovest, l’Iglesiente è famoso in tutto il mondo anche  per l’antica e fiorente attività mineraria che ha dato pane e vita – ma spesso anche tolta, quella vita –  a migliaia di minatori. Qualche vecchissima fotografia sgualcita mostra le mille sfumature di grigio dei cumuli di sterile che, per chilometri e chilometri, hanno trasformato il paesaggio sardo in un suolo lunare. E di quegli stessi sterili oggi rimangono tracce ben visibili negli inquietanti Fanghi Rossi di Monteponi o nelle discariche di miniera a cielo aperto, oggi percorse solo da pochi appassionati, in cerca di qualche frammento dai contorni regolari e dai colori brillanti.

Le api che vivono da quelle parti hanno le ali sporche. Sporche di frammenti anche finissimi di quell’abbondantissimo minerale presente nella ganga, la barite, il cui nome desta timore solo se ricondotto al principale costituente, il bario, un metallo pesante i cui effetti tossici sulla salute sono noti ormai da tempo. L’uomo prendeva il filone ricco di minerale, lo tritava fine fine e lo lavorava con soluzioni chimiche per estrarre il piombo, un altro metallo pesante molto tossico contenuto nella galena, minerale il cui nome questa volta non ne svela la pericolosità. Anche il piombo si trova sulle ali delle api di Iglesias, in schegge minuscole che al microscopio elettronico paiono brillare.

brillare

E le immagini delle ali delle api, spruzzate da quella polvere di stelle, sono lo spettacolo temuto dagli studiosi, consapevoli che ogni frammento è un coacervo di metalli pesanti pericolosi, perché legati a patologie terribili come il cancro.

Tra tutto quel brillare, spesso si trovano anche particelle dalle forme geometriche semplici e perfette, come piccole sfere, perfettamente lisce o ruvide, e cubi. Il vento che spira dalla costa porta l’areosol marino nell’entroterra e il sale del mare cristallizza in forme cubiche; quello stesso vento porta anche le tracce delle lavorazioni industriali del polo industriale di Portovesme. Se in circa tre settimane di vita un’ape bottinatrice si riempie di tutto quel “ben di dio” – anche se qui dio e bene c’entrano poco – a che cosa è esposto un uomo che vive e respira in quel territorio? I medici che si sono fatti carico degli studi epidemiologici, pochi anni fa hanno elaborato un enorme progetto denominato Sentieri, finanziato dal Ministero della Salute, che spiega i dati sulla mortalità delle persone con l’esposizione agli inquinanti presenti nell’ambiente. I siti di interesse nazionale per la bonifica sono molti, in Italia, compreso l’Iglesiente. E lì le patologie legate all’inquinamento dell’aria, delle acque e del cibo sono molte, troppe per un cielo così azzurro che, poco lontano, si confonde con il blu cobalto del mare.

 

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