Ambiente

La prossima Cop27: tra critiche per lo sponsor Coca Cola e nodi da sciogliere

13 Ottobre 2022
Mancano sempre meno giorni allo svolgimento della nuova conferenza sul clima in Egitto. Un cammino di avvicinamento assai denso di critiche per la sponsorizzazione della multinazionale statunitense, il dilagare della crisi energetica e gli impegni da assumere carichi di interrogativi e difficoltà

 

 

 

 

 

 

La prossima conferenza sul clima, la Cop27, che quest’anno si terrà in Egitto, a Sharm El-Sheikh, riesce a far discutere, ancor prima di iniziare. Le criticità mondiali che inchiodano i Paesi più industrializzati alle loro responsabilità, sono molteplici, e nessuna di facile soluzione. In primis le preoccupanti crisi finanziarie che attanagliano l’Europa, vittima di una gioco al rialzo di ogni fonte energetica di importazione. Ma, a tenere banco, in questa Cop27, è sicuramente la cascata di critiche piovute nei confronti degli organizzatori, a seguito dalla sponsorizzazione da parte della Coca Cola, nota come una delle più grandi multinazionali produttrici di plastica monouso al mondo, con un impatto sul tasso di inquinamento globale, a dir poco spaventoso.

Dulcis in fundo, la voce fuori dal coro, del primo ministro inglese, Liz Truss, che avrebbe suggerito al neo monarca Carlo III di non presenziare all’incontro, nonostante la Gran Bretagna, sia stata il Paese ospitante della conferenza sul clima della scorsa edizione.

Un gesto accolto con poco favore dal resto dei partecipanti, tenendo in debita considerazione il fatto che proprio in quella area geografica, i cambiamenti climatici e loro danni, destano costantemente preoccupazione. Ad allarmare, risulta essere la possibilità che, la nuova Premier, non riesca a mantenere gli impegni presi da Boris Johnson, per le concessioni che si appresterebbe a fare di 130 licenze estrattive di gas e petrolio nel Mare del Nord.

A detta del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che ha parlato alla recente Assemblea generale dell’Onu di New York: “Le emissioni globali di gas serra devono essere ridotte del 45% entro il 2030 per avere qualche speranza di raggiungere lo zero netto entro il 2050. Ma le emissioni stanno salendo a livelli record, e porteranno a un aumento del 14% in questo decennio”.

 

Dunque, tra qualche settimana, in Egitto, si preannuncia uno spettacolo per certi  versi avvilente ed imbarazzante e, per altri, pieno di nodi da sciogliere per le sorti dell’Umanità.

Sembra precipitare di giorno in giorno la corsa all’approvvigionamento di rifornimenti energetici da parte di molti Paesi europei, a causa della conflitto inarrestabile tra Russia e Ucraina. Con ovvie ripercussioni sulla produzione di combustibili fossili. Ancora, occorre delineare un piano di interventi economici a sostegno delle Nazioni più duramente danneggiate dalla follia dei cambiamenti climatici, predisponendo un fondo strategico di risorse da cui poter attingere per limitare le perdite, un Loss&Damage. Appare superfluo specificare, come ad essere chiamati allo stanziamento di questo salvadanaio umanitario, siano chiamati gli Stati più solidi economicamente, ai quali può essere imputata, di certo, la maggior quantità di emissione di gas serra, veleno assunto passivamente dai Paesi più sottosviluppati.

 

 

 

 

Gli interrogativi della prossima Cop27

 

 

 

Si parte dall’arduo impegno richiesto per  ridurre le emissioni  inquinanti.  Attualmente, 122 Paesi hanno sottoscritto il Global Methane Pledge, per la limitazione delle emissioni di metano del 30% (rispetto a quelle del 2020)  nel termine dei prossimi 10 anni. Solo gli USA hanno siglato il protocollo, mentre India, Cina e la confinata Russia, altri tre tra i più grandi produttori di inquinamento al mondo, hanno risposto negativamente.

Intanto, in Africa, la situazione è divisa tra uno sfruttamento sempre più esasperato delle risorse fossili, i danni del cambiamento climatico e il tentativo di seppellire le speranze di progresso e sostenibilità di chi vorrebbe solo più rispetto e dignità per un continente tanto martoriato da sempre. In questi giorni, infatti, sono stati arrestate e picchiate dalla polizia, circa dieci persone tra una cinquantina di manifestanti, che avevano consegnato una petizione all’Ambasciata della UE a Kampala, in Uganda, per protestare contro l’istallazione di un oleodotto.

 

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