Ambiente

La montagna si spopola, in Svizzera migliaia di euro ai nuovi residenti

30 Novembre 2017

Articolo di Emanuele Confortin, tratto da Alpinismi

La montagna è un luogo fantastico, ma alla lunga viverci non è cosa semplice. La storia delle Alpi è un esempio eloquente. Da decenni si registra il progressivo calo nel numero degli abitanti in città e frazioni alpine. Accade per lavoro, un tempo si emigrava in quanto all’attività agricola, nelle valli, si preferiva un posto in fabbrica, in pianura. La pianura appunto, pallosa all’inverosimile ma più agevole alla logistica, densamente abitata quindi servita meglio – strade, sanità, scuole, shopping – elementi non centrali ma influenti nello sciogliere gli indugi di chi deve compiere un passo radicale.

Chi resiste e decide di restare, inevitabilmente invecchia. Alla fine le scuole sono poche, limitate all’obbligo. Ecco che i giovani si spostano per studio, poi partono inseguendo una carriera, alternative professionali alla roulette di alberghi e strutture ricettive, di impianti e attrazioni varie che rappresentano la nuova pelle dell’economia montana. Quella che più di altre trasforma la montagna in un luna-park, un luogo idealizzato come nelle pubblicità dei drink energetici, o nei video-spot “adventure a go go” che a forza di girare in rete impazziscono come la maionese.

La mistificazione delle Terre Alte non può che complicare le cose. La montagna non è solo “sport, food & fun”, ma è un luogo con una, mille storie diverse, economie fragili di cui poco si sa, e ancor meno di moda. La visione odierna di quelle Terre Alte passa puntualmente per il web, cosa strana visto che in molti centri abitati alpini la rete ancora non arriva, o si limita al minimo sindacale. Quindi chi racconta la montagna? Chi la vive a tranci, un weekend dopo l’altro tentando di condensare l’esperienza, rendendola quanto più esaltante. Il rischio è dunque di perde il contatto con la realtà, di farsi sfuggire i problemi reali e con questi le progettualità necessarie a risolverli, indispensabili per rilanciare l’ambiente a partire dalle radici: gli abitanti originari e le economie locali. Per carità, nessuno intende riportare i “montanari” all’età della pietra. Nemmeno forzarli a impugnare secchio e sgabello per ricominciare a mungere in una stalla illuminata da lanterne, come faceva Heidi con il nonno – di cui mai sapremo il nome – detto anche il Vecchio dell’Alpe. Vecchio appunto, rimasto solo tra i monti con un cane e una bambina in età da asilo. L’emblema della solitudine, immagine profetica sul futuro della montagna, del resto il romanzo di Johanna Louise Spyri cui si ispira il celebre cartoon vide la luce nel 1880. Una visionaria.

Mucche, prati, cieli azzurri. L’immaginario collettivo dei paradisi montani

Tornando al qui e ora, il problema non è particolarmente localizzato, ma va dall’Est all’Ovest (con tutti i distinguo e le eccezioni del caso), neanche fossimo in America. Lo scrivo in quanto da tempo mi soffermo su rapporti, analisi, relazioni e articoli. Ebbene sì, accade un po’ ovunque in montagna, l’età media aumenta e calano le nascite. L’arrivo degli immigrati stranieri non basta a sopperire al calo demografico e alle partenze, incluse le loro. Certo, gli immigrati sono più giovani, ma non rinverdiscono nemmeno l’età media, che continua a crescere. Meno abitanti implica tagli ai servizi. Tagli ai servizi significa incentivare le partenze. Un cane che si morde la coda, pertanto le classi a scuola si accorpano, ambulatori e ospedali si accentrano, i negozi chiudono. A esclusione di alcuni lidi fortunati che fanno ben sperare – tenuti in vita da industrie storiche, turismo o dalla necessità di scrivere un bestseller – quanto sopra vale per gran parte di quel mondo fatto di vette sempre assolate, acque purissime, discese fuori pista e pareti cazzute.

Vale ovunque fuorché in Svizzera? Invece no, anche lì hanno le loro. Porto questo esempio per non sentirmi dire che racconto solo le Dolomiti (sic). È il caso di Albinen, villaggio posto a 1.300 metri nel Canton Vallese. Presente quei posti con casette in legno, fiori colorati alle finestre, stradine di ciottoli strette e ripide? Si, proprio quello, roba da Heidi, appunto. Qui, dopo la chiusura della scuola dovuta alla partenza delle ultime due famiglie e i rispettivi bambini, alcuni abitanti (94 in tutto) hanno proposto al comune di offrire soldi a chi decide di venirci a vivere. Malgrado la bellezza e l’ambiente incontaminato, Albinen è ormai meta di vacanza o luogo in cui investire nella seconda casa. Tuttavia, mancando chi ci abita viene meno anche la vita. La proposta dei 94 albinensi punta a riaccendere la fiammella, a riportare il respiro tra le case. La mozione è molto seria e sarà votata dall’amministrazione proprio domani (30 novembre), ma le possibilità che sia approvata sono buone, visto che altri comuni del Vallese hanno adottato scelte simili.

Attenzione però, in caso di fumata bianca i soldi ci saranno, ma siamo pur sempre in Svizzera, quindi prima di atterrare ad Albinen con tende e sacchi a pelo, preparatevi al test di gradimento degli autoctoni. La proposta prevede che il bonus vada a chi decide di costruire casa e spostare la residenza, circa 21 mila euro per ogni adulto e 10 mila a bambino. Un’offerta per molti ma non per tutti. Infatti serviranno dei requisiti minimi per superare il “referendum” ed essere ammessi nel paradiso svizzero. Essere giovani, non più di 40 anni. Per chi poi sogna il bonus cash ha preso un granchio, l’elargizione sarà spalmata nel tempo, almeno un decennio. Non pensiate poi di togliere ruote e gancio traino a una roulotte, per tenervi la differenza in tasca. In realtà il ritorno sponsorizzato ad Albinen impone investimenti adeguati: una casa del valore minimo di 170 mila euro da usare come prima residenza. Quindi conti alla mano, immaginando la famiglia tipo di 4 persone, 60mila di bonus e 170mila di investimento minimo, significa porte a aperte ai virtuosi con almeno 110mila euro in tasca. In altri termini, migranti e quasi tutti gli italiani esclusi. A noi rimangono i vizi di pianura.

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